Ghostbusters II, il ritorno degli Acchiappafantasmi di Ivan Reitman con Bill Murray, Dan Aykroyd, Harold Ramis e Sigourney Weaver
Nel 1984 il mondo rimase folgorato da Ghostbusters di Ivan Reitman. Il suo perfetto equilibrio tra comicità e horror rievocava lo stile brooksiano de Frankenstein Junior (1974), avvolgendolo così in una girandola di battute iconiche e di un Bill Murray straripante. Non sorprese quindi più di tanto che gli Acchiappafantasmi di Reitman colpissero nel segno e al box-office. Autentico manifesto di quel modo di fare cinema family friendly degli anni Ottanta; reso grande dall’omonima colonna sonora di Ray Parker Jr; Ghostbusters è l’instant-cult per eccellenza di quella decade. Per certi versi quindi – sulla scia dell’entusiasmo per la serie animata The Real (1986-1991) – il tonfo commerciale di Ghostbusters II (1989) appare inspiegabile, oggi più di ieri.
All’epoca ne criticarono l’aver “tradito” la magia del suo predecessore; l’aver perso quella freschezza che rese l’opera del 1984 – a questo punto – irripetibile e vivace come poche altre, ma sarà vero? Intanto c’è una particolarità non indifferente in Ghostbusters II, quasi starwarsiana. Rispetto all’opera precedente, il cineasta de Polpette (1979) schiera un villain formidabile, magari non caratterizzato in modo eccellente, ma che certamente dà più sostanza rispetto all’iconico – ma poco presente – Gozer il gozeriano.
Nel farlo, Reitman sfrutta un espediente similare a quello della Trilogia Originale di Star Wars (1977-1983): combinare il talento di due attori. Al pari di Darth Vader che nasce dalla presenza scenica “mascherata” di David Prowse e la voce di James Earl Jones; Vigo il carpatico è infatti la combinazione dei muscoli e del volto dell’ex wrestler Wilhelm Von Homburg, e della voce di Max Von Sydow.
Oltre a questo, e in totale controtendenza con il sopracitato tradimento di cui parlarono critici e pubblico, il secondo capitolo degli Acchiappafantasmi di Reitman reinventa alcuni elementi narrativi al fine di renderli più similari alla serie animata. C’è quindi molto più Slimer in Ghostbusters II, che qui assume, di fatto, i contorni dell’animale domestico di Venkman & co; nonché la stessa Janine della Potts, resa morfologicamente più similare alla controparte animata.
Nel cast figurano Bill Murray, Dan Aykroyd, Harold Ramis, Sigourney Weaver, Ernie Hudson, Rick Moranis; e ancora Annie Potts, Peter MacNicol, Wilhelm Von Homburg, Max Von Sydow e Kevin Dunn.
Ghostbusters II: la sinossi del film di Ivan Reitman
Cinque anni dopo aver scacciato Gozer il gozeriano, gli Acchiappafantasmi hanno dovuto subire le conseguenze delle loro azioni. La città ha fatto loro causa per i danni procurati, e di manifestazioni ectoplasmatiche manco l’ombra. I membri del team si sono così “riciclati”; Peter (Bill Murray) conduce uno show sul paranormale Mondo Medianico in linea con il suo stile; Egon (Harold Ramis) è tornato alla ricerca scientifica; Ray (Dan Aykroyd) e Winston (Ernie Hudson) infine, si dividono tra un negozio specializzato in occulto e feste per bambini con cui utilizzare l’attrezzatura da Ghostbusters.
Dana (Sigourney Weaver), dopo una breve relazione con Peter, ha sposato (per poi divorziare) un musicista inglese da cui ha avuto un figlio: Oscar (Hank e Will Deutschendorf). Per arrotondare, lavora come restauratrice con l’illustre Janosz Poha (Peter MacNicol) a cui è capitato, tra le mani, un prezioso dipinto raffigurante Vigo il Carpatico (Wilhelm Von Homburg e Max Von Sydow). Ben presto, con l’incedere dei lavori, il dipinto sprigionerà una spaventosa carica malvagia che invaderà l’intera città. Per gli Acchiappafantasmi caduti in declino sarà l’ora d’indossare gli zaini protonici e incrociare i flussi ancora una volta.
Tradimento o forse un’evoluzione: la deriva horror degli Acchiappafantasmi
Si può veramente parlare di tradimento dello spirito del primo Ghostbusters in relazione al sequel? O forse sarebbe meglio parlare di evoluzione narrativa? L’elemento horror nella saga degli Acchiappafantasmi c’è sempre stato. L’opera originaria del cineasta de Stripes – Un plotone di svitati (1979) presentava infatti dei fortissimi elementi horror alla Poltergeist (1982) di Tobe Hooper, da far impallidire gli appassionati del genere; il sequel, in tal senso, sembra partire con lo stesso mood nel raccontare di una carrozzina posseduta.
Poi qualcosa cambia, Reitman fa crescere la presenza scenica di Vigo e con esso le sue manifestazioni. Da quel volto che traspare dal quadro (e dallo schermo), la narrazione evolve, muta e cresce con esso la componente orrorifica.
A fronte di una struttura narrativa similare al suo predecessore, dispiegatasi tra la componente romantica del rapporto tra il Peter di Murray e la Dana della Weaver; e quella horror-fantascientifico-paranormale avvolta in un coming back da “ritorno dell’eroe”; il cineasta de Dave – Presidente per un giorno (1993) ingrana la quarta facendo accrescere proprio quest’ultima, in modo esponenziale rispetto al capitolo precedente.
In tal senso infatti, i primi effetti dell’evoluzione narrativa del tono del racconto di Ghostbusters II sono riscontrabili nella sequenza sotterranea. Lì, nel più totale buio pesto, Egon, Ray e Winston indagano sulla melma violastra psicocinetica che caratterizza la componente villanica di Vigo. Poi un treno-fantasma; una visione di teste mozzate e impalate. Si concretizza così la caratura della componente horror dell’opera di Reitman, in una sequenza di fondamentale importanza nell’economia del racconto; al pari con quella al Sedgewick Hotel dell’originario Ghostbusters. Se infatti il momento del “venimmo, vedemmo e…“ è forse il simulacro del perfetto equilibrio tra comedy e horror; i sotterranei di New York rappresentano appieno il marcato elemento horror dell’opera dell’89.
Tutto cambia perché nulla cambi, il gattopardismo di Reitman
Recitava così Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo celebre Il Gattopardo – reso cinematograficamente iconico da Luchino Visconti nel 1963; a significare, essenzialmente, come si possa, in fin dei conti, cambiare tutto affinché tutto resti così com’è. Qualcosa che per certi versi possiamo traslare nel parlare della ratio filmica di Ghostbusters II. Reitman si veste infatti “da Gattopardo“; alza la cifra stilistica; e assieme ad Aykroyd e la sua classe di ferro realizzano l’incoerente impossibilità di riproporre lo stesso schema negli stessi modi del 1984.
Nei cinque anni che sono passati tra i due capitoli infatti, il cinema è mutato, cambiato profondamente. Abbandonando quasi del tutto quel tono family friendly spielberghiano de I Goonies (1985) e Ritorno al futuro (1985) per concentrarsi ora su solidi drammi commerciali, ora su opere “di genere” marcato. Reitman sceglie la seconda via alla maniera de Piramide di paura (1985), arricchendola però di una climax d’altri tempi, quasi capriana; in una melma violastra psicocinetica che vive delle paure e della rabbia degli uomini ma che muore dinanzi al buon umore e alla serenità, che è puro Frank Capra postmoderno tra L’eterna illusione (1938) e La vita è meravigliosa (1946).
Non è cambiata la magia di Ghostbusters, s’è semplice evoluta in un aggiornamento coraggioso e certamente rischioso, con cui provare a offrire qualcosa di nuovo al pubblico: del corposo horror fatto di momenti tesi come con i Fratelli Scoleri; citazioni tra E.T. – L’extraterrestre (1982) e Starman (1984) che si sposano brillantemente con il tipico umorismo della tradizione reitmaniana tra tostapane ballerini e “Do, Re, Egoon!“.
Ghostbusters II: il coraggio di cambiare e il retaggio
Ne è piena la storia del cinema di sequel che sovvertono radicalmente, o quasi, il concept del precursore. Il sopracitato Tobe Hooper ad esempio, con Non aprite quella porta – Parte 2 (1986) optò per una slasher comedy “made in Cannon film” al limite del surreale andando così in controtendenza con il primo, spaventoso, capitolo del ’74. Joe Dante con Gremlins 2 – La nuova stirpe (1990) optò per un’opera autocitazionista, dissacrante, e parodistica tra critici cinematografici divorati e una climax esilarante; opponendosi così, in modo netto, al Gremlins del 1984 dal concept semplice in bilico tra horror e comedy.
Nel mezzo c’è Ghostbusters II che a differenza degli illustri fratelli filmici fu molto più coerente con il primo capitolo di riferimento, e per cui il flop commerciale inaugurato da una critica tutt’altro che entusiasta fu forse oltremodo ingeneroso. A trentuno anni dal rilascio in sala, l’opera di Reitman necessita di una riabilitazione critica.
Un rimuovere quella scomoda etichetta di flop o “sequel infelice” che non ha nulla a che vedere con il secondo capitolo degli Acchiappafantasmi ma che invece ben si sposa all’infelice remake del 2016. L’opera di Paul Feig con protagoniste Kristen Wiig, Melissa McCarthy, Kate McKinnon, Leslie Jones e Chris Hemsworth, nonostante una splendida componente orrorifica che è puro spettacolo per gli occhi, perde colpi tra un umorismo mal calibrato e una Jones caotica e totalmente fuori parte; annullando del tutto il buon lavoro della McKinnon e della Wiig.
Gli occhi sono quindi tutti rivolti a Legacy in uscita nel 2021 con in regia quel Jason Reitman – figlio di Ivan – che in qualche modo è una chiusura del cerchio della saga. Il cineasta de Thank You For Smoking (2005) infatti, al di là del proprio retaggio “da Reitman”, comparve in un breve cameo proprio in Ghostbusters II dando del “full of crap” a Ray e Winston. Trentadue anni dopo, toccherà a lui, con il padre in produzione e il ritorno del vecchio cast, riportare la saga gli antichi splendori; per un’attesa frenetica e ci auguriamo tutt’altro che vana.