Spider-Man di Sam Raimi, primo capitolo della fortunata trilogia, con Tobey Maguire, Willem Dafoe e Kirsten Dunst

Poco più di ottocento ventuno milioni di dollari, ecco quanto ha incassato Spider-Man (2002) di Sam Raimi al box-office. Una corsa inarrestabile che lo ha visto come il terzo incasso globale dietro a Harry Potter e la camera dei segreti e Il Signore degli Anelli – Le due torri. Se infatti è di Nolan e il suo Il cavaliere oscuro (2008) il merito di aver rilanciato la narrazione del cinecomic moderno per come oggi lo conosciamo, una parte del successo va allo Spider-Man di Raimi.

Al pari della trilogia degli X-Men (2000-2006) di Singer infatti, ha saputo sdoganare un genere fino a quel punto caratterizzato da b-movies e produzioni televisive perlopiù di bassissima qualità; eccezion fatta per il Superman di Donner (1978-1980), e il Batman di Burton (1989-1992), dall’impronta autoriale formidabile e iconica.

Poster promozionale di Spider-Man

Sembra facile parlare adesso, a posteriori, del successo clamoroso di Spider-Man. Eppure il primo capitolo della trilogia di Sam Raimi ebbe una genesi tormentata, al limite del development hell. In linea di principio infatti, i diritti cinematografici dell‘Amichevole Spider-Man di quartiere erano in mano della Cannon Films dei mitologici Menahem Golan e Yoram Globus; per intenderci, i produttori “visionari” di opere come Rombo di tuono (1984), Highlander – L’ultimo immortale (1986), I dominatori dell’universo, Superman IV e Over The Top (1987).

Golan e Globus non avevano tuttavia le idee molto chiare in merito. Il “loro Spider-Man“, con alla regia Tobe Hooper aveva una trama tutt’altro che fedele al racconto. Peter Parker infatti, a seguito di un bombardamento di radiazioni, sarebbe diventato un gigantesco uomo-tarantola dall’animo buono; praticamente il punto d’incontro filmico tra La mosca (1986) e La vendetta del ragno nero (2001). Non se ne fece nulla fortunatamente. Nonostante un’altra idea più canonica che avrebbe visto Tom Cruise come Peter Parker e Katharine Hepburn come Zia May, dopo il fallimento della Cannon, i diritti d’utilizzazione decaddero in favore della Marvel.

Le idee di James Cameron, l’interessamento di Fincher, la visione di Sam Raimi

È negli anni Novanta però che l’interesse per Spider-Man vide una crescita sensibile. James Cameron, da sempre grande appassionato del personaggio, presentò alla Carolco Pictures un concept da 47 pagine su un’origin story “fresca e originale” che avrebbe visto Spidey contro Electro e L’Uomo Sabbia. L’elemento di forte innovazione della visione di Cameron, riguardava principalmente la “chiamata del (super)eroe”.

Peter (nei piani del regista con il volto di un giovane Leonardo Di Caprio) avrebbe mutato i suoi poteri in modo biologico; emettendo dai polsi le ragnatele piuttosto che ideando il lanciaragnatele. Il progetto si arenò tuttavia, ora per il fallimento della Carolco e il passaggio dei diritti alla Sony, ora per la lavorazione di Titanic (1997), ma il lavoro non fu del tutto vano. Per la sceneggiatura dell’opera filmica del 2002 infatti – tra omaggi e suggestioni – la linea guida verrà data dalle 47 pagine (preziose) di Cameron.

Il concept del costume

Circa quattro anni dopo la Sony fa sul serio e annuncia l’intenzione di voler realizzare una pellicola su Spider-Man. Tra i registi papabili figurano Tim Burton e David Fincher il quale si propose di adattare in forma filmica La notte in cui morì Gwen Stacy; lo studio, tuttavia, si oppose fermamente. L’intenzione era infatti di realizzare un’origin story canonica, di certo non “rivoluzionaria”. A spuntarla fu quindi Sam Raimi e per l’estate del 2001, Spidey era pronto a sbarcare al cinema.

Per la sceneggiatura, Sony e Columbia ingaggiarono David Koepp e successivamente Scott Rosenberg per la riscrittura. Lo script dato poi in mano a Raimi, vide al centro la rilettura cameroniana delle ragnatele biologiche ma villain differenti. Dall’Uomo Sabbia ed Electro teorizzati da Cameron infatti, Koepp rilancerà il villain storico Goblin e Dottor Octopus; quest’ultimo poi estromesso dalla stesura definitiva a favore di un ruolo più centrale di Goblin e della relativa dinamica padre/figlio.

Nel cast figurano Tobey Maguire, Kirsten Dunst, Willem Dafoe, James Franco, Rosemary Harris, Cliff Robertson; e ancora JK Simmons, Bill Nunn, Elizabeth Banks, Joe Manganiello e Michael Papajohn.

Spider-Man: la sinossi del film di Sam Raimi

Peter Parker (Tobey Maguire), studente del liceo Midtown, vive con gli zii Ben (Cliff Robertson) e May (Rosemary Harris) nel Queens. Perdutamente innamorato della sua vicina di casa, Mary Jane Watson (Kirsten Dunst) e molto legato al suo migliore amico Harry Osborn (James Franco); Peter è dotato di grande intelligenza, cosa che non lo aiuta di certo al liceo, finendo con l’essere il bersaglio del bullo Flash Thompson (Joe Manganiello). Durante una gita scolastica, Peter viene morso da un ragno radioattivo. L’indomani scopre di aver acquisito dei poteri eccezionali tra cui una sorta di sesto senso premonitore; arrampicarsi sui muri come fosse un ragno; super-forza; agilità; nonché la capacità di produrre una strana sostanza dalla composizione simile a una ragnatela.

Nello stesso momento, Norman Osborn (Willem Dafoe), padre di Harry, figura paterna per Peter e fondatore della OSCORP, si sottopone a un esperimento rischioso pur di non perdere il contratto con l’Esercito. Decide di iniettarsi un Incrementatore di prestazioni, in fase sperimentale. Gli esiti dell’esperimento sono disastrosi, Osborn perde il lume della ragione sdoppiando la propria coscienza e ospitando un doppelganger di pura malvagità. Sarà l’inizio di un percorso di trasformazione e dolore per Peter, ben oltre l’immaginabile.

Tobey Maguire e Kirsten Dunst nella scena del bacio di Spider-Man

Spider-Man: arricchire di senso il viaggio del (super)eroe

Corse dietro al pulmino; sgambetti e spallate; un delicato “tono alla John Hughes; polpettone nel forno e amori impossibili. Il lavoro compiuto da Sam Raimi nelle prime battute di racconto di Spider-Man ha superato i confini nel tempo. In pochi attimi infatti, ci vengono presentati contesto scenico, dinamiche relazionali e perfino accenni di contorni caratteriali dei protagonisti. Un linguaggio filmico immediato, netto quello con cui Raimi ci introduce nella vita dell’underdog Peter Parker di Maguire. Mostrandoci l’armonia familiare di casa Parker con i Ben e May di Robertson ed Harris; l’amore impossibile e a distanza con la Mary Jane della Dunst; nonché il rapporto con l’Harry di Franco – funzionale inoltre per giustificare l’ingresso scenico del padre Norman di Dafoe.

Senza mai esplicitarlo, Peter è orfano. Una condizione di rilevante importanza a livello narrativo; influendo così ora nel dare colore alla caratterizzazione dell’agente scenico, ora arricchendo di senso le dinamiche relazionali. Tra Ben e Norman infatti, Peter vede sé stesso, il retaggio; un passato segnato dalla perdita dei genitori e il futuro nella scienza. Un’unità familiare nata dalle circostanze e un’altra ancora acquisita da un amico che è come un fratello.

Tobey Maguire in una scena de Spider-Man

Tutti elementi che, oltre ad arricchire di senso la narrazione di Spider-Man, caricano di significato il viaggio del (super)eroe cucitogli addosso da Raimi; reso così ancora più intenso, specie considerando l’evento scaturito. L’acquisizione dei poteri di Peter infatti, reso grande da un’efficace soggettiva del punto di vista del ragno radioattivo, lo catapultano in un mondo straordinario eccezionale.

Il racconto di Spider-Man si dispiega così in un solido intreccio dei più tipici del genere. Una dicotomia bene/male che procede di montaggio alternato tra la graduale crescita di Peter come Spider-Man e Norman e la coscienza del Goblin a seguito del suo incidente. Eventi dall’inerzia invertita che tuttavia hanno il medesimo scopo: tirar fuori la profonda anima dei due agenti scenici.

Da un grande potere derivano grandi responsabilità

Solo che, complice anche l’atipicità di un racconto che contamina il tono eroico di elementi umoristici, romantici (fino allo stucchevole) e perfino di un marcato tono melò, la narrazione di Spider-Man procede molto gradualmente nel dispiegare gli archi di trasformazione. La cosiddetta “chiamata dell’eroe” infatti, è un momento che Raimi declina con sapienza. Se infatti per Norman la piena accettazione del proprio “io, Goblin“, avverrà solo nel secondo atto, per Peter subito e tutto in modo molto più traumatico.

Attingendo a piene mani alla mitologia del personaggio – opportunamente rielaborata – Raimi costruisce una chiamata “a scoppio ritardato”. Un processo analitico con cui il cineasta de La casa (1981) accompagna Peter in una crescita narrativa che vede il ricevere il dono dei poteri; l’accettazione degli stessi; e il loro utilizzo con buon senso. Una transizione esplicitata a livello morfologico nel passaggio dalla “spensieratezza” del costume provvisorio, alla “risolutezza” di quello definitivo; legandosi a doppio filo con l’evoluzione della dimensione caratteriale a seguito della morte di Zio Ben.

Tobey Maguire

L’evento, poi riproposto con meno enfasi nel reboot The Amazing (2012), innescherà l’autocoscienza e un’impennata nella crescita caratteriale di Peter. Sensi di colpa che lo spingeranno ad agire sempre con la piena responsabilità del dono maledetto che la vita gli ha dato.

Spider-Man e Goblin: eroe e nemesi

Se nel raggiungimento della piena accettazione dei poteri, il dispiego dell’intreccio si caratterizza di un ritmo cadenzato, dall’arrivo nel centro di New York, la narrazione di Spider-Man si evolve sensibilmente. Un mondo straordinario anche in termini topografici con cui Raimi consolida gli intenti strutturali dei cammini dell’eroe e dell’anti-eroe dispiegati; donandogli uno sviluppo organico, netto, completo; determinandone una presenza solida che finisce con lo scindere la dimensione individuale dei protagonisti in una “doppia duplicità“.

Gli agenti scenici di Maguire e Dafoe sono infatti Peter e Norman ma anche Spidey e Goblin; figlio-padre acquisito/eroe-nemesi. Dinamiche relazionali contrarie e opposte che se lungo tutto il secondo atto coesistono in maniera equilibrata, nel terzo vedono il totale e definitivo tracollo. È nella climax infatti che la doppia dinamica relazionale trova definitiva e tragica risoluzione. Una sequenza dal ritmo teso tanto spettacolare quanto intima con cui Raimi serra le file, elegge Spidey ad eroe della gente e ricalibra il peso specifico di Zio Ben.

Willem Dafoe e Tobey Maguire

Al contempo però, New York è anche il rimescolamento delle dinamiche relazionali tra Peter, Mary Jane ed Harry. La coesistenza nello stesso appartamento dei migliori amici; la relazione fallimentare tra Harry e Mary Jane; la scoperta dell’amore tra Mary Jane e Peter; il bacio rivelatore che ha fatto la storia del cinema. Tutti elementi che confermano la mole di una narrazione capace di far coesistere – in perfetto equilibrio – un elemento cinecomic acerbo ma già solido, e di un forse un po’ troppo invadente elemento melò.

Un cinecomic per tutte le stagioni

Non a caso, nei capitoli successivi Sam Raimi saprà affinare al meglio la gestione delle componenti; trovando infatti, nel secondo capitolo del 2004, il perfetto equilibrio tra eroismo, umorismo e romanticismo. Quello su cui si è sviluppata la narrazione di Spider-Man era infatti un terreno “di genere” irto, per certi inesplorato. Il grande merito del regista de La casa 2 (1987) è quello di aver posto le basi di una grammatica filmica poi consolidata in forma più matura da Nolan e infine resa “industriale” dal Marvel Cinematic Universe; contribuendo così al fornire una nuova visione autoriale al pari di Donner e Burton negli anni Settanta e Ottanta, in linea con le estetiche dell’epoca.

Qualcosa che ha saputo segnare indelebilmente il cinema di genere. Tanto da spingere il CEO Marvel Kevin Feige a ripetere in più occasioni come Spider-Man 2 – e in generale la trilogia di Raimi – rappresenti il cuore narrativo che il Marvel Cinematic Universe cerca di replicare ad ogni film, da Iron Man (2008) ad Avengers: Endgame (2019). Tutto parte da qui quindi, dall’ingenuo Peter Parker, dall’amore per Mary Jane, dal mefistofelico Norman Osborn e una ragnatela con cui spiccare finalmente il volo nel cinema che conta.