Arte tetra a te, o poeta ameni cinema.
Alias, la recensione palindroma di TENET
Il protagonista va avanti. L’antagonista va indietro. Non sveleremo oltre della trama di Tenet, il nuovo film di Christopher Nolan che porta sulle sue spalle il compito di fare ripartire la stagione cinematografica. Meno si sa, meglio è, come dicono nel film stesso.
Non si può dire che lo spettatore medio non sia pronto a vedere Tenet, data la deriva fredda e calcolata avuta dal cinema di Nolan in questi ultimi anni. Da quel Cavaliere Oscuro in perfetto equilibrio tra emozioni, passione e artificio meccanico della sceneggiatura, il regista si è sempre sbilanciato su quest’ultima cifra stilistica.
Il tempo è il grande tema che attraversa l’intera sua filmografia. I combattimenti di Dunkirk vengono mescolati nella memoria di chi guarda in maniera non lineare. Il prima e il dopo si incontrano anche in Interstellar nella forma di padre e figlia. In Inception invece il tempo si dilata, diventa il tempo vuoto in cui il cervello crea la fantasia. In Tenet invece il prima diventa il dopo e il dopo diventa il presente. Un gioco di sceneggiatura quasi matematico ed enigmistico che piacerà ai fan, ma che potrebbe lasciare interdetti molti.
Tenet e ancora Tenet. Una visione non basterà
Il film, di per sé, è meno incomprensibile di quello che parte della stampa americana ha dato a credere. Serve concentrazione certo, e magari qualche visione in più, ma l’intero impianto è perfettamente godibile sin da subito. Il problema è un altro. Grande, grosso, ambizioso, non tutto nel film scorre al meglio: il montaggio sembra troppo compresso, nonostante la durata fiume.
Il protagonista (parola usata non a caso) è schiacciato tra il compito di fare andare avanti l’azione e quello di spiegare allo spettatore il funzionamento del meccanismo fantascientifico. Incomprensibile è quindi non il film, ma l’emozione e la volontà del personaggio interpretato da John David Washington. Grande scoperta come presenza scenica (figlio d’arte) e di gestione dell’azione, bellissimo e bravissimo, ma poco valorizzato emotivamente.
Si conferma inoltre l’incomprensione del mondo femminile da parte del regista britannico. Il personaggio di Kat, interpretato da Elizabeth Debicki, è senza ombra di dubbio il più passivo e semplicistico nei desideri provati. La sua motivazione e il suo rapporto con il personaggio di Washington sono la vera incognita del film. Il vero elemento con cui è difficile entrare in contatto.
Basti pensare che a fine avventura non è chiaro il rapporto che intercorre tra di loro. Se sia amore, simpatia, o solo rapporto professionale. A riprova della fatica immane del regista nel riportare su schermo sentimenti ed emozioni che vadano oltre la semplice “-filia”. Non si pretende erotismo (“eros”), ma almeno di mostrare il rapporto degli uomini con i personaggi femminili con più cura. La spalla femminile invece non è nulla di più che un semplice oggetto di trama priva di uno sguardo proprio su vicende che sembrano riguardare solo gli uomini.
Un’esperienza cinematografica che solo la sala può restituire.
I difetti finiscono qui. Il resto è uno spettacolo come non se ne vedeva da tempo. Nolan si fa interprete di un cinema che, nel bene e nel male, rispetta lo spettatore. Certo il narratore è sempre un passo in avanti rispetto a chi guarda. Trascina nella storia senza dare respiro. Tutto nel film mette al centro chi guarda perché senza di noi non può esserci godimento. Un happening cinematografico in cui chi paga il biglietto è chiamato a partecipare immergendosi nelle immagini.
Tenet non può essere fruito distrattamente, va affrontato come una vasca d’acqua: bisogna tuffarsi, lasciarsi tenere a galla, non fare resistenza ma non smettere mai di nuotare. L’alternativa è affogare. Non c’è alto modo: chi non vuole entrare in questo complesso mondo a incastro non potrà partecipare della scarica di energia che corre lungo tutta la storia. Diversamente, chi guardando risolverà l’enigma, cercherà di stare al passo, creerà per sé un’esperienza cinematografica unica.
Tenet vive sul suo respiro da grande film fiume, spettacolare fino al midollo e pieno di idee. Il meccanismo dell’entropia inversa, le motivazioni di quest’ultimo, sono una ventata di freschezza sul genere. La colonna sonora, composta per sembrare eseguita al contrario (tocco veramente di effetto), permea di atmosfera la sala ininterrottamente. L’azione eseguita interamente dal vivo, con stunt da brividi (l’inseguimento al contrario, l’aereo fatto schiantare) è totalmente cinematografica. Una macchina in corsa che non si ferma, che rilancia, che tiene, e solo dopo intrattiene.
Nolan ha sempre trovato nel cinema un aspetto fisico del tempo. Lo scorrere dei decimi di secondo è impresso in istanti della pellicola fisica (mezzo da lui molto amato). Allora il discorso che continua con Tenet non può che essere anche perfettamente cinematografico. Una riflessione sulla storia, sulla consapevolezza dell’uomo rispetto al suo destino e su come le immagini del passato possano aiutarci a capire il futuro, condotta con un fare da cinema d’arte. Altro che blockbuster. Tenet è in tutto e per tutto un cinema sperimentale.
Il regista di Inception gioca con la forma cinema, manipola la materia come un autore consapevole e maturo. Per questo Tenet è più un’esperienza visiva e intellettuale che emotiva. Un tripudio spettacolare dedicato al gesto di catturare la realtà, distorcerla, ributtarla nel mondo su un grande schermo. L’intenzione regola l’esecuzione come l’effetto regola la causa. L’uomo non è privo di speranza perché le risposte sono già scritte nelle immagini del presente. In questo Christopher Nolan si dimostra ancora una volta un grande interprete della settima arte, con cui continua un discorso personalissimo e coerente che si intreccia nel suo corpus di opere.
Tenet è il felice ritorno di un cinema immersivo, da vedere sullo schermo più grande possibile, che chiede di vivere grazie allo spettatore e nello spettatore. Un gioco non per tutti, ma a cui oggi, più che mai, vale la pena prendere parte.