Un remake in bilico tra celebrazione e modernità, Scene da un matrimonio di Hagai Levi, con Jessica Chastain e Oscar Isaac 

Lo scorso 4 settembre, alla 78° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, furono applausi a scena aperta e una doppia, calorosa, standing-ovation per Scene da un matrimonio (QUI la nostra recensione). Ideata e diretta da Hagai Levi (The Affair, BeTipul, In Treatment), la miniserie HBO (Omicidio a Easttown, The White Lotus, Barry, Lovecraft Country) – adattamento dagli intenti nemmeno troppo sacrileghi dell’omonimo capolavoro seriale (e non) di Ingmar Bergman del 1973 – riesamina l’iconica rappresentazione di Amore, odio, desiderio, monogamia, matrimonio e divorzio, attraverso gli occhi di una coppia americana contemporanea.

A quarantotto anni di distanza dalle dolorose vicende matrimoniali di Marianne (Liv Ullmann) e Johan (Erland Josephson) ecco infatti Mira e Jonathan. Lei (Jessica Chastain), un’affermata professionista nell’ambito del tech, insoddisfatta della piega presa dal suo matrimonio. Lui (Oscar Isaac), un intellettuale. Un premuroso professore di filosofia che ben presto si renderà conto di come quello che riteneva un matrimonio felice è, in verità, ridotto all’osso. I due hanno una figlia, Ava (Sophia Kopera), suo malgrado vittima delle conseguenze frutto delle scelte dei suoi genitori.

Oscar Isacc e Jessica Chastain

Un equilibrio precario che una sera, nel pieno di una cena con gli amici di sempre Peter (Corey Stoll) e Kate (Nicole Beharie), crolla del tutto. Di lì in avanti sarà un continuo annidarsi di dubbi e incertezze solo accennati e detti sottovoce in dodici anni di apparentemente serena relazione. Nel corso dei suoi cinque episodi, Scene da un matrimonio indaga in tutta la loro complessità le dinamiche più private di Mira e Jonathan; qui ritratti – quasi spiati – nella loro intimità tra confessioni e recriminazioni in perenne bilico tra amore e odio.

Jessica Chastain e Oscar Isaac: quando la coppia è in scena nelle rispettive carriere qualcosa cambia

Per Chastain e Isaac, amici ventennali dalla chimica straripante e compagni di corso – e di classe –  alla Julliard, è un ritorno a dividere la scena come coppia a sette anni di distanza da 1981: Indagine a New York (2014) di J.C. Chandor. Ironicamente, ora come allora, la partecipazione al progetto di uno dei due dipende da una particolare inerzia: subentrando ad un/una collega precedentemente ingaggiato/a.

Oscar Isacc e Jessica Chastain in una scena de Scene da un matrimonio

Ad inaugurare questo buffo trend fu Isaac che, nel 2014, fu caldeggiato dalla Chastain dopo che Javier Bardem lasciò il progetto nel pieno della pre-produzione. Nel caso di Scene da un matrimonio invece è avvenuto esattamente il contrario. La Chastain è subentrata alla partente Michelle Williams su insistenza di Isaac. L’attore di chiare origini guatemalteche, di lì in avanti, vedrà l’inizio di un’ascesa strepitosa tra la partecipazione alla Trilogia Disney di Star Wars (2015-2019) e Dune (2021).

Lo stesso potrebbe ripetersi, sette anni dopo e a parti invertite, con una Chastain fin qui in uno dei momenti più bui della sua carriera tra X-Men: Dark Phoenix (2019), Ava (2020) e The 355 (2022), e decisamente prossima al rilancio nella Hollywood che conta tra Scene da un matrimonio e il quasi-simultaneo in termini di uscita The Eyes of Tammy Faye (2021).

Gli intenti taumaturgici individuali resi voce collettiva di una generazione: l’unicità dell’originale Scene da un matrimonio

Per ben comprendere l’opportunità di racconto scaturita dal remake di Levi bisogna necessariamente fare un passo indietro. Precisamente nel pieno degli anni settanta. Quando Scene da un matrimonio entrò nei piccoli schermi svedesi infatti, sembrò che fosse arrivato al momento giusto e con il giusto tempismo. Basti pensare come, dopo i primi episodi, le richieste di divorzio (così come di appuntamenti dal consulente matrimoniale) in Svezia ebbero un’impennata. E non solo. Lo stesso Bergman ricevette così tante telefonate di coppie che gli chiedevano consigli su come affrontare il rapporto dal trovarsi costretto a cambiare numero di telefono.

Erland Josephson e Liv Ullmann in una scena de Scene da un matrimonio

Un successo strepitoso insomma. Valorizzato dalla capacità di lettura del suo tempo. Ideata da Bergman con il preciso intento di portare in scena il residuato matrimoniale della sua vita di coppia con la stessa Ullmann (musa eccellente, amica per tutta la vita, e moglie da cui ebbe anche una figlia) così da esplicitarne il potere taumaturgico e far pace con i fantasmi del passato/presente. Ben presto gli intenti individuali dell’Autore finirono con lo scontrarsi con il contesto socio-culturale di riferimento sino a mutare, progressivamente, in una voce collettiva di emancipazione e amore libero di cui Johan e Marianne si resero, con le loro reciproche (e a volte discordi) ragioni, propagatori e sostenitori.

Scene da un matrimonio: il differente focus del remake di Hagai Levi

Scene da un matrimonio seppe infatti cavalcare i venti di cambiamento sociale della rivoluzione femminista dell’epoca. Un plus di carica valoriale che determinò un’extra-valorizzazione degli archi narrativi – e del relativo intreccio scenico – dei suoi protagonisti; in particolare quello della Marianne dell’amata Ullmann. Lungo il suo percorso di rinascita da donna sottomessa e passivo-aggressiva a forte e consapevolmente manipolatoria (seppur insicura e timorosa), Bergman cucì addosso a Marianne/Ullmann un’aura valoriale in grado di spezzare non soltanto l’agire del marito Johan/Josephson – egomaniaco solo apparentemente sicuro di sé – ma anche le rigide catene dell’istituzione-matrimonio.

Oscar Isacc e Jessica Chastain

Ecco, quarantotto anni dopo, la chiave di lettura del remake di Levi riparte da intenti artistici non dissimili ma da un focus leggermente differente:


Era un film molto politico e molto rivoluzionario – Scene da un matrimonio – e molto oltraggioso. All’epoca, anche la parola “divorzio” era scioccante”. […] Se Bergman ha parlato del prezzo del matrimonio, voleva dire, in fondo, che il matrimonio uccide l’amore. Io voglio parlare del prezzo della separazione. Non credo che si parli abbastanza di quanto sia difficile e traumatico separarsi”.

D’altra parte, l’originale Scene da un matrimonio fu concepito da un Bergman che lungo tutta la sua vita ebbe ben cinque mogli (la Ullmann fu la quarta), altrettante muse ispiratrici (con cui condividere la vita), e nove figli; decisamente poco avvezzo alla rigidità dell’istituzione-matrimonio.

Il matrimonio oggi secondo Hagai Levi e gli intenti artistico-taumaturgici della narrazione

Quarantotto anni dopo, tanto è cambiato nel mondo e nel modo in esso viene vissuto e percepito. La rivoluzione sociale narrativamente cavalcata da Bergman ha presto portato alla legittimazione delle istituzioni separazione e divorzio, e all’emancipazione della donna non più sottomessa al ruolo di angelo del focolare ma libera di prendere l’iniziativa e trovare il suo posto nel mondo senza essere, necessariamente, madre moglie. Con essi si è evoluto – o per meglio dire aggiornato – anche il matrimonio come istituzione.

Da solido a molto più liquido, fluido. Molto meno definitivo della tipica formula finché morte non ci separi. In continuo mutamento, e temporaneo nella sua essenza di negozio giuridico. Ma proprio per questo più sacro se lo si riesce a far funzionare mantenendo gli equilibri in essere. E come è mutato per gli uomini, lo è anche nella percezione dei protagonisti di Scene da un matrimonio:


“Penso che quando entri in un matrimonio, in questo momento, sai già che è condizionato. Il contratto non è più definitivo. Stiamo insieme finché uno di noi sente che non fa più per loro. Puoi forse fare una promessa per tutta la vita se stai dando la priorità alla ricerca per te stesso?. […] Almeno per un po’ Mira e Jonathan sono la coppia perfetta. Genitori felici, con la loro cucina di alto livello, e il loro tono super-rispettoso e discorsivo.” 

Hagai Levi e Jessica Chastain

Sotto quest’aspetto, anche per Levi – così come lo è stato per Bergman – la scelta di raccontare questa storia parte da chiari intenti artistico-taumaturgici:


“Ho divorziato due volte. Non avevo pensato molto a quel lato traumatico della separazione e del divorzio. Questo fino a quando non ho letto The End of Love (di Eva Illouz nDr). […] Come ti colpisce sia psicologicamente che fisicamente. Quanto ti rende difficile fidarsi e amare di nuovo. Quanto tempo ci vuole per riprendersi”.

Può sembrare scontato, ma nella sfumatura interpretativa che intercorre tra il raccontare di come il matrimonio uccide l’amore e di quanto, invece, possa essere penosa e traumatica una separazione, c’è un intero mondo di punti di vista narrativi, caratterizzazioni, e perfino di personalizzazioni del racconto, da analizzare.

Scene da un matrimonio: chiavi di lettura e sfumature interpretative

L’originale e bergmaniano Scene da un matrimonio, come detto da Levi, è da intendersi (anche) come un’opera politica e provocatoria. Uno sferzante atto d’accusa nei confronti dell’istituzione-matrimonio. E di come l’amore libero e la maggior consapevolezza di sé dell’individuo ne metta a rischio i suoi schemi rigidamente anacronistici (negli anni settanta… figuriamoci oggi!). In tal senso, né Marianne, né tantomeno Johan sono dichiaratamente antagonistici l’un l’altro. Pur altalenandone l’inerzia relazionale – e nonostante la chiara matrice biografica – ma Bergman non prende mai posizione in merito scegliendo, unicamente, di raccontare. Piuttosto sono da intendersi come anime libere ma squilibrate in continuo mutamento nella ricerca delle proprie ragioni in una guerra matrimoniale senza vincitori né vinti.

Nel nuovo Scene da un matrimonio invece, proprio per via della differente interpretazione del racconto e della concezione liquida del matrimonio (e dei rapporti umani), si ha come la sensazione che – per via del suo vissuto – quella di Levi sia un’opera (ancora) più personale e intima e che per questo prenda volutamente le parti di uno dei due protagonisti. Nello specifico del lasciato – Jonathan – suo alter-ego scenico in simbiosi di vita vissuta di cui sceglie di raccontare la dignità da sconfitto e il suo lento “provare” a fare a meno della vincente (e attiva) Mira.

Erland Josephson e Liv Ullmann in una scena de Scene da un matrimonio Oscar Isacc e Jessica Chastain in una scena de Scene da un matrimonio

Partendo dalle intatte cariche valoriali di Johan e Marianne, Levi le fa sua ribaltandone l’inerzia, cucendole rispettivamente addosso a Mira e Jonathan, e realizzando così – proprio come fece Bergman a suo tempo – un caustico e feroce saggio socio-antropologico sulle pulsioni (e ragioni) umane di coppia tra amore, dolore, e genitorialità (alla maniera di Kramer v Kramer) con cui, infine, risanare le ferite vitali dell’anima attraverso il potere taumaturgico dell’arte.

Un nobile intento individuale a cui però, per via della sopracitata preferenza del punto di vista narrativo da parte dell’Autore – oltre che di tempi diametralmente opposti e di differenti esigenze artistiche e sociali a cui far fronte – va a mancare proprio di quello scarto di lucidità narrativa che era riuscito a rendere, l’originale Scene da un matrimonio, la voce collettiva di un’intera generazione (oltre che un capolavoro).

Da Bergman a Levi: la benedizione del figlio Daniel, la necessità di andare lontano

La scelta di approcciarsi così all’originale Scene da un matrimonio non è casuale. Levi ha sentito la necessità di lasciare un’impronta personale ben definita nel proprio adattamento. Cioè che non si discostasse troppo dal predecessore ma che avesse, al contempo, una propria anima; o per dirla con le sue parole citando, a tal proposito, il casus di BeTipul/In Treatment che lo vede protagonista a parti invertite:


“Ogni volta che c’è un adattamento di In Treatment, parlo con le persone che lo realizzano e le incoraggio ad andare oltre. Essere troppo fedeli all’originale, in un certo senso, tradirà l’originale. Devi trovare sfumature locali, quindi questo è quello che ho fatto con Scene da un matrimonio”.

Oscar Isacc e Jessica Chastain

Erland Josephson e Liv Ullmann

Una precisa ratio autoriale che nel nuovo Scene da un matrimonio si traduce in un formidabile bricolage narrativo che, in un sottile e finissimo gioco tra insita celebrazione artistica e ammodernamento del paradigma culturale alla base dalla regia rigorosa, va a rispettare la struttura di ogni Scena dell’originale nel determinare non soltanto la costruzione d’immagine di dettagli e particolari rievocativi per episodio, ma anche il respiro scenico e l’inerzia narrativa di cui essa è composta dandovi però nuova cornice e vita (tele)filmica moderna.

Da Johan e Marianne a Mira e Jonathan. A conferma – come se ne servissero ancora – dell’importanza delle immortali narrazioni bergmaniane nella storia del cinema. Un approccio, quello di Levi, capace di conquistare spettatori e addetti ai lavori; perfino degli eredi di Bergman. In particolare del figlio Daniel, anch’egli regista che qui figura come produttore esecutivo, e che in origine aveva pensato a qualcosa di diverso:


“Ho sentito di poterlo fare perché sono stato avvicinato dal figlio di Ingmar, Daniel, otto anni fa, con l’idea di rifarlo. Il suo concetto era di farlo dal punto di vista dei bambini; questo era il suo modo per reclamare il suo posto.
Nella serie originale non ti rendi nemmeno conto, a volte, ci sono dei bambini. Immagino che non sia stato facile per lui in tutti questi anni. Alla fine non l’ho fatto, ma ho avuto la benedizione di andare lontano”.