Lovecraft Country – La terra dei demoni ideata da Misha Green, l’America segregazionista come non l’avete mai vista, con Jonathan Majors, Jurnee Smollett e Courtney B.Vance

Ideata da Misha Green e tratta dall’omonimo romanzo di Matt Ruff, Lovecraft Country – La terra dei demoni (2020) è prodotta dalla Monkeypaw Productions di Jordan Peele e dalla Bad Robot Productions di J.J. Abrams, in collaborazione con Warner Bros. Television. Ambientata negli Stati Uniti della metà degli anni Cinquanta, la serie racconta del veterano della guerra di Corea Atticus “Tic” Freeman (Jonathan Majors), arrivato a Chicago dalla Florida per cercare il padre scomparso.
Insieme allo zio George (Courtney B. Vance) e all’amica d’infanzia Letitia “Leti” Dandrige (Jurnee Smollett), Tic intraprenderà uno spaventoso e adrenalinico viaggio on the road attraverso l’America razzista delle leggi di Jim Crow. Ciò che Atticus troverà tra le terre del New England però, non saranno solo creature innominabili e antichi culti, ma anche l’odio di un’America malata di razzismo

Jonathan Majors, Jurnee Smollett e Michael K.Williams in una scena di Lovecraft Country

Jordan PeeleJ.J. AbramsMisha Green e Ben Stephenson sono i produttori esecutivi per HBO. Al loro fianco, a dirigere il pilot e a curarne la produzione (insieme a David Knoller), troviamo Yann Demange, regista di ’71 e Cocaine – La vera storia di White Boy Rick.

Nel cast della serie HBO in onda dal 31 ottobre 2020 su Sky Atlantic figurano Jonathan Majors, Jurnee Smollett, Courtney B. Vance, Michael K. Williams; e ancora Wunmi Mosaku, Aunjanue Ellis, Abbey Lee e Tony Goldwyn.

Tra Jackie Robinson e Cthulhu: l’America di Jim Crow

Se si potesse condensare in un’intera sequenza la forza propulsiva del racconto di Lovecraft Country si potrebbe benissimo prendere ad esempio l’onirica sequenza d’apertura. Il sogno americano nel volto di un giovane afroamericano che nel pieno di una guerra di trincea si trova davanti il numero 42 dei Dodgers – Jackie Robinson; una seducente aliena rossastra; nonché il lovecraftiano Cthulhu. Simulacri narrativi diametralmente opposti e contrastanti in un gioco simbolico che trova valorizzazione nel contesto scenico dell’America degli anni Cinquanta.

La segregazione razziale; le sopracitate Leggi Jim Crow; l’immaginare di poter essere l’eroe temerario proprio come John Carter sul pianeta rosso; lottando circondato da altri; sconfiggendo il mostro e salvando tutti. Lovecraft Country è ricerca del proprio posto nel mondo ed emancipazione. In una realtà privilegiata per i bianchi caucasici ma tutt’altro che semplice per gli afroamericani.

Jonathan Majors in una scena di Lovecraft Country

La piega che prenderà immediatamente il racconto, nel dispiego del suo sottotesto, ci viene data da un particolare momento: il ritorno a casa dall’autorità paterna tanto rifuggita e infine scomparsa, teorizzando dell’eroe marziano John Carter come ex-confederato. Come ci viene fatto notare però, per chi ha fatto parte della Confederazione Sudista, lottando per l’ideale della schiavitù, non può essere considerato come ex: “ha combattuto per la schiavitù, non puoi mettere un ex davanti a questo“.

Il seme della follia (sociale) di Jordan Peele

Lovecraft Country si fregia così della sua forte carica sociale, di un mondo in cui un giovane afroamericano si sente come un marziano in casa sua. Rievocando in parte la criticità di quel contesto scenico che fece le fortune di Green Book (2018) – ma che nell’opera della Green prende una piega decisamente più lovecraftiana.

Nel suo raccontare infatti di radici e retaggio; d’appartenenza ed emancipazione Lovecraft Country gioca con i suoi agenti scenici. Nell’Atticus di un sorprendente Majors; della Letitia di un’esplosiva Smollett, con cui raccontare della condizione dell’uomo nero – e della donna – al tempo della segregazione razziale in America. Provetti Rosa Parks, che tornano dal fronte e “dai confini” scendendo così a patti con la realtà d’appartenenza. Il dispiego dei loro archi di trasformazione, però, li porterà in un modo straordinario che è ben oltre l’umana comprensione.

Jonathan Majors in una scena di Lovecraft Country

Il divario razziale permea interamente il racconto. Nella supremazia bianca che spintona, agisce, si arroga il diritto di poter scegliere per l’uomo nero. Solo che, in Lovecraft Country, tutto viene prontamente livellato dal crescere della connotazione orrorifica. Gli abituali atteggiamenti dei bianchi dell’America del Sud vengono così arrestati dinanzi a mostri assetati di sangue: ed è qui che la narrazione della Green alza sensibilmente la sua cifra stilistica.

In un viaggio on-the-road nella terra di Lovecraft infatti, Green e Peele giocano con la materia narrativa del proprio racconto alla maniera de Il seme della follia (1995) di John Carpenter. In un’avvicinarsi sempre più alla meta con cui far crescere la componente horror tra incantesimi; mostri spaventosi; perfino una sequenza che per dinamiche è puro La casa (1981) di Sam Raimi.

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È ancora troppo presto per poter esprimere un giudizio compiuto su Lovecraft Country – La terra dei demoni: L’opera di Green e Peele però, soffre di uno sviluppo non del tutto ben definito. Un andamento per strappi, disorganico, che vive però di una forte intensità; di una componente sociale radicata nel contesto scenico e nella criticità dei suoi agenti narrativi; e di un elemento horror brutale relativamente inedito sul piccolo schermo sullo sfondo del mito H.P.Lovecraft.

Dieci puntate quindi, da gustare tutte d’un fiato, che in parte sembrerebbero riportare il genere horror ai suoi fasti cinematografici. A quel cinema come L’invasione degli Ultracorpi (1956) e La notte dei morti viventi (1968) dove la componente orrorifica veniva caricata di rimandi sociali, divenendo così allegoria e al contempo critica della società di riferimento. Un cinema dalla forte funzione “di denuncia” oltre che pedagogica che nell’epoca dove l’immagine è il medium più potente, va ad arricchire di senso la ratio della narrazione di Lovecraft Country: horror sociale da manuale, valido oggi come ieri.