I 400 colpi, di François Truffaut, l’inizio dell’epopea di Antoine Doinel, con Jean-Pierre Léaud e Jeanne Moreau

La realtà è là fuori, perché manipolarla?“. Recitava così Roberto Rossellini per spiegare la ratio filmica alla base della trilogia del Dopoguerra: Roma città aperta (1945); Paisà (1946); Germania Anno Zero (1948), declinandone una natura da cine-occhio quasi vertoviano, di un’estetica cinematografica senza filtri che guarda alla realtà testimoniandone limpidamente la criticità storica. Una lezione di cinema che i critici dei Cahiers du Cinéma seppero far propria, rielaborandola sotto una nuova luce; concependo così l’inizio di una nuova corrente filmica che fosse lettura sincera e autentica del proprio tempo e della realtà in continuo mutamento.
Nasce così la Nouvelle Vague di cineasti come Claude Chabrol con Le beau Serge (1958); Éric Rohmer con Il segno del leone (1959); Jacques Rivette con Parigi ci appartiene (1961); e chiaramente François Truffaut che con il suo I 400 colpi (1959) – al pari di Jean-Luc Godard con Fino all’ultimo respiro (1960) – salì alla ribalta internazionale dando notorietà all’idea che accomunava gli esponenti della corrente filmica.

François Truffaut e la sua troupe sul set de I 400 colpi

Dedicato alla memoria di André Bazin, scomparso il giorno di inizio delle riprese e arricchito dalla presenza dei camei di Jeanne Moreau e Jacques Demy; il titolo scelto da Truffaut è tutt’altro che casuale. Che lo si voglia chiamare I 400 colpi; 400 blows; o “alla francese” Les Quatre Cents Coups, il titolo dell’opera prima del cineasta de L’ultimo metrò (1980) si riferisce a un modo di dire che in italiano si potrebbe rendere con “fare il diavolo a quattro”, “combinarne di tutti i colori” – che ben si lega al senso filmico del lungometraggio.

I 400 colpi e il ciclo dedicato ad Antoine Doinel

Ispirato dichiaratamente a Zero in condotta (1933) di Jean Vigo, I 400 colpi (disponibile su RaiPlay) rappresenta, soprattutto, l’inizio del ciclo dedicato ad Antoine Doinel; determinando così l’inizio di un progetto di macro-narrazione che accompagnerà Jean-Pierre Léaud lungo tutta la sua vita e carriera formato da Antoine e Colette (1962); Baci rubati (1968); Non drammatizziamo.. è solo questione di corna! (1970); L’amore fugge (1979). Un ciclo ventennale dai dodici anni sino a poco più di trenta, in cui Truffaut saprà plasmare il suo feticcio crescendolo da figlio acquisito tra omaggi e auto-citazioni sulle piccole gioie e (s)fortune della vita; sempre mantenendo gli intenti di un linguaggio filmico vivace, fresco, autentico.

Jean-Pierre Léaud

I 400 colpi: la sinossi del film di François Truffaut

Parigi sul finire degli anni cinquanta. Antoine Doinel (Jean-Pierre Léaud) è un ragazzino irrequieto di dodici anni. I genitori non ne capiscono i bisogni affettivi e le inquietudini tipiche dell’età. La madre (Claire Maurier) è una donna anaffettiva e scontrosa. Il padre invece (Albert Rémy) è un uomo apparentemente bonario ma superficiale.

Vivono tutti e tre in un minuscolo appartamento dove Antoine è trattato più da ospite che da figlio. Dorme infatti nell’ingresso, vicino alla porta di casa, in un sacco a pelo perché la madre non s’è mai premurata a comprargli delle lenzuola. Antoine manifesta così la sua insoddisfazione tra burle; bugie bianche; e fughe per andare al cinema o al Luna Park con René (Patrick Auffay).

I bambini de I 400 colpi

Dopo che Antoine coglie la madre in flagranza di tradimento, i suoi dispetti diventano ancora più gravi; finge la morte della stessa genitrice; scappa più volte di casa tra furti e posti di fortuna. All’ennesima marachella però, i genitori decidono di lavarsene le mani tra una notte in prigione e un riformatorio lontano da Parigi. A quel punto Antoine raggiungerà il punto di rottura tentando così l’ennesima fuga dalle autorità.

Antoine Doinel anima ribelle

Una soggettiva all’ombra della Torre Eiffel e di un sole freddo. Sulle note di corde pizzicate e di un andare e venire, si apre il racconto de I 400 colpi, nella giocosità di un calendario per adulti di cui Truffaut ci mostra il suo percorso lungo un compito in classe; mostrandocelo così in una regia fluida, armonica, fatta di piani sequenza e carrellate che è un salto indietro al tempo della scuola e della ricreazione. Nella rigidità del maestro e nella vivacità dei dispetti dei bambini con di lui di spalle, Truffaut ci introduce a momenti di vita quotidiana e al “discolaccio” Antoine Doinel di Léaud e della sua mimica irripetibile; anima ribelle tra burla e risate, mani pulite sulle tende e soldi rubacchiati ai genitori.

Jean-Pierre Léaud e La ricerca dell'assoluto di Balzac ne I 400 colpi

Emerge così il background parentale dei Doinel, del padre ingenuo ma buono di Rémy; della madre autoritaria della Maurier; di una vita di stenti “voluti”; sacchi a pelo e calzini bucati; elementi che arricchiscono il racconto e che permettono a Truffaut di delineare una caratterizzazione a tutto tondo del suo vivace agente scenico. Il cineasta de Jules et Jim (1962) pone così le basi di una narrazione che è pura gioia di vivere; di cinema e giostre; di capovolte con cui farsi beffe dell’autorità e della vita; in un linguaggio filmico fatto di regia melodiosa e solida, e dissolvenze compiute il cui montaggio dà al racconto un ritmo incisivo e netto.

Gioia di vivere, lacrime di bimbo e la necessità di diventar grandi

Nello sviluppo di un racconto il cui sottotesto è di scoperta della vita e sovversione, non sorprende che il primo turning point sia ascrivibile al crollo dell’unità familiare fragilmente costruita lungo tutto il primo atto. Emerge così, una natura da coming-of-age mutevole. La disgregazione dei valori familiari e il fallimento delle istituzioni diventano infatti la molla narrativa in una fuga “dalla civiltà” e dai suoi costrutti necessaria che è ricerca del proprio posto nel mondo e del voler “diventar grandi” tra bugie, furti, sopravvivenza e posti di fortuna.

La celebre climax bergmaniana de I 400 colpi

In tal senso quindi, la crescita graduale della posta in gioco fa così evolvere la narrazione de I 400 colpi da inno alla vita e alla libertà spensierata e giocosa, a cupa e senza speranza. Gioia di vivere persistente e abbattuta dalla perdita di qualunque legame, avvolta nelle lacrime di un bambino da dietro una gabbia; elementi che vanno a codificare, di riflesso, gli intenti narrativi alla base dell’iconica climax. L’ennesima fuga di Doinel dalla civiltà e dalla violenza del (dis)ordine si permea infatti di una rottura di quarta parete bergmaniana a là Monica e il desiderio (1953) la cui malinconia negli occhi – cristallizzati dal fermo immagine è perdita totale dell’innocenza fanciullesca dei giochi di bimbo e approdo all’agognata indipendenza della rovinosa età adulta.

L’inizio di uno sodalizi più importanti della storia del cinema

Il cineasta de Effetto notte (1973) rimase così folgorato dall’audizione di Léaud da riuscire a inserirla nel racconto de I 400 colpi – precisamente poco prima della climax – “falsificandola”; a conferma di quanto il cineasta francese fosse felicemente appassionato del suo giovanissimo protagonista. All’epoca del casting, Léaudaveva 14 anni ma era sicuro di poterne dimostrare 12“; per fare il provino scappò dal collegio all’insaputa dei genitori.

Quando Truffaut lo seppe, lo ammonì dicendo “i tuoi genitori non saranno contenti“; Léaud replicò: “non importa, sono contento io“. Nasce così un sodalizio tra meta-cinema e vita vera di vent’anni e cinque pellicole che trova ne I 400 colpi la pietra narrativa di un’estetica cinematografica dai contorni dolce e dallo stile vivace e incisivo, senza filtri: è l’inizio della rivoluzione filmica della Nouvelle Vague.