Star Wars: L’Ascesa di Skywalker e la fine di un’era – Recensione

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RECENSIONE NO SPOILER

Era inevitabile. Siamo giunti alla fine di un’era, di una magica stagione lunga 42 anni. Con Star Wars: L’Ascesa di Skywalker abbiamo capito cosa non girava nella terza, e ultima, trilogia. A questa nuova storia sembra mancare una guida, un vero timoniere, uno showrunner.
Il progetto della produttrice Kathleen Kennedy era chiaro e notevole: creare una nuova storyline che riaprisse il mistero, la voglia di scoperta, la sensazione di infinito per le nuove generazioni. Per gran parte dei pregi hanno superato i difetti. L’idea brillante da cui si è partiti era quella di affidare ogni film a un nuovo regista, per trovare voci inedite, nuove interpretazioni del mito che mantenessero sempre fresca la saga. Il modello era simile alla trilogia classica, i cui episodi erano stati diretti da tre registi differenti: George Lucas, Irvin Kershner e Richard Marquand. All’epoca, però, a fare da supervisore c’era Lucas stesso.
In Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, per la prima volta nel nuovo ciclo, un regista ha ripreso in mano una seconda volta la cinepresa. J.J. Abrams, che aveva dato il via a stimolanti domande e a nuovi personaggi con Il risveglio della forza, è stato chiamato, in seguito alle “divergenze creative” intercorse tra Colin Trevorrow e la produzione, a raccontare la sua conclusione.

Quando nel 2012 vennero annunciati i nuovi film, la percezione comune era quella di un florilegio di storie. Di una riapertura della giostra Star Wars. Un inizio, non una fine. In pochi, all’epoca, avevano percepito questa trilogia come quella che “avrebbe chiuso storie durate 40 anni”, ma quella che avrebbe aperto 40 anni di storie. Un cambio nel marketing, ma anche un cambio artistico per un film, il nono capitolo, che si inginocchia schiacciato dal peso del mito che deve portare sulle sue spalle. L’Ascesa di Skywalker fa infatti intravedere con piacere quello che sarebbe potuto essere lo sviluppo di nuovi eroi come Poe e Finn, ma soprattutto del duo Kylo Ren-Rey (che brillano particolarmente in questo film). Ma la mancanza di coesione dei tre capitoli (e dei vari spin-off) ha lasciato qualcosa di irrealizzato. Lo si nota quando ci vengono date risposte a domande che non erano più tali. Qual è il passato di Rey? (non era già bella la risposta di episodio VIII?) Come mai Finn ha avuto un “risveglio” della coscienza? Chi era il defunto Snoke? Sono davvero, arrivati a questo punto della storia, domande così pressanti? No, non lo sono. E si sente. Si cerca di compattare l’arco narrativo di Rey e compagnia, su una prospettiva più ampia fatta di 9 film, quando sarebbe bastato ragionare su tre. L’Ascesa di Skywalker cita visivamente i capolavori di Lucas degli anni ’70-’80, ma non ha richiami al film che l’ha preceduto (Gli ultimi Jedi), se non per “correggere” il tiro. È nostalgico, quando invece dovrebbe essere entusiasta delle nuove possibilità.
Tutto questo si traduce in un film che dà la metà di quello che si propone. Spettacolare visivamente, con un immaginario incredibile e un’atmosfera efficace, ma questo è il minimo che si chiede a Star Wars. I nodi da sciogliere sono tanti, non è un’impresa facile. J.J Abrams dà l’impressione di essere arrivato in cabina di regia con ancora tantissimo da raccontare, forse troppo, e che abbia condensato nella prima ora quello che sarebbe stato il suo secondo capitolo (episodio VIII, per intenderci), e nell’ultima ora del gran finale abbia dato dentro con il vero terzo atto. Avrebbe meritato un film a sé, con il cliffhanger in corrispondenza della rivelazione a metà di questa pellicola.

Sia chiaro, chi scrive reputa Gli ultimi Jedi uno degli ultimi Star Wars più riusciti, se non il migliore. Ma è innegabile che il regista Rian Johnson abbia costruito un’opera così straboccante e coraggiosa da avere messo in ginocchio tutto il resto. Un inciampo per chi sarebbe dovuto venire dopo. È difficile riprendersi dopo avere decostruito con questa forza il mito. Abbiamo avuto un film splendido, rivoluzionario, così potente da fare infuriare il 50% dei fan e conquistando l’altro 50, creando discussioni destinate a non finire mai. Così coraggioso da distruggere le fondamenta e ricominciare da capo. Il costo di avere un capitolo coraggioso e sopra le righe, è stato quello di avere un seguito piatto e sicuro. Siamo tornati indietro. Gli Ultimi Jedi dimostrava che la guerra è sbagliata da qualsiasi lato la si veda; L’Ascesa di Skywalker, invece, si ordina di “portare la guerra” per liberarsi. Là dove la forza era democratica, qui ritorna questione di retaggio. Là i maestri erano fallibili, qui ritornano saggi. L’Ascesa di Skywalker non rappresenta un’evoluzione nella visione nella saga, non ha coraggio nel portare avanti la “filosofia” alla base. È come una nave sicura in un mare agitato… che approda nel lido sbagliato.
Per fortuna almeno la storia ha un gran ritmo. Scelta saggia quella di sfoltire e fare correre la trama a ritmo forsennato. Eppure, a metà racconto, sembra di assistere a un continuo susseguirsi di parentesi, digressioni narrative, atte a ritardare l’inevitabile scontro finale. In queste sezioni è però evitato l’effetto noia perché, saggiamente, la regia sceglie di svelare i misteri. Ahimè tutti tramite exposition. Questo compito viene assolto con una tale fretta da ridurre drasticamente l’impatto emotivo. Tutto corre a mille e non ci si annoia, ma tutto è uniforme. Si percepiscono almeno 30-40 minuti di tagli, con costante effetto di disorientamento: personaggi appaiono all’improvviso quando noi li credevamo altrove, presunti decessi vengono risolti in poche sequenze senza il tempo di elaborare il lutto.
C’è un sapore di già visto in questo gran finale, dove tutto è prevedibile, dove tutto sembra galoppare verso sentieri sicuri per dare allo spettatore esattamente la conclusione che si attende. L’aggettivo “epico”, quando te lo aspetti, fa rima con banale. Commovente, quando non hai il tempo di piangere, significa sprecato. La solennità, quando è imposta, è insopportabile.

Il comparto tecnico è, invece, perfetto. John Williams non si ferma mai con la sua splendida colonna sonora. È meraviglia pura, salva moltissime sequenze, lancia batticuori indimenticabili, incanta dall’inizio alla fine. È lui il vero regista, è lui che detta con le sue note il ritmo del montaggio. Gli effetti sonori e visivi sono puro cinema. Un’immaginario di creature splendido. Adam Driver si riconferma un attore brillante, di grande bravura e carisma. Il suo Kylo Ren è il personaggio più umano di tutti. Bisogna dare atto che la gestione della questione Leia (Carrie Fisher, che la interpreta, è scomparsa a ridosso delle riprese) è stata gestita egregiamente. Il film doveva essere basato su di lei, e si vede.
Con il poco materiale a disposizione, Abrams sono però riusciti a fare il miracolo di dare al personaggio una chiusura degna. Palpatine, con la sua incredibile presenza scenica, porta con sé un’atmosfera orrorifica che funziona. Quando è in scena si percepisce la minaccia, il senso di pericolo destabilizzante. Invaderà gli incubi dei più piccoli e non solo. Peccato, quindi, non averlo visto sullo schermo per più tempo. L’ennesima potenzialità non realizzata del tutto.
Insomma, c’è anche del buono in questo Star Wars. Ci sono cose anche molto buone, le conoscono molto bene tutti i fan di questo mondo. Sono standard che la saga ha raggiunto sin dalla sua origine. Ma a Star Wars non si richiede di raggiungere il voto politico (come fa, con ampio margine, questo episodio IX). Guerre Stellari vince quando punta alle stelle. È impossibile, al termine della visione, non essere un po’ malinconico: la saga degli Skywalker è finita. Abbiamo salutato per sempre (per la terza volta) questi personaggi. Abbiamo avuto il finale più corretto. Il più sicuro. Ma forse non il più bello.
Diranno che Star Wars è morto. Lunga vita a Star Wars.

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