Il ritorno della famiglia Roy nella terza stagione di Succession, con Brian Cox, Jeremy Strong, Sarah Snook, e Kieran Culkin

Più spietati che mai! L’atteso ritorno dei Roy non ha deluso le attese: non poteva deludere le attese. Prodotta da Adam McKay (La grande scommessa, Vice, Don’t Look Up) e Will Ferrell. Vincitrice di due Golden Globes (Miglior serie drammatica, Miglior attore protagonista) e di piogge di premi tra BAFTA, Emmy, e Satellite Awards. Torna su di un piccolo schermo sempre più stretto la famiglia multimilionaria di cui Jesse Armstrong ha raccontato la sete di potere e i meccanismi machiavellici che si celano dietro ai drammi e agli scandali legati alla successione al vertice di un impero dei media (qualcuno ha detto famiglia Murdoch?). Insomma, torna Succession (2018 – in onda) per il suo terzo ciclo di episodi, e l’impressione è che non se ne possa più fare a meno.

Già confermata per una quarta stagione, il family-drama targato HBO (Scene da un matrimonio, Barry, Lovecraft Country, The White Lotus) in onda su Sky Atlantic (e in streaming su NOW) dal 29 novembre 2021 riparte dagli eventi del clamoroso cliffhanger nel season finale del secondo ciclo di episodi. Dopo l’imboscata tesagli dal figlio ribelle Kendall (Jeremy Strong), Logan Roy (Brian Cox) è in una posizione molto rischiosa. Mentre cerca in tutti i modi di rinsaldare gli equilibri politici e finanziari del suo impero, le tensioni aumentano.

Jeremy Strong

Un’aspra battaglia all’interno delle mura aziendali minaccia di trasformarsi in una guerra civile familiare. Kendall, che nella scorsa stagione aveva sfidato apertamente il padre screditandolo pubblicamente, adesso è alla ricerca dell’appoggio dei fratelli Shiv (Sarah Snook), Roman (Kieran Culkin) Connor (Alan Ruck) e di chiunque altro possa aiutarlo a vincere. Dal canto suo, il padre è intenzionato a farla pagare cara, carissima, a quel figlio che ha osato mancargli di rispetto. In mezzo tra l’incudine e il martello, da che parte si schiereranno i membri della famiglia rimasti?

Completano il cast Matthew MacFayden, Nicholas Braun, Peter Friedman, Fisher Stevens, Hiam Abbass, Ashley Zukerman, Arian Moayed, Harriet Walter, James Cromwell; Alexander Skarsgård, Sanaa Lathan, Linda Emond, Adrien Brody e Hope Davis.

Quarto potere incontra Re Lear: IL Capolavoro seriale dell’era contemporanea


Gli unici che non hanno mai visto Succession sono gli attori che hanno recitato in Succession. Perché loro lo hanno vissuto, (Ted nDr). Hanno vissuto Succession.

L’avrebbe detta così Marshall Eriksen (Jason Segel) di How I Met Your Mother (2005-2014). Perché – battute parafrasate a parte – non si sbaglia nel definirlo l’evento seriale dell’ultimo quinquennio.

Non avrà forse un immersivo universo narrativo fantasy alla maniera de Il trono di spade (2011-2019), o diacronie e distopie fantascientifiche alla maniera – rispettivamente –  di Westworld (2016-2022) e The Walking Dead (2010-2022); s’è per questo, nemmeno un mondo straordinario disperatamente violento alla maniera di Breaking Bad (2008-2013). In Succession però troverete la coerenza narrativa. La certezza che dalla 1×01 alla 3×09 il ritmo dialogico sarà sempre teso. Quasi hawksiano nel regalare allo spettatore feroci battaglie verbali fatte di battute sferzanti e manipolatorie di ineguagliabile violenza e tossicità in cui ogni parola viene saputa soppesare e ben armonizzare.

Brian Cox in una scena di Succession

Immaginate, in tal senso, il Charles Foster Kane di Quarto potere (1941) che, dopo aver generato quattro figli inevitabilmente influenzati e offesi dalla predominante carica diabolica del genitore, annunci – alla maniera di uno shakespeariano e stanco Re Lear moderno – un fasullo ritiro dalle scene con il solo intento di tastare il polso caratteriale dei suoi eredi. Una cornice narrativa niente affatto originale, ma eccellente nel suo porsi a metà tra passato a presente in cui la creatura seriale di Armstrong si sviluppa intersecando i suoi archi narrativi tra approvazione paterna elettrica, e caduta edipica dello stesso oggetto del desiderio.

Più che degli eventi in sé, abilmente dispiegati da Armstrong in un intreccio solidissimo e accattivante infatti, Succession punta tutto sui suoi personaggi. Le strategiche mosse dei Roy nella scalata al potere tra alleanze di favore e sincere pugnalate alle spalle diventano così una formidabile opportunità narrativa per dar forma e sostanza caratteriale a personaggi scritti allo stato dell’arte – compiuti e colorati – e portati in scena in modo magistrale (impossibile, in tal senso, dire chi più convincente e primeggiante sugli altri tra Cox, Strong, Snook, Culkin).

Sarah Snook in una scena di Succession

Insomma, è questa Succession. La terza stagione parte ancora una volta con il piede giusto. Lasciando così intendere nuovi avvincenti scenari drammaturgici dall’evoluzione fantasiosa e spumeggiante. Una serie-capolavoro. Di quelle dal pedigree nobile. Di quelle per cui, tra vent’anni, se ne parlerà come spartiacque artistico-produttivo; specie in relazione alla gestione dei personaggi. È HBO del resto. Alma mater di gioielli del calibro di Oz (1997-2003), I Soprano (1999-2007) e The Wire (2002-2008). E di rado HBO sbaglia. Con Succession non ha sbagliato nulla, nemmeno i titoli di testa.