PREMESSA: per una volta tolgo i panni seriosi del recensore per indossare quelli del fan. Non posso fare in altro modo, qui si gioca coi sentimenti.
BENVENUTI A JURASSIC WORLD
Avevo dieci anni quando entrai al cinema, quel 17 settembre del 1993, e capii che i sogni non hanno alcun confine.
La passione per i dinosauri mi accompagnava da sempre. Il paleontologo Jack Horner era il mio mito. E.T. e Lo Squalo erano i miei film preferiti.
Ora, prendendo il via dal best-seller di Michael Crichton, Steven Spielberg aveva fatto un film sui dinosauri con la consulenza di Horner. Sapevo non sarebbe stato fallimentare, ma non sapevo sarebbe stato quanto di più grandioso e dirompente si potesse immaginare.
Chi era bambino o adolescente in quegli anni sa bene cosa sia stato il tornado Jurassic Park: inevitabile, travolgente, innovatore. Nessuno aveva mai visto nulla del genere.
Un evento simile era, come ovvio, impossibile da ripetere. I due sequel (Il Mondo Perduto – Jurassic Park, ancora di Spielberg, e Jurassic Park III di Joe Johnston) furono accolti con sempre minor entusiasmo e successo, lasciando il franchise in stato di ibernazione per parecchi anni.
Poi la notizia: il quarto film si farà. Si chiamerà Jurassic World e sarà affidato da Spielberg a un semi esordiente di nome Colin Trevorrow.
Il fandom si agita, in tanti storcono il naso e quando il film esce divide.
Da una parte un successo oltre ogni più rosea aspettativa, con le previsioni degli incassi che nel corso del primo weekend venivano alzate di giorno in giorno per un totale finale di oltre un miliardo e mezzo di dollari nel mondo.
Dall’altra una pioggia di critiche per aver tradito lo spirito del film originale, per la presunta bruttezza del film e via dicendo.
Eppure, Jurassic World è riuscito a far tornare i lucciconi a tanti fan, me compreso, come i seguiti precedenti non erano riusciti a fare. Sì, non solo mi è piaciuto, ma l’ho trovato estremamente in linea con lo spirito delle creature di Crichton e Spielberg e, ancora meglio, ho amato le basi poste per il futuro della saga.
Tre anni dopo arriva nelle sale Jurassic World: Il Regno Distrutto.
L’ISOLA CHE NON C’È PIÙ
Dopo l’incipit più spettacolare di tutta la saga (e che vale da solo il prezzo del biglietto) apprendiamo che il vulcano alla base di Isla Nublar minaccia di sterminare gli animali superstiti. Claire Dearing (Bryce Dallas Howard), ora a capo di un gruppo che cerca di far valere i diritti degli animali preistorici riportati in vita, viene contattata da Benjamin Lockwood (James Cromwell). L’ex collega e amico di John Hammond (che fondò la InGen) sta organizzando un’operazione di soccorso per trarre in salvo gli animali.
Qui ha il via la storia, o meglio la primissima parte. Entro la metà della pellicola, Jurassic World: Il Regno Distrutto si trasforma in un film completamente diverso da quanto visto finora nella saga Jurassica.
L’isola è distrutta dall’eruzione, i dinosauri che sono stati salvati vengono portati sulla terraferma e nuovi elementi sono introdotti. Trevorrow, qui sceneggiatore e produttore esecutivo, ha esplicitamente voluto un regista in particolare per gestire questo capitolo: Juan Antonio Bayona.
La scelta si è rivelata azzeccata: il cineasta spagnolo porta un punto di vista completamente nuovo per la serie, creando inquadrature di una bellezza spiazzante. Sono immagini evocative, terrificanti, inquietanti e intime a seconda del momento.
Tocca a lui chiudere definitivamente l’era di Jurassic Park per come l’abbiamo sempre conosciuto. Il filmmaker riesce a dare un taglio col passato nel più suggestivo e straziante dei modi: ribaltando a tradimento il senso di quel Brachiosaurus impennato che iniziò a farci sognare 25 anni fa. Spietata, spietata poesia.
Da quell’istante, Jurassic World: Il Regno Distrutto si trasforma in qualcosa di totalmente diverso, di originale, di nuovo. Dalla superba fotografia di Oscar Faura alle inquietanti musiche di Michael Giacchino, tutto segue lo sviluppo di una storyline sempre bilanciata tra intrattenimento e dilemma morale con toni cupi.
I’M BLUE