Enola Holmes, di Harry Bradbear, la rilettura del mito di Sherlock Holmes, nel segno di Millie Bobby Brown, Henry Cavill e Sam Claflin

Per l’attesissimo film Netflix, Enola Holmes (2020) diretto da Harry Bradbeer (Fleabag) e sceneggiato da Jack Thorne (The Eddy) – curiosità per la stellina di Stranger Things (2016- in onda) Millie Bobby Brown a parte – le premesse erano tutt’altro che positive. Si perché, ancor prima che il lungometraggio prodotto da Legendary Pictures e Warner Bros fosse distribuito dal colosso dello streaming di Los Gatos, era già al centro di numerose polemiche “legali”. L’opera tratta dai pastiche letterari di Nancy Springer infatti, è stata citata in giudizio dagli eredi di Sir Arthur Conan Doyle (1859-1930); l’oggetto della contesa, la caratterizzazione filmica dello Sherlock Holmes di Henry Cavill.

Un casting che – al pari di quello di Sam Claflin come Mycroft Holmes – aveva già fatto storcere il naso ai più accaniti holmesiani e che trova nella sua dimensione caratteriale emotiva e paterna, una mal-interpretazione dell’iconico detective di Baker Street. Ma al di là di un semplice discorso di verosimiglianza narrativa, lo Sherlock di Enola Holmes sembrerebbe rifarsi a degli scritti degli anni ’20 ancora sotto la tutela del diritto d’autore. Opere in cui, a seguito della perdita del figlio nella Grande Guerra, Conan Doyle avrebbe caratterizzato il suo personaggio-principe in modo più delicato ed emotivo.

I titoli di testa de Enola Holmes
I titoli di testa de Enola Holmes

Miscasting conclamati dovuti ad esigenze puramente commerciali e beghe legali che però non devono offuscare il giudizio; o quanto meno non ridurlo soltanto a quello – nel parlare di Enola Holmes. Una fresca e vivace rilettura del mito di Sherlock Holmes per i più giovani in cui però non tutto funziona su un piano di codifica cinematografica – e di tipo interpretativo. La frizzante epica della sorellina di Sherlock e Mycroft infatti, è un autentico one-woman-show di Millie Bobby Brown; nel bene, e nel male.

Nel cast del film distribuito su Netflix dal 23 settembre 2020, figurano Millie Bobby Brown, Henry Cavill, e Sam Claflin; e ancora Helena Bonham Carter, Burn Gorman, Fiona Shaw, Adeel Akhtar e Claire Rushbrook.

Enola Holmes: la sinossi del film Netflix 

Tratto dalla popolare serie di libri candidata agli Edgar, Enola Holmes racconta la storia della sorella adolescente di Mycroft (Sam Claflin) e Sherlock Holmes (Henry Cavill). Ribelle e brillante, la ragazza è una detective che si rivela spesso più sveglia dei suoi geniali fratelli, a cui si rivolge quando la madre (Helena Bonham Carter) scompare misteriosamente il giorno del suo sedicesimo compleanno.

Enola (Millie Bobby Brown) si rende conto molto presto che i due sono più interessati a mandarla in collegio che non a risolvere il caso. Decide quindi di fare l’unica cosa possibile per una giovane donna intelligente, coraggiosa e intraprendente di fine Ottocento: fuggire a Londra per trovare la madre.

Millie Bobby Brown
Millie Bobby Brown in una scena de Enola Holmes

Qui incontra diversi personaggi memorabili e si ritrova coinvolta in un complotto che potrebbe cambiare per sempre il mondo della politica. Enola Holmes aggiunge un tocco femminile e dinamico alle avventure del detective più famoso del mondo e della sua geniale famiglia.

La quarta parete di Millie Bobby Brown

Eppure Enola Holmes parte da solidissime intenzioni, a partire da un linguaggio filmico vivace e moderno che, complice il regista alla guida del progetto, rievoca e non poco il Fleabag (2016-2019) della talentuosissima Phoebe Waller-Bridge. In un gioco di rotture di quarta parete, con cui non soltanto dare spensieratezza al racconto di Bradbeer, ma anche spezzare il ritmo e (provare) ad alimentare l’empatia con lo spettatore.

Solo che la Brown, per quanto emergente, talentuosa e vivace, non ha quel guizzo di follia e d’imprevedibilità della Waller-Bridge. Con il risultato che l’espediente registico-scenico della rottura di quarta parete, finisce con l’essere un manifesto d’iper-espressività; un campionario di mezzi sorrisi e faccette pre-costruite. Narrativamente funzionale quindi, per le dinamiche del racconto di Enola Holmes, ma probabilmente mal calibrato e poco nelle corde di un’attrice come la Brown.

Millie Bobby Brown in una scena de Enola Holmes
Millie Bobby Brown in una scena de Enola Holmes

Il rimando alla quarta parete è più che mai essenziale nel parlare di Enola Holmes. Bradbeer costruisce attorno al talento di Undi un racconto fortemente ambiguo, quanto meno nella ratio filmica attraverso cui la Brown spicca il volo, regge totalmente la narrazione sulle sue spalle e incede nella narrazione a colpi di jujitsu.

Emola Holmes: una parabola femminista a cornice holmesiana

Ecco, il jujitsu, è un elemento di non poco conto nella narrazione di Enola Holmes. Un’evidente incongruenza storica, che risulta tuttavia essenziale nel delineare la caratterizzazione scenica della Enola della Brown. Il racconto di Bradbeer infatti, prende a pretesto la cornice scenica holmesiana per dispiegare un’opera d’emancipazione ed auto-affermazione femminile che trova sagaci giustificazioni nello sviluppo stesso del racconto.

Con la ricerca della misantropica figura materna scomparsa infatti, l’Enola Holmes di Bradbeer declina il più comune dei coming-on-age dall’andamento lineare. La differenza però sta negli intenti d’emancipazione che trovano qui un potenziamento scenico nel background caratteriale.

Millie Bobby Brown in una scena de Enola Holmes
Millie Bobby Brown in una scena de Enola Holmes

Lo sviluppo del racconto permette infatti di far emergere la caratterizzazione della Madre della Bonham Carter. Donna di grande ingegno e astuzia che trova nell’insegnamento inclusivo e familiarmente inglobato, la molla con cui valorizzare – di riflesso – le azioni sceniche della giovane Enola. È arguto, in tal senso, l’uso della backstory: In un montaggio alternato tra passato e presenta con cui nascondere – l’evidente – fissità scenica di un racconto Brown-centrico.

Con lo sviluppo scenico, complice l’ingresso scenico dei chiacchierati Sherlock e Mycroft di Cavill e Claflin la narrazione di Enola Holmes si evolve. Quella che nasce come una ricerca del proprio retaggio e radici, finisce con l’evolversi intelligentemente nell’affermazione di sé e nella ricerca del proprio posto nel mondo.

Il “problema” con Sherlock e Mycroft… Holmes

Uno switch interessante in termini narrativi che andrebbe bene in una qualunque altra opera “di genere” che però va a cozzare sensibilmente con la mitologia alla base dell’opera di Bradbeer. Enola è una Holmes, e la dimensione caratteriale di Sherlock e Mycroft non riflette in alcun modo l’appartenenza “mitologica”. La connotazione “paternalistica” dello Sherlock di Cavill, unita alla sua fisicità – ad ogni modo – prorompente, finisce con il rappresentare un miscasting dolorosamente non riuscito; specie se consideriamo l’abituale fisico longilineo e la natura misantropica del Detective di Baker Street.

Millie Bobby Brown, Henry Cavill e Sam Claflin in una foto di scena de Enola Holmes
Millie Bobby Brown, Henry Cavill e Sam Claflin in una foto di scena de Enola Holmes

Se Atene piange, Sparta (di certo) non ride recitava un vecchio adagio. La dimensione caratteriale di Sherlock è chiaramente fuorviata ma riesce, a ogni modo, a risultare completa, complessa e narrativamente rilevante. Lo stesso non può dirsi per la caratterizzazione del Mycroft di Claflin. Il celebre fratello di Sherlock Holmes, nelle dinamiche narrative di Enola Holmes, finisce con l’essere ridotto a mera “funzione” scenica. Un simil-villain ambiguo e bidimensionale, apatico ma che vive di sprazzi isterici. Un evidente depotenziamento cinematografico rispetto alla controparte cartacea; ben più grave – nel complesso – rispetto al trattamento riservato a Sherlock.

Elementare…Enola? L’inizio di un nuovo franchise Netflix

La rottura di quarta parete; le faccette; l’iper-espressività della Brown; un contemporaneo doppio miscasting tra Cavill e Claflin che passerà (dolorosamente) alla storia; non basta un didascalico sottotesto femminista come giustificazione di un valido intreccio giallo, per portare a casa il risultato. È il cognome a pesare, perché quel “Holmes” in Enola Holmes non sta lì per caso. Si porta dietro una sacra mitologia letteraria, cinematografica e televisiva divenuta iconica negli ultimi 120 anni. Un patrimonio artistico che nella rilettura operata da Bradbeer, finisce con l’essere letteralmente buttato via.

Per il suo target di riferimento (pre-adolescenti), Enola Holmes colpisce, incide e riesce a intrattenere e istruire i più giovani; un potenziale inizio di franchise con cui Netflix prosegue nella sua strategia di serialità cinematografica dopo Bright (2017) e The Old Guard (2020) fregiandosi di interpreti amati dal grande pubblico: Brown e Cavill su tutti. Il problema sta nel confronto con la mitologia alla base, piuttosto che con lo stesso pastiche originario della Springer; e lì, purtroppo, Enola Holmes perde colpi tra didascalismo, regia spenta, poca ispirazione e talenti semi-sprecati.