Zombie, Las Vegas e Netflix: Army of the Dead, di Zack Snyder, con Dave Bautista, Ella Purnell, Theo Rossi e Ana de la Regueira

Un ritorno alle origini. Un deja-vu filmico. Perché in fin dei conti nell’approcciarci ad Army of the Dead (2021) di Zack Snyder non si può non pensare alla cacofonica pellicola d’esordio del cineasta di Green Bay. Nello specifico al remake del romeriano Dawn of the Dead/L’alba dei morti viventi di cui, diciassette anni fa, Snyder rilesse l’inerzia asciugando quasi del tutto la componente sociale in favore di atmosfere horror più cupe e dense (e un Ving Rhames stratosferico).

È proprio all’indomani dell’esperienza romeriana che un entusiasta Snyder butta giù lo script che diciassette anni dopo darà vita ad Army of the Dead. Prima di allora però un calvario produttivo/development hell da antologia. Con i diritti di utilizzazione della sceneggiatura opzionati (e poi bloccati per quasi un decennio) da Universal e Warner Bros in co-produzione e con Snyder impossibilitato a dirigerlo perché impegnato con 300 (2006) e Watchmen (2009) prima, e Sucker Punch (2011) e L’uomo d’acciaio (2013) poi. In quel periodo si fece sempre più insistente il nome di Matthijs van Hejiningen Jr. (La cosa) alla regia ma, per un motivo o per un altro, non si riuscì mai ad andare oltre i rumors/comunicati stampa.

Un'immagine promozionale di Army of the Dead

A cambiare le carte in tavola, regalando a Snyder ed Army of the Dead la luce in fondo al tunnel, ci pensa Netflix. Il colosso di Los Gatos, complice anche la maretta venutasi a creare tra Snyder e Warner a seguito di Justice League (2017), piazza la zampata e acquista i diritti (inutilizzati) dalla Warner. Per Snyder è il rilancio definitivo. Non a caso, quel che emerge dalle parole riportate da E! Entertainment un paio di mesi fa, è quella che si suol dire gioia palpabile:


Sono super orgoglioso e felice. Penso che sia fantastico. Non vedo l’ora che i fan abbiano la possibilità di vederlo. […] È un heist movie di zombie in piena regola. […] Ti aspetti un puro caos apocalittico; e lo ottieni, al 100%. Ma si ottengono anche questi personaggi davvero incredibili in un viaggio fantastico. Lo spettatore si sorprenderà nel vedere che c’è molto calore ed emozione reale con questi grandi personaggi.

Zack Snyder sul set de Army of the Dead

Per Netflix molto di più. Sulla falsariga di Tyler Rake e The Old Guard (2020) quello di Army of the Dead sarà un universo narrativo. La grande N californiana infatti ha già ordinato la realizzazione di un prequel tedesco (Army of Thieves) e di uno spin-off animato (Army of the Dead: Lost Vegas). A conferma che, dalle parti di Netflix, la visione-zombie di Snyder è molto più che una carta vincente; piuttosto un intero mazzo di asset micidiali.

Nel cast del film disponibile su Netflix dal 21 maggio figurano Dave Bautista, Ella Purnell, Omari Hardwick, Ana de la Reguera, Theo Rossi, Matthias Schwelghofer, Nora Arnezeder, Hiroyuki Sanada, Garret Dillahunt, Tig Notaro, Raul Castillo, Huma Qureshi, Samantha Win e Richard Certone.

Army of the Dead: la sinossi del film di Zack Snyder

Dopo lo scoppio di un’epidemia-zombie Las Vegas è in rovina e isolata dal resto del mondo. Scott Ward (Dave Bautista), ex eroe della guerra contro gli zombie che ora cucina hamburger alla periferia della città, viene avvicinato dal boss di un casinò Bly Tanaka (Hiroyuki Sanada) con una proposta incredibile. L’obiettivo è di entrare nella zona di quarantena infestata dagli zombie per recuperare 200 milioni di dollari sepolti nel caveau del suo casinò. Questo entro 32 ore. Dopodiché la città del Nevada verrà spazzata via da un deterrente nucleare.

Spinto dalla speranza che la ricompensa possa aiutare a spianare la strada ad una riconciliazione con la figlia Kate (Ella Purnell), Ward accetta la sfida. Mette così insieme una squadra sconclusionata. Maria Cruz (Ana de la Reguera), un asso della meccanica e vecchia amica di Ward; Vanderohe (Omari Hardwick), una macchina ammazza-zombie; Marianne Peters (Tig Notaro), cinico pilota di elicotteri; Mikey Guzman (Raúl Castillo), un influencer stravagante; e Chambers (Samantha Win), il suo ride-or-die; Martin (Garret Dillahunt), capo della sicurezza del casinò; un audace guerriero conosciuto come il Coyote (Nora Arnezeder) che recluta Burt Cummings (Theo Rossi), una viscida guardia di sicurezza; e un abile (e buffo) scassinatore tedesco di nome Dieter (Matthias Schweighöfer).

Un'immagine promozionale di Army of the Dead

Scott trova un inaspettato ostacolo emotivo quando Kate si unisce alla spedizione per cercare Geeta (Huma Qureshi); una madre scomparsa in città. Con il ticchettio del tempo che scorre, un caveau notoriamente impenetrabile e un’orda di zombie Alpha più intelligenti e veloci che si avvicina, solo una cosa è certa nella più grande rapina mai tentata; i sopravvissuti si prendono tutto.

Da Dawn ad Army of the Dead: Zack Snyder, gli zombie e l’attacco totale ad Hollywood

Dave Bautista con un lanciarazzi. Una zombie-Alpha machiavellica dalla morfologia non dissimile da Wonder Woman. Orde di zombie incontrollate e fameliche come nemmeno nelle migliori puntate di The Walking Dead, e una tigre zombie (protagonista di una delle scene più goduriose). Basta questo per decretare il successo e il raggiungimento dell’automatica soglia di instant-cult per Army of the Dead? Non esattamente. Al punto che, in via paradossale, sembra perfino un passo indietro rispetto al dichiarato predecessore spirituale – ma non narrativo – in termini realizzativi e strutturali.

Quel Dawn of the Dead dallo stile caustico e denso e dal ritmo serrato capace di piazzare strepitosi e ben calibrati jump-scare e un paio di momenti da antologia del cinema horror; uno su tutti il feto-zombie di una gravidanza già condannata dall’apocalisse globale-pandemica. Grande merito, in tal senso, a quel James Gunn autore dello script e che in origine – e senza l’impegno di The Suicide Squad (2021) –  sarebbe tornato a far squadra con Snyder anche per Army of the Dead. Ecco, è proprio la mano sapiente ed equilibrata di Gunn a mancare nell’opera-zombie del 2021. Al suo posto la grammatica filmica snyderiana fatta di narrazioni ritmicamente dilatate. Criticità e marchio di fabbrica del suo autore che se nella Zack Snyder’s Justice League (2021) risultava perfino la carta vincente in termini di costruzione ed evoluzione ma che qui finisce con il dissipare la tensione naturalmente scaturita dalla cornice di genere.

La tigre-zombie

Il raggio d’azione viene ridotto da globale a una Las Vegas epidemica e zombata che trova arricchimento di senso nell’involontario (o forse no) gioco di mimesi con la pandemica Wuhan dei giorni nostri. È cinema d’assedio bello e buono quello di Snyder. Che guarda a Michael Bay tra esplosioni fragorose e tramonti della civiltà; infarcisce di cover di pezzi leggendari di quell’Elvis che di Las Vegas era il Re ad accompagnare i nostri in un viaggio senza happy ending; fa il verso a Die Hard (1988) al momento dell’apertura della cassaforte; e piazza, in apertura di racconto, un prologo ragionato e narrativamente ineccepibile capace di condensare in pochi minuti – e a ritmo di slow-motion – luoghi comuni vegasiani, costruzione del contesto scenico e caratterizzazioni efficaci e compiute di soccer-moms, neo-laureati in filosofia e padri-modello costretti a diventare guerrieri spietati per il bene della sopravvivenza.

È forse l’anima umana di Army of the Dead a smembrare un concept promettente capace di unire l’heist ad elementi horror in una cornice survival dal respiro scenico serrato degno de 1997: Fuga da New York (1981). Croce e delizia di uno script che vede la forza bruta di un Bautista praticamente perfetto in mezzo a motoseghe, lanciarazzi, zombie, sangue, depotenziata in favore di un intreccio sottotestuale fatto di redenzione paterna e amori mancati. Componente scenico-narrativa – figlia, verosimilmente, dei demoni interiori dell’Autore – che se da una parte garantisce colore e profondità al suo personaggio (arricchendo di senso la missione come salvifica e riparatrice degli errori umani del passato) dall’altra ne snatura l’essenza nel mezzo di una carneficina zombie.

Dave Bautista in una scena de Army of the Dead

Non tutto da buttar via comunque. E a conti fatti tutt’altro che un’operazione non-riuscita o un film mancato per il regista di Batman v Superman: Dawn of Justice (2016). Tra l’intera inerzia narrativa leggibile come un’allegorica stoccata ad Hollywood, all’assenza di libertà creativa e al mutamento del paradigma industriale e degli orizzonti cinematografici; la naturale bromance scenica Schweighöfer/Hardwick; nonché il tocco di classe della versione acoustic di Zombie dei The Cranberries nei titoli di coda; Snyder serra le fila, torna alle origini del suo cinema, cambiandone i connotati secondo quel linguaggio filmico ingenerosamente chiacchierato che ha finito con il renderlo uno degli autori contemporanei più amati e odiati della sua generazione.