The Good Lord Bird, la vera storia dell’abolizionista John Brown, con Ethan Hawke, Ellar Coltrane e Joshua Caleb Jackson
Che la Blumhouse Productions di Jason Blum fosse il Re Mida del cinema contemporaneo era abbastanza chiaro dai tempi di Paranormal Activity (2009). La quintessenza dell’high-concept che con appena 15.000 dollari di budget e 189 milioni d’incassi ha fatto la storia produttiva del cinema. In attesa del gustoso Welcome to Blumhouse, raccolta di 8 lungometraggi horror in arrivo su Prime Video questo autunno, Jason Blum cambia completamente genere, e punta sul western storico d’evidente stampo critico-sociale. Si, perché con la miniserie The Good Lord Bird (2020), si torna indietro sino agli albori della Guerra di Secessione. Parlando così di dignità della vita; di colore della pelle; e di come a volte bisogna mettersi nei panni di una donna per poterla scampare.
Ecco, in tal senso, l’ultima gemma produttiva di Blumhouse e SHOWTIME. Cucita addosso a uno straripante Ethan Hawke che attraverso le gesta del Predicatore John Brown racconta di un’America che ha bisogno di un forte scossone per accendere la propria anima sociale. Un guardare al passato per trovare le risposte del presente – in un’epoca dove “Black is the new black” e di #BLACKLIVESMATTER; dove la cronaca è sempre più inverosimile della fiction. Qui interviene proprio la fiction televisiva che, vestendo i panni di dramma storico, si declina nella sempre più essenziale – e pura – funzione pedagogica. Trovando così, nella cornice tematica del “genere americano per eccellenza” di baziniana memoria, una super-valorizzazione della narrazione in gioco – e dei suoi valori.
Nel cast della miniserie in onda su Sky Atlantic dal 7 ottobre 2020 figurano Ethan Hawke, Ellar Coltrane, Joshua Caleb Jackson, David Morse, Hubert Point-Du Jour e Beau Knapp; e ancora Jack Alcott, Steve Zahn, Adam Shapiro, Wyatt Russell e Maya Hawke.
The Good Lord Bird: la sinossi della miniserie con Ethan Hawke
Henry (Joshua Caleb Jackson), è il figlio di un barbiere afroamericano. Nel bel mezzo di una sparatoria tra il Predicatore John Brown (Ethan Hawke) e lo schiavista Henry Sherman (David Morse), questi trova la morte. Brown, in preda ai sensi di colpa, decide di portarlo con sé. Solo che il Predicatore è realmente convinto che Henry si chiami, Henrietta – da qui il soprannome Cipollina.
Henry/Cipollina, si ritrova così, in un battito di ciglia, come membro dell’armata di abolizionisti di Brown, nel periodo in cui l’America era un campo di battaglia tra le forze a favore, e quelle contro la schiavitù. All’alba della Secessione, un Predicatore dai metodi bizzarri e un ragazzo vestito da donna “per necessità”, guideranno il paese verso la rivoluzione.
Il western secondo Blumhouse
Se il Get Out – Scappa (2017) di Jordan Peele, in qualche modo ha rappresentato una ventata d’aria fresca nel suo trattare di razzismo ribaltando le premesse da Indovina chi viene a Cena? (1967) in chiave horror; mentre L’uomo invisibile (2020) di Leigh Whannell ha fatto lo stesso nel trattare di femminicidio e amore tossico; The Good Lord Bird rappresenta l’ennesima innovazione filmica del colosso di Jason Blum. A partire dalla capacità di trattare di schiavismo e di gender fluid, per mezzo di un linguaggio filmico audace, innovativo, quasi tarantiniano.
Un’innovazione che parte dall’uso di “cartelli” immediati e dalle scritte efficaci, quasi a scandirne l’andamento; al racconto che nella sua interezza è una digressione temporale che parte dalla chiusura stessa dell’arco narrativo di John Brown; sin dal punto di vista del racconto, quello di Cipollina la cui particolare atipicità socio-etnico-culturale, non fa che accrescere la dimensione di senso di The Good Lord Bird.
Premesse rivoluzionarie che nel suo andamento ritmico spedito, netto, trovano un contrasto vitale nella struttura stessa del racconto. Un’insita classicità che vive di una sontuosa struttura narrativa popolata di scorci Fordiani in panoramica e di un contesto scenico come la Guerra di Secessione (su cui John Ford ha scritto alcune delle più belle pagine del cinema western americano), impersonato dal John Brown di Hawke. Agente scenico dalla caratterizzazione sporca, quasi leoniana che vive egli stesso della contraddizione di voler portare rispetto e dignità per gli afroamericani, attraverso però fiumi di sangue mascherati da volontà divina.
Al cuore del racconto, la relazione tra Brown e Cipollina, anch’essa contraddittoria. Laddove infatti Brown, con toni tra lo scanzonato e il paternalistico, lo ritiene un suo pari, per Cipollina la condizione è quella di schiavo. In tal senso, infatti, se da una parte la sua condizione può essere strumentalizzata per parlare di gender fluid; di come – nemmeno quindicenne – Cipollina provi la condizione di uomo libero; finisce tuttavia con l’essere una coercizione se consideriamo le dinamiche narrative del racconto: un voler vivere una vita altrui, per riappropriarsi della propria, un giorno.
The Good Lord Bird: un gioiello western in formato (mini)seriale
Al di là dell’evidente importanza a livello storico-narrativo, come dicevamo in apertura, The Good Lord Bird trova un’effettiva super-valutazione delle tematiche trattate per via della cornice western. Riportando così, in parte, il western, in quello che Bazin riteneva essere “il genere americano per eccellenza“: caricando di senso i suoi agenti scenici, rendendoli portatori sani di valori. E con tutto questo The Good Lord Bird ci va a nozze, veicolando messaggi di tolleranza e rispetto, valevoli nell’America di metà Ottocento così come oggi.
Se con Yellowstone (2018- in onda), Taylor Sheridan ha saputo traslare la dicotomia cowboy-indiani nel cinema contemporaneo; The Good Lord Bird guarda al passato per rileggere il presente. Con la consapevolezza che il piccolo schermo va più che stretto a un racconto che, trent’anni fa, avrebbe probabilmente fatto la storia del western revisionistico cinematografico.