Dal The Dick Van Dyke Show a Modern Family, la storia della sit-com per WandaVision, la miniserie Marvel con Elizabeth Olsen e Paul Bettany
A una settimana dalla chiusura del suo (mini)-ciclo d’episodi siamo un po’ tutti orfani di WandaVision (2021). Se è vero infatti che a breve torneremo a tuffarci nel segmento seriale di quest’inedita e abbacinante Fase 4 del Marvel Cinematic Universe grazie a Falcon & The Winter Soldier (2021) nel segno della legacy dello Scudo di Cap – e di una congiunzione a doppio filo tra il post-Endgame e le atmosfere di Captain America: Civil War (2016) – l’insolita e affascinante narrazione che ha visto protagonisti Elizabeth Olsen e Paul Bettany è destinata al retaggio di un solido immaginario collettivo.
Ideata da Jac Schaeffer e diretta da Matt Shakman, WandaVision è l’ennesima conferma degli intenti sperimentali del Marvel Cinematic Universe. Progetto narrativo lungimirante di Kevin Feige che lungo la Saga dell’Infinito (2008-2019) ha visto alternare classicissime origin story (Iron Man, Captain America: Il primo vendicatore, Ant-Man); thriller paranoici a sfondo politico (Captain America: The Winter Soldier); action dall’alto tasso adrenalinico (Iron Man 3); riletture da Oscar del retaggio della cultura afro-americana (Black Panther); ambiziosi viaggi dell’anti-eroe-villain (Avengers: Infinity War); nonché totali riscritture in corsa del tono di un intero franchise (Thor, Thor: Dark World, Thor: Ragnarok).
Le ambizioni artistiche di un autentico “schiaffo in faccia” a Martin Scorsese
Con la miniserie dedicata al sogno d’amore perduto e impossibile di Wanda e Visione però, la Marvel ha indubbiamente alzato l’asticella della sperimentazione. E così, nel costruire una solida struttura capace di unire armonicamente il meta-linguaggio televisivo alla canonicità narrativa del cinecomic; l’intera mitologia cinematografica Marvel con la storia (e le estetiche) delle situation-comedy; intenti di continuità produttivo-narrativa con sfrenate ambizioni artistiche, vien da chiedersi: che sia una risposta (tele)filmica a Martin Scorsese?
Per chi non ne fosse al corrente, il leggendario regista di The Irishman (2019), non meno di 2 anni fa, fece sollevare un polverone con quel ipse dixit sui film Marvel:
Non è cinema, sono parchi a tema.
Che in realtà è un estrapolato di un discorso ben più ampio e per certi versi comprensibile visto il background artistico neorealista di Scorsese:
Onestamente, la cosa più vicina a cui riesco a pensare, sono i parchi a tema. Non è il cinema di esseri umani che cercano di trasmettere esperienze emotive e psicologiche ad un altro essere umano.
Nel chiederci, effettivamente, quanto sarebbe verosimile immaginare Scorsese entusiasmarsi dinanzi a un film Marvel, ad ogni puntata WandaVision dà la sensazione di voler gridare a gran voce la dignità artistica del cinecomic. Ad ogni plot twist piazzato sul più bello; ad ogni giocare sul filo di lana tra multiverso, camei inaspettati, ribaltamenti di fronte; cambi di formato immagine, rotture organiche di quarta parete e perfino dei voluti errori di continuity, la creatura (mini)seriale di Schaeffer dimostra un linguaggio (tele)filmico dalla ricercatezza d’intenti che va ben oltre le più rosee aspettative.
Perché proprio la sit-com?
Elementi tutti avvolti in un bianco e nero talmente delicato da far fatica a contenere l’energia di una narrazione che vive dello strabordante colore insito di punte di rosso degne di Kurosawa e Coppola, e di linee dialogiche echeggianti, tra le righe, un intero universo narrativo fatto – per Wanda – di sacrifici eroici del tutto vani e dolori di traumi irrisolti.
Come ci verrà svelato lungo il dispiego dell’intreccio però, la scelta di contaminare il cinecomic delle estetiche e dei topos della sit-com non è unicamente artistica/fine a sé stessa. Risulta altresì funzionale anche ai fini dell’impianto drammaturgico di WandaVision. Per Wanda infatti, la sit-com era una coperta di Linus. Un rifugio familiare e confortevole. Un modo per scacciare l’orrore della guerra sokoviana, per attenuare la prigionia HYDRA, per lenire infine le pene dopo l’errore fatale a Lagos.
Che quindi scegliesse di rifugiarsi in un mondo dorato da situation-comedy pur di non affrontare la perdita di Visione era inevitabile. L’espediente attuato da Schaeffer è audace. Impiantare il racconto e l’arco di trasformazione di Wanda sulla base delle cinque fasi del lutto (negazione–rabbia–compromesso–depressione–accettazione) legandole a doppio filo con il potere taumaturgico delle narrazioni seriali qui trasposto in composizione d’immagine da Shakman. Cioè quel qualcosa che crea nello spettatore un legame empatico tale da scegliere di seguire quella specifica narrazione e quei personaggi lungo il loro sviluppo temporale episodico-stagionale.
In WandaVision l’opportunità è ghiotta per realizzare un excursus lungo la storia della sit-com e di riflesso della serialità televisiva visto che parliamo del genere più longevo e mutevole di sempre.
Le sit-com di WandaVision: The Dick Van Dyke Show e Vita da strega
Nelle prime due puntate, WandaVision prende a prestito due caposaldi della serialità televisiva americana: The Dick Van Dyke Show (1961-1966) e Vita da strega (1964-1972). Gioielli seriali che hanno visto sbocciare le stelle – rispettivamente di Dick Van Dyke e Mary Tyler Moore e di Dick York ed Elizabeth Montgomery – attraverso narrazioni che nel raccontare il sogno americano nel boom economico del Secondo Dopoguerra, sono riuscite a cristallizzarsi nella memoria comune.
Non a caso, se è pur vero che qui in Italia il The Dick Van Dyke Show non ha mai attecchito pur non inficiando sulla fama del suo formidabile interprete, lo stesso non può dirsi di Vita da strega, regolarmente presente nei palinsesti televisivi da quasi trent’anni.
Quanto compiuto da Schaeffer è puro e crudo bricolage narrativo. Prendere le estetiche e i valori delle due premiate sit-com – ma anche di Lucy ed io (1951-1957); l’inedita in Italia I married Joan (1952-1955); The Honeymooners (1955-1956); Strega per amore (1965-1970) – per rimescolarle e piegarle secondo i voleri narrativi di WandaVision.
Un coglierne le essenze in un omaggio-nuova vita che prende forma ora nel disegnare due sigle differenti tra Girato davanti a un pubblico in studio e Non cambiare canale che vivono del riflesso di quella del The Dick Van Dyke Show e di Vita da strega; ora mutando i caratteri dell’appartamento; ora nel rispolverare alcuni topos tipici del genere come i letti separati, il “capo che viene a cena“, il personaggio protagonista maschile che non sa ben definire il suo lavoro; perfino nella transizione tra bianco-e-nero e a colori che tra tutte le serie citate Vita da strega ne fu diretta testimone lungo le sue otto stagioni.
Le sit-com di WandaVision: da La famiglia Brady a Gli amici di papà
Dalla terza puntata in poi, entra in gioco la gravidanza e successivamente la dimensione parentale-genitoriale tanto agognata da Visione ma soprattutto da Wanda. Elemento che, nella sua costruzione e consolidamento, getterà le basi per l’evoluzione caratteriale da villain che si prospetta in Doctor Strange 2: In the Multiverse of Madness (2022). Nell’ottica dell‘excursus storico seriale, WandaVision vede mutare il proprio elemento citazionista.
Dagli albori del genere e del tipico sogno americano, Schaeffer passa alle sit-com multicamera familiari. Nello specifico, tra Ora a colori e In questo episodio molto speciale, WandaVision si appropria ancora una volta di alcune delle opere seriali più rilevanti del genere: La famiglia Brady (1969-1974); Casa Keaton (1982-1989); Genitori in blue jeans (1985-1992); Gli amici di papà (1987-1995).
Pagine indimenticabili della serialità televisiva che hanno visto i natali di Leonardo Di Caprio, Kirk Cameron, Michael J. Fox, le Gemelle Olsen/sorelle maggiori proprio del volto di Wanda, Elizabeth; nonché il consolidamento di John Stamos e Bob Saget. Opere entrate tutte nell’immaginario collettivo che WandaVision non perde occasione di omaggiare attraverso il medesimo modus delle puntate precedenti.
Un nuovo bricolage narrativo quindi con cui Schaeffer ne coglie le essenze ora ricostruendo e rimescolando le sigle de La famiglia Brady, Casa Keaton e Genitori in blue jeans; ora nel giocare ancora con la planimetria dell’appartamento di Wanda e Visione; ora infine nell’espediente del recasting qui brillantemente declinato tra la crescita estemporanea dei gemelli e la special-guest al sapore di Multiverso/X-Men: Evan Peters/Quicksilver. Non ultimo proprio il titolo della quinta puntata, In questo episodio molto speciale. Nelle sit-com degli anni ottanta infatti, gli episodi così intitolati erano sempre o parecchio sorprendenti, o riguardanti tematiche spinose.
Le sit-com di WandaVision: Malcolm, The Office e Modern Family:
Giunti a Nuovissimo Halloween spaventacolare! e Infrangere la quarta parete, WandaVision si gioca l’asso e giunge finalmente ai giorni nostri; alle serie più vicine alla nostra contemporaneità. Nello specifico a quando la sit-com ha dismesso proprio quei classici e tipici panni fatti di pochi ambienti familiari, risate registrate e una struttura a puntata spesso schematica e ben definita per evolvere, infine, a comedy multicamera sperimentale.
D’altronde lo abbiamo detto in apertura. La sit-com è non solo il genere più longevo della serialità televisiva a stelle e strisce, quello che ha contributo a consolidarla nell’immaginario collettivo, ma anche il più mutevole. Quello che più ha saputo leggere meglio di tutti le forze socio-culturali della sua epoca di riferimento e reagire di conseguenza.
Accanto infatti ad opere come Cheers (1982-1993); Seinfeld (1989-1998); Innamorati pazzi (1992-1998/2019); Frasier (1993-2004); Friends (1994-2004), la sit-com ha saputo evolvere gradualmente lasciando il posto a comedy pure e semplici come Malcolm (2000-2006); Arrested Development – Ti presento i miei (2003-2019); The Office US (2005-2013); Modern Family (2009-2020) ma dall’alto tasso sperimentale tra rotture di quarta parete e contaminazioni con il genere mockumentary.
Le ultime citate sono state, letteralmente, saccheggiate da Schaeffer. Ora rimodellando per l’ultima volta l’appartamento di Wanda e Visione secondo la planimetria di quello di Phil e Claire Dunphy; ora sfruttando proprio l’estetica mockumentary per far evolvere definitivamente Wanda verso gli stadi luttuosi di depressione e accettazione.
2 Broke Girls e Fresh Off The Boat: i meta-spettatori di Wanda e Visione
Il vero tocco di classe della narrazione da WandaVision sta negli eventi di puntata quattro: Interrompiamo questo programma. Episodio centrale per l’inerzia del racconto (mini)seriale. Attraverso cui Schaeffer rompe organicamente la quarta parete, amplia i confini del reticolato narrativo, dando vita ad un intero episodio di raccordo con cui mostrare gli eventi al di là dello schermo di WandaVision.
Dare quindi colore e consistenza e tutti quei piccoli indizi che qualcosa non andasse tra elicotteri rossastri, apicoltori notturni e titoli di coda abbastanza emblematici in merito. Elementi che se fossimo stati in un’opera surrealista, perfino lynchana, avrebbero generato un linguaggio filmico fatto di allegorie e simbologie. Ma è in WandaVision che ci troviamo. L’inaugurazione della Fase 4 del Marvel Cinematic Universe: tutti i nodi devono necessariamente venire al pettine perché è la mitologia che lo impone.
L’ingresso scenico, tra gli altri, della ex-Thor, Darcy Lewis (Kat Dennings) e l’ex-Ant-Man & The Wasp, Jimmy Woo (Randall Park) permette a Schaeffer di giocare un po’ con l’inerzia stessa della sua creatura (mini)seriale e i meta-significati. A un primo livello meta-televisivo fatto di un bricolage narrativo composto di omaggi, citazioni e ricostruzioni se ne aggiunge uno ben più profondo. Un secondo livello meta-meta-televisivo o più accademicamente linguaggio-oggetto che coincide con il meta-linguaggio: gli spettatori guardano WandaVision che guarda sé stessa attraverso il tubo catodico scenico.
Un doppio livello di fruizione dentro e fuori lo schermo dove i personaggi del racconto diventano spettatori degli eventi che prendono luogo nella Westview dentro e fuori dal tempo. A questo, in realtà, se ne aggiunge un terzo volto a rendere WandaVision ancora più interessante e gustoso in termini meta-narrativi. Gli spettatori della WandaVision di Westview sono proprio Darcy e Jimmy. Evento in sé di ben poca valenza se non fosse che, fuori dal MCU, i volti della Dennings e Park, sono le stelle – rispettivamente – di 2 Broke Girls (2011-2017) e Fresh Off The Boat (2015-2020): due delle ultime grandi comedy del decennio. In pratica, la commedia americana che, nella meta-significazione, vede, celebra, e ride di e con sé stessa.
Wanda e le sue sorelle: la serialità nel Marvel Cinematic Universe
Alcuni organi d’informazione stanno dipingendo WandaVision come il turning point del Marvel Cinematic Universe; oltre che di Disney+. Un appellativo volto a celebrarlo tout court. Eleggendolo come punto di svolta vuoi per meriti narrativi, vuoi per l’inerzia distributiva settimanale decisamente in controtendenza rispetto alle narrazioni binge degli OTT/Over The Top. Ma è realmente così? Certo dieci milioni di abbonati in più fanno notizia. Nel raggiungimento di simili numeri però, c’è da tenere conto sia del fattore STAR che del trainante The Mandalorian (2019); quest’ultimo molto più d’impatto e già sperimentatore del nuovo (vecchio) trend settimanale.
D’altra parte, pur riconoscendo gli evidenti intenti artistici di un’opera che, nel suo genere di riferimento, rappresenta un unicum, WandaVision per certi versi non lo è. Non è affatto la prima, grande, serie evento del mondo Marvel. Dal Netflixverse morto, sepolto e prossimo alla canonizzazione narrativa per quanto prezioso di Daredevil (2015-2018); Jessica Jones (2015-2019); Luke Cage (2016-2018); Iron Fist (2017-2018); The Defenders (2017) e The Punisher (2017-2019); a quel Legion (2017-2019) facente parte, tuttavia, dell’universo cinematografico Marvel della Fox. Opere trascinanti tra violenza vibrante e sperimentazione estetico-narrativa oltre qualsiasi limite – anche ben oltre WandaVision, capaci anch’essi di segnare l’immaginario collettivo indissolubilmente.
WandaVision come Agents of SHIELD: It’s all connected… again
Nell’ambito dei prodotti MCU propriamente detti, Kevin Feige, nel 2013, disse che da quel punto in poi il Marvel Cinematic Universe sarebbe stato:
It’s all connected.
Una promessa di connessione transmediale tra prodotti cinematografici e televisivi che se con gli infelici Inhumans (2017), Runaways (2017-2019) e Cloak & Dagger (2018-2019) funzionò ben poco, lo stesso non può dirsi per il breve ma incisivo Agent Carter (2015-2016) nonché il capostipite, Agents of SHIELD (2013-2020). Nel 2015 infatti, la scissione produttiva tra Marvel Studios e Marvel Television, rese la celebre frase di Feige del tutto vana. In quel biennio però, i tempi produttivi di film e serialità permisero una connessione tale da rendere, le prime due stagioni di Agents of SHIELD, un assoluto evento televisivo al pari – se non di più – di WandaVision.
Ripartire dagli eventi traumatici di The Avengers (2012) e dal volto buono di Phil Coulson (Clark Gregg) per costruire un intreccio con cui intaccare l’intera narrazione cinematografica. Joss Whedon, all’epoca demiurgo della scuderia Marvel, diede libero agire a tutta la sua maestria ora influenzando attivamente la mitologia cinematografica con gli eventi del pre-finale della seconda stagione tra Frenemy of My Enemy e The Dirty Half Dozen e le coordinate della base di Von Strucker fornite da Coulson a Hill in Avengers: Age of Ultron (2015); ora subendone passivamente la carica con gli eventi catastrofici di The Winter Soldier pronti a scatenare – nel poderoso switch narrativo SHIELD/HYDRA – una totale riscrittura in corso d’opera del tono e delle inerzie sceniche della serie televisiva.
Ironicamente quindi, WandaVision riparte proprio da sensazioni e pulsioni di quasi dieci anni prima. In una nuova promessa di connessione resa finalmente possibile dalla centralizzazione produttiva della Disney/Marvel prossima a regalarci – in quel confine sempre più labile tra cinema e televisione – una continuità emozionale altrimenti impareggiabile.