
“I heard you paint houses.”
Terminata la visione di The Irishman, la nuova epopea criminale diretta da Martin Scorsese per la piattaforma Netflix, si ha l’impressione di aver appena assistito alla messa in scena di una vita intera. Mai come in nessun altro film (tranne forse in Boyhood di Richard Linklater e pochissimi altri casi) si percepisce in modo così tangibile lo scorrere del tempo, inarrestabile e indifferente, mentore prezioso e giudice parziale.
Attingendo nuovamente a un vasto immaginario a lui caro e significativo nell’ottica del suo percorso di regista, Scorsese confeziona un lungo viaggio tra le fila della criminalità organizzata e, per farlo, rimaneggia la storia dell’illegalità americana (non la stravolge ma si diverte a giocarci caricandola di una sua personale versione dei fatti) con l’appoggio di un rodato gruppo di cari amici. Il sapore è quello di una vecchia rimpatriata, un legame incorruttibile plasmato nell’Arte. Ne è passata di acqua sotto ai ponti dai tempi di Casinò (1995), ultima vera collaborazione tra Scorsese, Robert De Niro e Joe Pesci, ma poco sembra essere cambiato e i tre, nonostante i segni dell’esperienza, sono ancora “quei bravi ragazzi” di sempre. Se sulla scena si aggiunge poi la presenza di un rinvigorito Al Pacino, qui alla sua prima vera collaborazione con il Maestro, vi lasciamo immaginare il risultato. Interprete del controverso sindacalista Jimmy Hoffa, scomparso misteriosamente nella metà degli anni ’70, l’ex Corleone appare in stato di grazia, energico come non lo si vedeva da tempo. De Niro e Pesci non sono da meno, ovviamente, e ci regalano due delle più intense interpretazioni della loro veneranda carriera, nei rispettivi panni del sicario Frank “The Irishman” Sheeran e del boss mafioso di origini siciliane Russell Bufalino, suo mentore e protettore.
L’utilizzo di innovativi effetti speciali della Industrial Light & Magic (ILM) per ringiovanire i volti dei protagonisti, a seconda dell’anno in cui la narrazione si colloca, coglie di sorpresa a un primo impatto ma, via via che restiamo in compagnia di questi affascinanti personaggi, così magistralmente scritti e interpretati, diventa sempre più impercettibile, fino a che il processo d’invecchiamento non appare del tutto naturale. Da ciò scaturisce, come prevedibile, tutta la forza emotiva dell’intero capitolo finale, così agrodolce e paterno nei confronti dei suoi “ragazzacci”.
