Raised by Wolves – Una nuova umanità, la nuova frontiera degli Androidi di Ridley Scott, con Travis Fimmel, Amanda Collin e Abubakar Salim

Androidi e distopia fantascientifica. Bastano appena due suggestioni linguistiche per ricondurci razionalmente a Ridley Scott e alla sua fantascienza: quella di Alien (1979) e Blade Runner (1982) per intenderci. Opere capaci di consolidare il genere rinato tra la space-opera Star Wars (1977) e Terrore dallo spazio profondo (1978), cristallizzandosi nell’immaginario collettivo. Nel leggere quindi il nome di Scott tra i produttori e creatori di Raised by Wolves – Una nuova umanità (2020 – in onda) non si può non rievocare quel cinema, di cui la serie prodotta da HBO Max sembra quasi uno spin-off improprio; o comunque facente parte di quell’universo narrativo.

Ideata da Aaron Guzikowski che figura anche come showrunner; prodotta da David W. ZuckerJordan SheehanAdam Kolbrenner e Mark Huffam; la serie segue le vicende di una coppia di androidi, incaricati di allevare e istruire una prole umana su un lontano pianeta. Non soltanto quindi un’opera dal grande impianto visivo, ma capace di veicolare tematiche esistenzialiste e di critica sociale.

Abubakar Salim

A differenza da quanto riportato da molti organi d’informazione, Raised by Wolves non rappresenta l’esordio sul piccolo schermo di Ridley Scott, bensì il suo ritorno. Prima del definitivo exploit con I duellanti (1977) infatti, la carriera del regista britannico viveva di piccole regie televisive di serial come Adam Adamant Lives! (1966-1967); The Informer (1966-1967); Half Hour Story (1967). Nonostante questo però, il binomio Scott-Raised by Wolves lo si potrebbe intendere come un ipotetico “nuovo inizio”, se non perfino una continuazione dell’occhio fantascientifico scottiano. Una visione in continua espansione nell’ultima decade tra Prometheus (2012); Alien: Covenant (2016); Blade Runner: 2049 (2017); Blade Runner: Black Lotus (2021); Alien (2022).

Nel cast della prima stagione in onda su Sky Atlantic dal 8 febbraio 2021 troviamo Travis FimmelAmanda CollinAbubakar SalimWinta McGrathNiamh Algar; Matias VarelaFelix JamiesonEthan HazzardJordan LoughranAasiya Shah e Ivy Wong.

Raised by Wolves: la sinossi della serie di Aaron Guzikowski

La Terra è devastata da una nuova guerra santa. Ad agire secondo il volere di Dio, i Mitriaci (un ordine religioso di derivazione cristiana), volti a spazzar via gli atei militanti. Due androidi, custodi di embrioni umani, vengono inviati su Kepler 22b per colonizzarlo. Padre (Abubakar Salim) e Madre (Amanda Collin), due potenti androidi da guerra dalla furia distruttiva, riprogrammati per proteggere i bambini umani sul pianeta vergine; dando così inizio a una nuova civiltà atea e libera.

Se Padre è un androide meno complesso della sua compagna, saggio, paziente e affabile, Madre, denominata Negromante, è di tutt’altro peso. Oltre a insegnare ai suoi bambini come sopravvivere, Madre deve anche far sì che loro non credano nell’irreale; assicurando così che il pianeta vergine non sia sconvolto di nuovo dai contrasti religiosi. Desidera che la sua famiglia serva da nucleo per una colonia pacifica e tecnocratica: un nuovo inizio per l’umanità.

Amanda Collin e Abubakar Salim

Dodici anni dopo, solo un bambino, Campion (Winta McGrath), è sopravvissuto. Mentre le prospettive per il futuro della colonia appaiono cupe, i tre scopriranno che non sono gli unici rifugiati dalla Terra in questa parte dell’universo. Insieme a loro una colonia umana è sbarcata sul pianeta vergine. Tra loro membri dell’ordine religioso e atei, come Marcus (Travis Fimmel). Mentre la colonia umana minaccia di essere distrutta dalle differenze confessionali, gli androidi imparano che controllare le credenze degli esseri umani è un compito arduo e insidioso.

Ma gli androidi sognano (ancora) pecore elettriche?

Capiamoci, Raised by Wolves è una creatura a pieno titolo di Aaron Guzikowski, tanto che ad oggi la si può perfino intendere come il suo apice creativo. Ma c’è qualcosa nella serie HBO Max che la rende più vicina al cinema di Scott – e alle sue estetiche – che non all’ancora scarna filmografia di Guzikowski. Opus che sugli scudi annovera finora il brillante Prisoners (2013) e l’infelice Papillon (2017); remake dell’immortale cult di Schaffner del 1973.

A partire ad esempio dal ruolo scenico degli androidi Padre e Madre. Macchine da guerra spietate e dalla caratterizzazione complessa e contradditoria, degna degli Ash e David della mitologia di Alien – con cui condividono anche il viscerale fluido viscoso bianco – ricalibrate però secondo un’accezione umana: paterna e materna. Ci gioca su Guzikowski, istillando loro un’amore parentale genuino ma comunque artificiale, frutto di emozioni algoritmiche.

Amanda Collin e Abubakar Salim in una scena de Raised by Wolves

Nel desiderio di un mondo migliore per loro stessi e la propria unità familiare, gli androidi di Raised by Wolves vivono una simulazione di vita umana più autentica di quella degli uomini della distopia in cui si ritrovano radicati; corrotti, violenti e traviati da una guerra santa posticcia e postmoderna. Desideri ontologici di “sogni di pecore elettriche” che riecheggiano a quelli sognanti e falsamente speranzosi dei Roy Batty e Rachael del Blade Runner di Dick e Scott; trovando quindi nel capolavoro del 1982 un rimando tangibile oltre che una solidissima base citazionista.

Espandere l’Universo: la causale narrativa di Kepler 22b

Forte della causale del racconto però, Raised by Wolves prova a dissociarsi dai marcati rimandi scottiani camminando sulle sue gambe, spingendo i propri androidi sognanti verso un fine alto, volto alla colonizzazione di un nuovo mondo. Gettando le due macchine umanoidi in un Kepler 22b desolato e dalla fotografia fredda e asettica, Guzikowski gioca ancora con l’inerzia della sua creatura narrativa e l’iconografia dei simboli diligentemente costruiti, vestendoli della carica valoriale – e dei ruoli “di contrasto” – di provetti Adamo ed Eva cibernetici e distopici.

Amanda Collin

Qui, nella costruzione di un mondo ateo, libero dal culto e dalla propaganda religiosa, Raised by Wolves espande la propria ratio filmica come perfetto punto d’incontro narrativo tra realtà e finzione. Nel prendere infatti il “reale” Kepler 22b come utopica salvezza (narrativa) dell’umanità, Guzikowski sembra quasi ricostruire la ratio di The Martian (2015) arricchendo di senso la narrazione distopica fin qui presentataci di un tangibile near-future. Codificando così un arguto gioco di mimesi narrativa tra Kepler 22b e il Marte scottiano con cui pervadere la narrazione di Raised by Wolves di un fuoco ottimista su di una nana gialla a 620 anni luce dal sistema solare; subito attenuato dal freddo dell’umanità e della sua corruzione d’animo.

L’Alfa e Omega di Ridley Scott

Se da una parte possiamo intendere Raised by Wolves come un ipotetico “nuovo inizio” o perfino una continuazione dell’occhio fantascientifico scottiano in perenne espansione, dall’altra potremmo perfino spingerci oltre. L’opera seriale di Guzikowski è infatti un autentico campionario narrativo del cinema di Ridley Scott. Gli androidi di Alien riletti secondo una più marcata luce esistenziale di Blade Runner, avvolti in una narrazione che sullo sfondo di una guerra santa degna de Le crociate (2005) vede emergere un near-future che sembra fare il verso all’espediente narrativo di The Martian: l’Alfa e Omega del cinema scottiano.

Non è soltanto questo però Raised by Wolves. Dieci puntate – e con un rinnovo guadagnato in brevissimo tempo – di narrazione solida, corposa, di regole ben definite, contesto scenico immersivo oltre ogni immaginazione, per un racconto tanto classico nell’essenza, quanto moderno nella resa. Praticamente imperdibile.