Terrore dallo spazio profondo, gli Ultracorpi di Philip Kaufman con Donald Sutherland, Brooke Adams, Leonard Nimoy e Jeff Goldblum

Nel 1956 Don Siegel diresse Invasione degli Ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers). Pionieristica opera di genere che a sessantacinque anni di distanza dal rilascio in sala, rappresenta sempre più il simulacro filmico della cosiddetta fantascienza sociale. Oggi blockbusteristiche, kolossali, ma nei suoi anni cinquanta, le narrazioni fantascientifiche fungevano da allegorie maccartiste con cui permeare l’altro, l’alieno – o nel caso specifico di Siegel, l’Ultracorpo – di una fortissima e didascalica componente valoriale di chiaro stampo politico avente ad oggetto gli effetti del Comunismo sull’individuo e la società. Ventidue anni dopo, nel pieno del fervore creativo new-hollywoodiano, Philip Kaufman rilesse l’inerzia dell’Ultracorpo siegeliano secondo le estetiche del thriller paranoico, dando così vita a Terrore dallo spazio profondo (1978).

I titoli di testa de Terrore dallo spazio profondo

Un’unione di anime filmiche tra le sporche e cupe atmosfere pakuliane di opere come Perché un assassinio (1974) e Tutti gli uomini del Presidente (1976) e quella narrativa “di genere” del sci-fi che trovano nell’opera di Kaufman il perfetto incontro tra tradizione e innovazione del genere. E riparte proprio da lì Kaufman, dalla tradizione. Nello specifico dai cammei proprio di Don Siegel e dell’interprete del “primo Body Snatchers“: Kevin McCarthy.

Il link tra passato e presente: Kevin McCarthy e gli Ultracorpi

C’è un piccolo twist postmoderno in Terrore dallo spazio profondo. Il cammeo di McCarthy infatti, è quello di un uomo anziano e urlante, che corre per il traffico cittadino urlando:

Aiuto! Arrivano! Arrivano! Ascoltatemi! Poi toccherà a voi! Vi prego! Anche voi siete in pericolo! È una cosa terribile!

Una riproposizione, di fatto, degli eventi della climax de Invasione degli Ultracorpi, ricalibrati però in modo funzionale alla narrazione kaufmaniana. Come se il “fu” Dr Bennell del ’56 avesse vagato ancora, in preda allo shock, nei successivi ventidue anni; quasi a determinarne un’impropria e indiretta continuity tra opera originale e remake. Espediente che sarà poi riproposto nel “successivo” Invasion (2007) con Veronica Cartwright a fare da legame tra una rilettura e l’altra.

Donald Sutherland nella climax de Terrore dallo spazio profondo

Inoltre, McCarthy e Siegel ebbero il merito di indicare la via a Kaufman a proposito dell’oramai leggendaria climax. In origine infatti, Terrore dallo spazio profondo avrebbe dovuto concludersi con uno sguardo rassicurante tra i due superstiti, con intorno il caos. Interprete e cineasta dell’opera originale però ne erano poco convinti alla lettura dello script. Spinsero così per qualcosa che ricreasse lo spirito della climax de Invasione degli Ultracorpi.

Idearono così, assieme al regista, la chiusa che ha poi consegnato il film all’immortalità cinematografica. Dei cambiamenti informarono il solo Sutherland e soltanto la sera prima di girare la scena, lasciando invece, la Cartwright, del tutto all’oscuro degli eventi; facilitandone così la spontaneità emotiva. All’oscuro furono tenuti gli stessi dirigenti della United Artists che soltanto alla visione del first cut scoprirono della differente risoluzione del conflitto scenico tutta avvolta attorno al magnetico urlo di Sutherland.

Nel cast figurano Donald Sutherland, Brooke Adams, Jeff Goldblum, Leonard Nimoy, Veronica Cartwright; Art Hindle, Don Siegel, Kevin McCarthy e Robert Duvall.

Terrore dallo spazio profondo: la sinossi del film di Philip Kaufman

Nell’immensità dello spazio profondo, una razza di creature gelatinose abbandonano il proprio pianeta morente. Cavalcando il vento solare, si dirigono verso la Terra, atterrando infine a San Francisco. Molti di questi alieni, mischiando il proprio corpo con l’acqua piovana, finiscono su delle piante, assumendo la forma di baccelli di fiori rosa. Alcuni di questi fiori, cresciuti, vengono raccolti da bambini e passanti vari; tra questi figura Elizabeth Driscoll (Brooke Adams), dipendente del dipartimento sanitario di San Francisco.

Portati i fiori a casa, e messi sul comodino, il compagno di Elizabeth, tale Geoffrey Howell (Art Hindle) inizia a comportarsi in modo insolito. Dapprima estroverso, evolve infine in riservato e maniacalmente introverso. Un amico e collega di Elizabeth, l’ispettore sanitario Matthew Bennell (Donald Sutherland) – segretamente innamorato di lei – le consiglia di visitare lo psichiatra David Kibner (Leonard Nimoy); teme infatti che quella di Elizabeth sia una semplice, e comune, paranoia.

Art Hindle

Dopo il ritrovamento di un corpo gelatinoso prossimo alla mutazione nelle piscine di fango di Jack (Jeff Goldblum) e Nancy Bellicec (Veronica Cartwright), Elizabeth e Matthew capiscono che qualcosa di sinistro sta per accadere a San Francisco. Quello che non sanno è che la situazione è ben più grave di quanto possano immaginare.

La rilettura moderna degli Ultracorpi: asciugare l’anima politica dell’opera di Siegel

Gli intenti del bricolage narrativo operato da Kaufman sono sotto gli occhi di tutti. Asciugare l’allegorico sottotesto politico alla base dell’opera di Siegel potenziando, di riflesso, l’anima fantascientifica. Qui declinata in un marcato elemento orrorifico fatto di fluidi e guaine; sangue e sperma; e spaventosi ibridi uomo-cane dal sapore di body horror cronenberghiano.

A fronte di un incipit semplice da cui si denota un linguaggio filmico incisivo e netto che in pochi fronzoli di catapulta al centro del conflitto tra fiori, esseri gelatinosi e repentine mutazioni caratteriali, Terrore dallo spazio profondo vive e prospera nelle atmosfere pakuliane da consumato thriller paranoico. È infatti la cornice di genere alla Una squillo per l’ispettore Klute (1971) che va oltre il cinema di Pakula trovandovi forti rimandi ne La conversazione (1974) e I tre giorni del Condor (1975), la chiave di volta della rilettura moderna offertaci da Kaufman.

Donald Sutherland

Le atmosfere pakuliane, la regia claustrofobica di Philip Kaufman

Il cineasta de Uomini veri (1983) infatti si muove quasi da veterano nel genere, contaminandolo di estetiche noir per mezzo di luci fioche e ombrosi chiaroscuri negli ambienti chiusi, potenziandone gli effetti paranoici attraverso movimenti di macchina delicati: piani medi che fanno pesare le pareti; ravvicinatissimi primi piani su volti ombrati ed iper-espressivi; semi-soggettive falsate dall’abitacolo di un auto a vetro rotto; nonché di un uso da manuale della zoomata: delicata per sottolineare la drammaticità del momento; netta per calcare la mano sulla tensione, quasi fossero jump-scare contraffatti.

Jeff Goldblum e Leonard Nimoy in una scena de Terrore dallo spazio profondo

Una regia marcata, personalmente autoriale, dalle scelte stilistiche ben precise che nel costruire un’immagine avvolta in una fotografia lucida e asettica, finisce con l’amplificare il senso claustrofobico tipico del genere. Kaufman ci gioca su, con grande sapienza e amore per Invasione degli Ultracorpi mutando l’inerzia stessa della narrazione.

Mascherandola dapprima da crisi coniugale e del singolo individuo nella società moderna per poi, con il dispiego di una connotazione orrorifica macabra e “grondante”, mettere la freccia sul puro thriller ossessivamente straniante dal marcato taglio esperienziale; chiudendo infine su di una climax nichilista dal jump-scare leggendario.

Terrore dallo spazio profondo: uno script per tutte le stagioni

Se nel 1955 qualcuno avesse detto a Jack Finney, all’epoca della pubblicazione del romanzo omonimo, del successo cinematografico che avrebbero avuto i “suoi” Ultracorpi probabilmente non c’avrebbe creduto. Giunto ai suoi quarantadue anni fatti di paranoia, denso orrore, e una tensione costruita perfino con il dettaglio di piedi in movimento, Terrore dallo spazio profondo è soltanto una delle tante reincarnazioni dell’opera letteraria di Finney.

Uno script per tutte le stagioni che tra omaggi e ben altri due remake tra Ultracorpi – L’invasione continua (1993) e il sopracitato Invasion, ha vissuto una e più vite cinematografiche di contaminazioni narrative; trovando tuttavia, nelle sue prime due riletture, quella politica e marcatamente orrorifica, il definitivo apogeo creativo.

Robert Duvall

Una bontà di scrittura che vive anche soltanto dell’espediente in apertura di racconto con cui Kaufman va a giustificare il controcampo in soggettiva sulla causale narrativa dei “fiori alieni”: Robert Duvall nei panni di un prete colorito su di un’altalena. Sequenza enigmatica, di suo già straniante. Un’opportunità di racconto “mancata”; un deuteragonista silenzioso e silenziato; certamente un cameo sorprendente e spassoso figlio della collaborazione proficua tra i due ne La banda di Jesse James (1972).

L’ironico non-remake di Kaufman apripista industriale 

Opere come Ultimatum alla terra e La cosa da un altro mondo (1951); La guerra dei mondi (1953); Il pianeta proibito (1956); Invasione degli Ultracorpi; fecero la storia agli albori del genere con la loro carica valoriale politica. Vent’anni dopo – e con il Maccartismo lasciato alle spalle – serviva incanalare le narrazioni su di nuove estetiche e susseguenti nuovi valori.

Jeff Goldblum

Entra qui in gioco Terrore dallo spazio profondo reso dalla visione di Kaufman un tripudio horror di fluidi vari. Un’opera che in modo del tutto non intenzionale spianò la strada ai remake eccellenti hollywoodiani dei vari La cosa (1982); Scarface (1983); La mosca (1986); The Time Machine (2002); La guerra dei mondi (2005); Ultimatum alla terra (2008); e in modo ancora più ardito alla galassia di reboot/remake/sequel/spin-off del cinema dei giorni nostri. Si parte da qui quindi. Da Kaufman e i suoi Ultracorpi quarantennali de Terrore dallo spazio profondo che, tuttavia, ironia della sorte – e a conferma della straordinaria importanza di una simile opera – non è mai stato inteso dal suo autore come un remake effettivo:

Bene questo (Terrore dallo spazio profondo nDr) non deve essere un remake in quanto tale. Può essere una nuova visione; una variazione su un tema.