Cosa si nasconde dietro il successo de IL TRONO DI SPADE?
Ripercorriamo la storia di una delle serie più acclamate del’ultimo decennio, partendo dai romanzi di George R.R. Martin
È trascorso oltre un anno da uno dei finali di serie più attesi, quello de Il Trono di Spade, che dopo ben sette stagioni decide di chiudere il sipario con – dicono in tanti – una rovinosa arrampicata sugli specchi. Aleggia ancora nell’aria l’amarezza e la delusione dei moltissimi fan della serie, rimasti completamente attoniti per scelte narrative e registiche ad opera degli showrunner della serie – David Benioff e D.B. Weiss – riguardanti l’ottava stagione. Gli amanti del gioco del trono richiedono a gran voce la riscrittura del finale con tanto di petizioni online, ma è ormai chiaro da tempo che toccherà accettare a malincuore quello che è stato offerto.
Tuttavia, Il Trono di Spade verrà ricordato per sempre come uno dei prodotti che ha scritto la storia della serialità televisiva contemporanea, non solo per i personaggi ben costruiti ma anche per storia e ambientazione. Ha funzionato, almeno fino ad un certo punto. Si è guadagnata nel giro di poco tempo lo status di cult dando vita a dei veri e propri fenomeni di fandom in tutto il mondo. Eppure, i più scettici si chiedono ancora quale sia l’ingrediente vincente alla base di tale successo. Semplicemente, va ricercato nel filo sottile che collega il nostro mondo a quello della serie.
Quello che rende l’universo de Il Trono di Spade palpabile e riconoscibile nonostante l’elemento magico sono le radici ben piantate nel nostro mondo. Westeros e i personaggi che abitano i Sette Regni sono pregni della nostra storia, della nostra cultura.
Fautore di tutto questo è George R.R. Martin, penna del ciclo letterario Cronache del Ghiaccio e del Fuoco a cui la serie televisiva si ispira. Se già nei romanzi è possibile individuare i riferimenti storici e letterari da cui la narrazione attinge, questi sono ben riconoscibili anche ne Il Trono di Spade per merito della presenza attiva dell’autore sul set, almeno fino ad un certo punto.
La serie televisiva presenta una genesi letteraria e storica ben composta. George R.R. Martin, oltre ad essersi ispirato ai grandi della letteratura per dare un taglio sofisticato alla propria opera, la struttura ispirandosi a fatti storici realmente accaduti. Il risultato? Percepiamo il gioco del trono più reale e vicino a noi, sensazione dovuta anche dall’ambientazione storica: già dalle prime immagini comprendiamo di essere stati catapultati nel Medioevo.
L’interesse che l’autore della saga nutre per gli eventi del passato è risaputo, tanto che decide di ispirarsi a fatti storici realmente accaduti non solo per la narrazione, ma anche per la personalità dei molti protagonisti che animano il ciclo di romanzi e la relativa trasposizione televisiva.
I luoghi della narrazione sono ampi spazi ispirati al nostro mondo e ciò contribuisce a rendere il testo più riconoscibile e vicino a noi. Il lettore/spettatore si immerge quindi in un habitat a lui noto e la cosa interessante è che nonostante Martin sia un autore statunitense, in realtà fa sua la nostra storia e la nostra cultura, quella del continente europeo.
I personaggi sono diversi tipi di umani che in base al proprio ruolo ricoprono una funzione letteraria diversa. Gli eventi, appartenenti al nostro mondo e soprattutto alla storia inglese, rendono la trama avvincente e ricca di sorprese.
LA GENESI LETTERARIA
Il Trono di Spade non è una serie tv come tante altre, al contrario, è un prodotto stimolante perché rappresenta il collegamento sottile tra un testo letterario moderno e le opere classiche più note, avvicinando gli spettatori ai testi fondativi della nostra cultura.
In Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di Martin e nella sua relativa trasposizione in serie televisiva esistono chiari riferimenti ad uno dei più importanti poemi epici in lingua greca a cui si ispirarono fior fiore dei poeti latini nell’Impero Romano, l’Odissea di Omero.
Opere letterarie come l’Iliade e l’Odissea sono state analizzate in ogni loro singola parte da Christopher Vogler, sceneggiatore statunitense, da cui ha tratto uno schema ricorrente a cui ha dato il nome ‘Il viaggio dell’eroe’. Esso consiste nell’approfondire la struttura del mito ad uso di scrittori di narrativa e cinema e rappresenta il viaggio dell’Io cosciente per raggiungere l’Autorealizzazione, l’Individuazione e l’Illuminazione. Nella storia della letteratura diversi studiosi hanno elaborato teorie su Il viaggio dell’eroe, le quali dimostrano come qualsiasi storia finisca per rientrare in determinati passaggi narrativi, e come ogni personaggio possa ricondurre ad un archetipo ricoprendo una determinata funzione. Le funzioni sono studiate in chiave di maschere pirandelliane temporaneamente indossate dai personaggi che, a primo acchito, possono essere visti in un modo e subito dopo in un altro, richiamando proprio il celebre romanzo del drammaturgo – Uno, Nessuno e Centomila– da cui Cronache del ghiaccio e del fuoco e, di conseguenza, Il Trono di Spade si ispirano deliberatamente. Sarà forse un caso che proprio un personaggio chiave del mondo immaginario di George R.R. Martin si identifica come ‘No one’ tradotto in italiano con Nessuno, cambiando connotati in base alle esigenze di narrazione?
ODISSEA: LA BASE CLASSICA
Quindi, molte opere letterarie epiche possiedono un ricorrente filo conduttore: il viaggio.
Il viaggio più famoso della letteratura mondiale e da cui ogni opera a venire ha tratto ispirazione è quello di Ulisse nell’Odissea.
Ne Il Trono di Spade il tema è fortemente sentito. I personaggi, infatti, viaggiano in lungo e in largo per Westeros e ognuno di loro con uno scopo ben preciso: quello più comune è il voler far ritorno a casa, proprio come Ulisse. Un esempio palese è Daenerys Targaryen: la Madre dei draghi vaga per le terre selvagge di Essos con l’obiettivo di raggiungere la capitale, Approdo del Re, quella che lei stessa considera casa per il trono che l’aspetta.
Tuttavia, un altro personaggio del gioco del trono e Ulisse per eccellenza si riscontra in Tyrion Lannister. Il tema del viaggio oltre ad essere esperibile attraverso varie peripezie che lo portano ad ingegnarsi per tirarsi fuori dai guai, diventa anche un percorso individuale, interiore, in quanto spesso si trova a dover fare i conti con un mondo ostile alla propria condizione di nano. Tyrion e Ulisse preferiscono fare riferimento prima di tutto a loro stessi, non fidandosi di nessuno. Provano un forte scetticismo dinanzi al soprannaturale, hanno un timore reverenziale nei confronti della sorte, per certi versi vicino alla superstizione più che alla paura dell’ira divina.
La similitudine è concreta anche nei gesti: Tyrion utilizza una balestra con estrema crudeltà per uccidere il proprio padre e ciò richiama l’arma prediletta di Ulisse, l’arco.
Ma il filo rosso che li lega indissolubilmente è il tema del viaggio per mare e per terra che la sorte porta sul loro cammino e che affrontano soprattutto con l’astuzia, fruibile attraverso le varie stagioni della serie televisiva.
DIVINA COMMEDIA: la morale medievale
Il Trono di Spade è quindi pregno della nostra cultura. Le vicende narrate attraverso la serie avvengono in un periodo storico palesemente medievale e chi meglio di Dante Alighieri per rendere riconoscibile e palpabile questo universo?
La morale medievale è alla base del rapporto individuale tra personaggi.
I riferimenti alla prima cantica della Divina Commedia, Inferno, sono più che riconoscibili: il gioco del trono vi si accosta per la legge del contrappasso. Si tratta di un principio che regola la pena che colpisce i rei mediante il contrario della loro colpa o per analogia ad essa. La narrazione di George Martin si fonda su dei principi fondamentali rispettati dai vari personaggi che animano i Sette Regni, tra cui il diritto all’ospitalità. Essa viene considerata sacra, è una vera e propria legge: quando un individuo, sia egli di nobili natali o umili origini, è ospite di un altro sedendo alla sua mensa e “mangiando del suo pane e sale” viene invocato il diritto all’ospitalità, il quale impone rispetto e protezione nei confronti dell’ospite.
Il poeta fiorentino considera molto seriamente il tradimento di tale diritto tanto che non solo gli riserva una zona infernale specifica, ma spedisce i colpevoli all’inferno ancor prima della morte terrena. I rei vengono sostituiti da diavoli che prendono le loro sembianze nel mondo terreno, impedendo loro di confessarsi e di ottenere quindi qualsiasi forma di redenzione. Si deduce che nell’ottica della morale Dantesca, uno dei peccati più gravi consiste proprio nel tradimento del diritto di ospitalità, considerato il reato per eccellenza nella saga di Martin.
L’esempio simbolo lo si trova nella cieca malvagità de Le Nozze Rosse, un momento che ogni fan della serie tv ricorda con assoluta amarezza. Il Giovane Lupo, Robb Stark, si reca seguito dalla propria corte da lord Frey per rendergli onore e per rimediare ad una mancata promessa di matrimonio. Il massacro di Robb Stark e di tutto il suo seguito si consuma durante il banchetto nuziale di suo zio, Edmure Tully.
Nella trasposizione televisiva la vicenda ha un ruolo centrale in tutta la serie, diventando un vero e proprio fenomeno di massa e scatenando i telespettatori per la crudeltà con cui vengono massacrati alcuni dei protagonisti più celebri della saga. Sulla scia del contrappasso Dantesco, la casata Frey sarà rasa al suolo avvelenata dal vino ad un loro stesso banchetto per mezzo di uno stratagemma messo in atto da Arya Stark, che finalmente consuma la propria vendetta.
IL SIGNORE DEGLI ANELLI: storia di un amore letterario
L’epicità de Il Trono di Spade è indiscussa. Le scene di scontri e guerre sono rese spettacolari da una regia ed una fotografia incalzante, in grado di lasciare lo spettatore a bocca aperta. L’accostamento è automatico, le battaglie e gli scontri ricordano quelli di un’opera cinematografica cult: Il Signore degli Anelli. Il legame con questo mondo altrettanto epico e magico nasce già a livello letterario: uno dei capisaldi di Martin da sempre, infatti, è proprio Tolkien.
L’universo di Martin, a partire dalla saga letteraria per arrivare all’evoluzione televisiva, possiede rimandi concreti alla realtà. A differenza dell’opera di Tolkien, le vicende e i personaggi si muovono in una linea temporale ben precisa, il Medioevo, considerato come un quadro di riferimento epistemologico e valoriale.
Pur essendo entrambe due opere del genere ibrido per eccellenza, il fantasy, anche l’approccio alla magia risulta ben diverso: ne Il Signore degli Anelli i personaggi ricorrono ad essa solo quando è strettamente necessario. Un esempio lo fornisce Gandalf, il quale sembra quasi dimenticarsi di possedere poteri magici: non li considera una soluzione ai problemi, a cui preferisce far fronte grazie alla sua stessa determinazione senza ricorrere a scorciatoie.
Nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, la Donna Rossa, Melisandre, fa della magia un’arma temuta dai suoi nemici accentuando la spettacolarità dei trucchi attraverso pozioni chimiche.
La ragione di questa differenza va ricercata nelle radici dei due universi narrati da Tolkien e Martin: Il Signore degli Anelli è lontano dalla nostra realtà e non ammette un uso smodato della magia; mentre l’opera di Martin è ancorata al nostro mondo, ricorre maggiormente ad essa, proprio come faremmo noi se avessimo a disposizione dei trucchi magici in grado di semplificarci la vita. Tuttavia, ad ogni azione corrisponde una conseguenza e il conto da pagare viene presentato soprattutto a Daenerys e Frodo.
Un altro aspetto che sottolinea la differenza tra le due opere è il concetto di ricchezza: per i personaggi di Tolkien, i soldi sono menzionati prevalentemente con intenti comici; ma nei libri di Martin, al contrario, la lotta al potere è invece un gioco spietato tra esponenti di nobili casate dei Sette Regni, le cui guerre sono dominate da un alto tasso di orrore e brutalità, del tutto assenti nella Terra di Mezzo.
George Martin è un maestro nella molteplicità dei punti di vista dei personaggi e deve questo suo aspetto alla rivoluzione stilistica apportata da Tolkien: la famosa saga letteraria fornisce allo scrittore statunitense l’ispirazione e gli strumenti per organizzare una mole vastissima e complessa di materiale, riuscendo a rendere tutto ciò interessante agli occhi del lettore e coerente lungo la narrazione. Inoltre, Martin eredita da Tolkien anche un altro aspetto di grande interesse: la passione per le lingue. Nel famoso ciclo di romanzi di Tolkien facciamo riferimento alle affascinanti lingue della Terra di Mezzo, per esempio quella dotata di maggiore complessità è il ‘Quenya’. Martin, invece, fa sfoggio della lingua ‘Dothraki’: un linguaggio complesso del popolo nomade dei Dothraki, guerrieri coraggiosi dai lunghi capelli e ben definiti dal punto di vista degli usi e costumi del popolo. Un’ulteriore analogia in questo senso è rappresentata nel nome di Khal Drogo, potente signore della guerra e marito di Daenerys Targaryen; e Drogo Beggins, uno degli Hobbit protagonisti de Il Signore degli Anelli.
Importanti sono i temi comuni ad entrambe le opere, ben riconoscibili nell’importanza che l’avventura in terre sconosciute assume in entrambi i romanzi e nelle relative trasposizioni, o nei viaggi intrapresi da personaggi che non hanno mai lasciato il loro luogo di nascita mentre ora si ritrovano lontani da casa a superare prove tali da mettere in gioco la propria vita, come succede a Jon Snow e Frodo. Inoltre, il tema del potere è al centro di entrambe le opere: l’anello, bramato da chiunque compreso Frodo, pur consapevole della malvagità che ne deriva; così come il trono di spade, la cui conquista è un’arma dalla doppia lama: da una parte ti eleva a Re, dall’altra, molte sono le guerre, i sotterfugi, i tradimenti, gli omicidi efferati per la conquista del titolo.
La somiglianza fra le due opere è riscontrabile anche nell’eterno scontro tra forze opposte, il Bene e il Male, con una distinzione: se nell’opera di Tolkien è presente una netta divisione tra le forze del bene e quelle del male, i personaggi di Martin manifestano tutti una irriducibile ambiguità morale. Di conseguenza, non esistono buoni o cattivi ma solo individui più o meno ligi all’onore e altri disposti a tutto per raggiungere i propri fini.
Un ulteriore spunto d’interesse è riportare che Sean Bean, interprete di Ned Stark nella serie tv Il Trono di Spade, ha recitato anche la parte di Boromir ne Il Signore degli Anelli.
C’è molto di più…
Il Trono di Spade rappresenta il classico mancante. Un classico è definito tale solo grazie al prestigio del passato che, nell’opera di Martin, ci porta ad un punto indefinito della caduta dell’Impero Romano.
Come per il ciclo Arturiano, così per ogni costruzione di mondi – da Il Signore degli Anelli a Blade Runner– il riferimento è quella continuazione dell’Impero Romano alla fine della decadenza, a cui diamo il nome di Medio Evo, età di mezzo.
C’è sempre un eufemismo, una censura quando si parla di cose di mezzo.
La storia, come la geografia, definisce e delimita: un tempo, un luogo, o sono una cosa oppure un’altra. Lineare, circolare, dialettico. Il divenire storico comunque diviene.
Quando facciamo riferimento a cose che non comprendiamo o che non vogliamo esistano parliamo di Medio Evo. Esso è la rappresentazione irreale, puramente astratta della dialettica tra l’antico e il moderno, cioè la sua materializzazione in un luogo fatto di castelli e duelli. È simile ad un’ossessione continuamente emessa, ridefinita e ricreata dalla psiche collettiva e dai suoi interpreti: non solo autori e sceneggiatori, ma ancor prima sono i diversi e avventurosi spettatori de Il Trono di Spade.