RECENSIONE DI DUNKIRK,
IL NUOVO WAR MOVIE DI CHRISTOPHER NOLAN

Per parlare di un film di Christopher Nolan, così come per qualsiasi prodotto artistico, bisogna lasciare da parte qualsiasi fanatismo. No, Dunkirk non è Orizzonti di Gloria e non siamo di fronte al nuovo Kubrick. No, Dunkirk non è Salvate il soldato Ryan e il regista britannico non è Steven Spielberg. Semplicemente: Christopher Nolan è Christopher Nolan, con i suoi pregi e i suoi difetti.

È importante capire il danno che i numerosi paragoni, nati dopo le prime proiezioni, stanno facendo al film. Perché Dunkirk ha come forza, cuore pulsante, l’idea di essere un progetto unico nella storia del cinema. Allo stesso tempo però il racconto dell’epico salvataggio sulle coste della Francia, insiste troppo nel mostrare le sue intenzioni e, in questo trova gran parte delle sue carenze.

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Dunkirk, di Christopher Nolan (2017)

Partiamo da quello che non funziona, proprio perché non faremmo giustizia alla pellicola se ci limitassimo a lodarla ciecamente. Nolan è un regista rigoroso, ambizioso e saldo. È amato da Hollywood per la sua incredibile capacità di gestire set complessi, rispettare le scadenze e regalare grandi incassi. Questa dote, che potremmo definire “industriale” è diventata sempre di più una cifra stilistica. Eppure il cinema non vive di precisione, ma di caos controllato. L’adrenalina non viene dalle coreografie, ma dall’impressione di essere in presenza di qualcosa. Dunkirk invece riesce a raggiungere questo obiettivo solo nelle sequenze aeree, per loro natura imprevedibili e incontrollabili. Quando siamo a terra, il racconto che vede come protagonisti i soldati, gli esseri umani fatti di carne ed ossa, ha un sapore artificiale. Non finto, si intenda, ma proprio costruito.

Il set è ricreato con una precisione che ha dell’impensabile, i movimenti delle truppe sono pianificati al minimo movimento per garantire la migliore inquadratura possibile. Eppure, questa cura, non rimane invisibile. Ecco quindi che i soldati in fuga sembrano seguire linee prestabilite prima del “ciak si gira”. La composizione delle immagini è fin troppo pulita e armonica per potere restituire il senso caotico e di panico della spiaggia. Le linee di composizione oblique, la rottura della regola dei terzi, avrebbero aiutato.

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Dunkirk, di Christopher Nolan (2017) dunkirk recensione

Sembra ingiusto essere così puntigliosi con un film del genere, ma non è un dettaglio da poco. La guerra è fatta di caos, di fango e, soprattutto, di sangue. Le esigenze commerciali, che, va ribadito, non sono da condannare e trovano in Nolan il più fedele esponente, hanno portato ad un film edulcorato da qualsiasi sofferenza. Tarantino insegna che, senza vedere i personaggi soffrire, fatichiamo ad immedesimarci. Nolan sceglie di fare un kolossal di guerra senza sangue, senza lacrime, senza dubbi morali e per questo il risultato finale è meno incisivo di quanto ci si aspettava.

Ed è qui il cuore delle debolezze di Dunkirk, forse l’ultima, in un mare di meriti: i dialoghi, pochi e poco riusciti, non sono in grado di farci provare emozioni complesse con e per i giovani soldati.

Il vero protagonista è infatti la battaglia, raccontata attraverso tre storyline intrecciate. Non c’è un personaggio vero e proprio in cui identificarsi, uno la cui psicologia venga approfondita ed esplorata nelle sfumature più umane. Non è necessario avere dei personaggi ben scritti, si intenda, per avere un buon film. È invece necessario se si vuole provare un’emozione che vada oltre il semplice gioco spettacolare.

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Dunkirk, di Christopher Nolan (2017) dunkirk recensione

Per il resto Dunkirk è un grande gioco spettacolare. Un film che non si ferma un attimo e riesce a fare percepire la presenza del nemico pur non mostrandolo mai in faccia. La guerra è raccontata alla perfezione: la battaglia risulta frammentata nello spazio e nel tempo, riassunta e interiorizzata dal montaggio. Il sonoro, straordinario, definisce la melodia interna del film. La colonna sonora di Hans Zimmer tocca qui una delle vette della già brillante carriera del compositore. Raramente si è potuto ascoltare una traccia sonora così integrata con il senso della pellicola e così ritmata con il montaggio. Il ticchettio, interminabile e ossessivo, rappresenta le fondamenta attorno alle quali viene costruito l’edificio emotivo del film. Il tempo diventa concreto, viene immortalato su pellicola (nei suoi gloriosi 70mm, formato raccomandato per la visione). Il motore degli Spitfire è, come detto dal personaggio di Mark Rylance, il suono più gradevole che si può ascoltare in battaglia. Così è per tutti i 107 minuti, visivamente incredibili e sconvolgenti, che immergono gli occhi dello spettatore (ma non il cuore) nella battaglia.

Senza ombra di dubbio il film verrà ricordato per le riprese aeree, sconvolgenti per intensità e precisione. Un’opera maestosa di avanguardia pura.

Gabriele Lingiardi

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