Abbiamo intervistato il regista indipendente Andrea Maccarri, autore dei cortometraggi horror “Il caso della belva del plenilunio”, “Absistite luco” e “Mildville – The Lambert Tapes”. Ecco cosa ci ha raccontato!
Andrea, sei riuscito grazie ai cortometraggi che ha realizzato a riesumare il cinema di genere italiano che, come sappiamo, ha spopolato negli anni 70 e 80 in tutto il mondo e ancora oggi detiene una larga schiera di seguaci.
Ti ringrazio per le belle parole, ma riesumare o far risplendere quel fantastico periodo credo spetti ai veri addetti ai lavori. Il mio è solo un piccolo omaggio a quelle storiche pellicole che tanto ci hanno deliziato, nella speranza di non averle oltraggiate troppo.
Prima di parlare delle tue opere vorrei farti una domanda da malati di cinema, da dove nasce la tua passione? C’è qualche film a cui sei più affezionato oppure un genere?
Maestri come Fulci, Bava, Argento, Carpenter, Friedkin e molti altri. Una volta che ti ci imbatti non ne puoi fare più a meno. Per non parlare dei tanti artigiani di un cinema, molte volte bistrattato, ma che considero alla fine i veri motivatori, quelli che hanno trasmesso in me quella passione di mettermi in gioco e sperimentare.
I tuoi film della vita in assoluto?
“L’esorcista”, “Suspiria”, “Halloween”. È chiaro che ce ne sarebbero tantissimi altri, così come altri autori che non ho menzionato, ma nel podio sono loro che mi hanno fatto completamente perdere la testa.
Visionando i tuoi cortometraggi horror, “Il caso della belva del plenilunio”, “Absistite luco” (qui la recensione) e “Mildville – The Lambert Tapes”, hanno in comune la tecnica del found footage, ovvero quando parte di ciò che viene mostrato allo spettatore è in soggettiva, aumentando così il senso di claustrofobia e tensione. Puoi spiegarci il perché di questa scelta?
Il mockumentary mi ha sempre affascinato, da quello che può considerarsi il capostipite, “Cannibal Holocaust”, fino ai più recenti. La tecnica del falso documentario a mio parere ti permette di creare storie interessanti e comunque particolari, miscelando realtà e finzione. In “Absistite luco”, per esempio, non sei il solo che hai notato più di un riferimento a “The Blair Witch Project”, con la differenza che qui abbiamo sperimentato una vera e propria commistione di generi, sia appartenenti al cinema italiano che a quello internazionale.
All’inizio dei corti compare la scritta “M/S produzioni”. Si tratta di una casa di produzione creata da te? Ti occupi anche di creare personalmente i trucchi scenici?
Più che una casa di produzione è una crew di persone, ma soprattutto di amici che con passione si dedicano alla cura di un po’ di tutto. Sul set non sono assolutamente un sergente in stile “Hartman” o “Gunny”, ma una persona che ascolta e accetta ogni tipo di consiglio. Lavorare in comunione d’intenti per un unico risultato è quello che conta.
Vorrei iniziare a parlare del corto “Il caso della belva del plenilunio”. Una trama davvero inquietante, che si basa su un’intervista svolta da una tv locale ad una persona che vive in un casolare, il cui padre, in passato, si è macchiato di feroci delitti. Qualcuno del paese inizia a vociferare che l’uomo aggredisce le sue vittime diventando un lupo. Nel realizzarlo ti sei ispirato a qualche leggenda popolare?
Si, mi sono ispirato ad alcune leggende e presunti casi reali raccontatemi in tenera età. Il mito dell’uomo-lupo, una maledizione che si abbatte su di una famiglia già colpita duramente da altre disgrazie personali…tutto questo all’interno di una società marcia e cinica pronta a voltarti le spalle nel momento del bisogno.
Passando ad “Absistite luco”, la trama ricorda a tratti “The Blair Witch Project”, soprattutto i personaggi dispersi nel bosco e preda di qualche sortilegio. Sei rimasto molto colpito da questo film quando terrorizzò le sale circa 20 anni fa?
In “Absistite luco” si nota l’omaggio al film citato, ma poi si sviluppa una storia che va a toccare diversi generi, tra i quali il grottesco, la commedia demenziale e persino lo slasher.
C’è anche una certa ritualità che viene mostrata con dovizia di particolari e simboli satanici. Mi ha fatto ricordare qualche scena dei b-movie italiani dove si parlava di stregoneria. Ti sei ispirato a qualcosa del genere oppure hai studiato argomenti relativi all’occulto?
Film come la “La maschera del demonio” e “Riti, magie nere e segrete orge nel trecento” mi hanno ispirato molto, soprattutto per quanto riguarda le scene girate all’interno delle grotte in tufo. Per il resto ci siamo vagamente ispirati alle leggende sulla stregonerie del nostro territorio, il Lazio.
“Mildville – The Lambert Tapes” farà sicuramente storia, qui si inizia a respirare una contaminazione di generi: quando dicevo che hai riesumato il cinema di genere intendevo proprio questo. Anche la rivista, specializzata nel cinema di genere, Nocturno, ne ha parlato molto bene.
Beh, devo essere sincero, “Mildville” è il lavoro che ci ha regalato più soddisfazioni.
Oltre a selezioni ufficiali in festival importanti come il FI-PI-LI sono arrivate anche ottime recensioni come quella sulla prestigiosa rivista Nocturno, a cura di Davide Pulici.
“Mildville”, non so se farà strada, magari seguendo un iter distributivo, però per ora posso ritenermi abbastanza soddisfatto.
Il bianco e nero molto tendente al chiaro, che hai usato all’inizio del film per mostrare una scena del passato, mi ha ricordato i primi film di Mario Bava. Hai voluto omaggiare il gran maestro del gotico? La filastrocca, riadattata da Rita Ippoliti, una cantante di grande talento, è riuscita a farmi ritornare alla mente una frase di Dario Argento che spiegava quanto l’infanzia può essere inquietante vista dagli occhi di un adulto. Tu che ne pensi? Gli elementi che richiamano a quando eravamo bambini sono sempre funzionali in un horror?
Non voglio passare assolutamente per un innovatore dell’underground italiano. Parlando confidenzialmente, non ne avrei le credenziali, le capacità per farlo. Io cerco solo di fare le cose che più mi riescono. E se queste cose passano attraverso omaggi a grandi pellicole del passato, venendo in un certo qual modo apprezzate, allora sono felice.
Hai la capacità di porre l’attenzione sui dettagli, come il coltello insanguinato che tocca sul muro, che fa presagire la scena cruenta che susseguirà. In questo dettaglio hai tratto ispirazione alla scuola hitchcockiana oppure da qualche film in particolare?
In “Mildville” sono state girate delle scene in soggettiva, dove fino alla fine non riesci a capire chi sarà il vero assassino, così per alcuni primi piani della vittima che sta per essere uccisa e per i dettagli dell’arma da taglio. Direi che “Profondo rosso” è stato molto influente in tutto ciò.
Concludendo, mi sono arrivate voci che stai lavorando a nuove produzioni, superando qualsiasi aspettativa. Cosa ci puoi accennare per ora?
Attualmente siamo alle prese con la lavorazione del lungometraggio “Dawn of Vincent”, per la regia di Riccardo Ceppari e del sottoscritto, e prodotto da Riccardo Ceppari, Rita Ippoliti, Massimo Bezzati, e di nuovo me medesimo. In “work in progress” un progetto, chiamiamolo “metacinematografico” dove ci sarà la collaborazione di Giorgio Borroni, Massimo Bezzati, Rita Ippoliti e Riccardo Ceppari… di più non posso svelare.
Grazie per la tua disponibilità e perseveranza nel continuare a portare avanti la tradizione del cinema di genere italiano. Attendiamo un’altra tua opera che, siamo sicuri, ci farà raggelare il sangue!
Grazie a te. W il cinema indie!
Intervista a cura di Alessio Frosini