Rio Bravo, terzo capitolo della Trilogia della Cavalleria Nordista di John Ford con John Wayne, Maureen O’Hara e Claude Jarman Jr

Tra gli anni Quaranta e Cinquanta, il cinema di John Ford prese una piega sociale, caratterizzandosi, in particolare, di personaggi maggiormente legati al retaggio americano e al folklore. Portatori sani di valori, perfettamente configurati nell’accezione baziniana del western come “il cinema americano per eccellenza“. Attraverso il tema del viaggio infatti, Ford dava vita a personaggi con cui andare a configurare temi come la lealtà; il senso della famiglia; il Mito della Frontiera; quest’ultima in particolare, andrà via via a sfumarne l’accezione in negativo, raggiungendo il punto di disillusione massima ne L’uomo che uccise Liberty Valance (1962). Cinquantaquattro anni prima però, Ford realizza il primo tassello della Trilogia della Cavalleria Nordista, con quel Il massacro di Fort Apache (1948) – a cui seguiranno I cavalieri del Nord Ovest (1949) e Rio Bravo (1950) – che è si celebrazione dei valori dell’Esercito Unionista, ma anche sagace riflessione sull’etica militare e dell’uomo.

I titoli di testa di Rio Bravo

A settant’anni dal suo rilascio in sala, l’opera di chiusura della Trilogia della Cavalleria si caratterizza per un linguaggio filmico più delicato e attento ai sentimenti. Escludendo quasi del tutto la classica dicotomia cowboy-indiani che pur avendo un certo peso nell’economia del racconto, resta sullo sfondo, quasi a certificarne gli intenti narrativi. Non sorprende quindi che Rio Bravo non fosse esattamente tra i film di cui John Ford andasse particolarmente fiero; per via anche di un budget ridotto all’osso, per l’esattezza dimezzato rispetto a Fort Apache.

Fortemente criticato al momento dell’uscita, per via della sua forte – e insolita – componente musicale; in realtà quella che per i critici dell’epoca ha rappresentato la debolezza di Rio Bravo, è la sua stessa forza. Dando così musicalità e magia al racconto, rievocando in parte le atmosfere di Sfida infernale (1946) e della sua scena Shakespeariana con Victor Mature sugli scudi.

Rio Bravo rappresenta, soprattutto, l’inizio di un importante sodalizio artistico, quello tra John Wayne e Maureen O’Hara. I due lavoreranno assieme in altre quattro pellicole, due delle quali dirette – le prime due – proprio da John Ford: Un uomo tranquillo (1952); Le ali delle aquile (1957); McLintock! (1963); e Il grande Jake (1971).

Rio Bravo: la sinossi del film di John Ford 

1879, il Colonnello Kirby Yorke (John Wayne) è di ritorno da una battuta di caccia sulla frontiera texana. Un giorno in un gruppo di giovani reclute guidate dal Sergente Quincannon (Victor McLaglen), arriva il soldato semplice Jefferson Yorke (Claude Jarman Jr); non un caso di omonimia chiaramente, piuttosto il figlio del Colonnello che non avendo superato le prove di matematica a West Point ha ripiegato come soldato semplice. Tra i due c’è totale distacco e freddezza. Kirby non vedeva infatti suo figlio Jeff da quindici anni, da quand’è nato. Nonostante tutto però, ha istintivamente un senso di protezione dietro l’apparente gelo; tenendolo d’occhio e informandosi sulla sua vita a Forte Stark.

Quando però il ragazzo sta iniziando ad ambientarsi e a scrollarsi di dosso un’etichetta ingombrante, ecco arrivare la madre Kathleen (Maureen O’Hara); decisa a riportare a casa il figlio e a fargli riprendere gli studi all’Accademia Militare. Tra serenate; assalti indiani e la caparbietà di Jeff a perseguire i suoi scopi; Kirby e Kathleen si riavvicineranno. Forte Stark diventerà così la culla di una nuova unità familiare, ma non sarà facile preservarla.

John Wayne

La ratio filmica opposta a Il massacro di Fort Apache 

L’immensità delle Monument Valley; la Cavalleria in movimento; l’immancabile cavalleggero che suona la tromba e la scritta in calce “John Ford”. L’arrivo in campo base; il forte che dispiega le sue porte; i bambini che corrono festanti incontro ai propri padri; un’incisiva zoomata in campo medio; il volto fiero e temerario del Colonnello Kirby Yorke di Wayne; e il rigore geometrico dello sfilare della Cavalleria in campo lungo. Apre così il racconto di Rio Bravo, in una codifica d’immagini che ha davvero su scritto “John Ford” a ogni frame. In appena una manciata di inquadrature infatti, il cineasta de La carovana dei mormoni (1950) pone le basi tematiche e d’atmosfera d’insita celebrazione della narrazione.

Rispetto ai precedenti Fort Apache e I cavalieri del Nord Ovest però, Ford agisce in forte contrasto a livello di costruzione d’immagine. In una messa in scena dalla forma maestosa e trionfante fatta di panoramiche e campi lunghi che va in netta contrapposizione con uno stile registico certamente grandioso ma dal respiro più intimo e raccolto.

John Wayne in una scena di Rio Bravo

Questo per via di una differente ratio filmica or anche del focus del racconto. Rio Bravo nasce infatti come sequel speculare – e non dichiarato – de Il massacro di Fort Apache. Opponendosi così, del tutto, a una narrazione pessimista che poggia le sue fondamenta sul passato bellico del suo cineasta, nonché sulle scorie di un mondo in pieno Dopoguerra. Rio Bravo è invece benevolo, glorioso, speranzosamente positivo. Ponendo sullo sfondo delle deuteragonistiche Monument Valley e dell’eterna dicotomia di genere, un racconto d’amore familiare e in special modo figliare.

Da Fort Apache a Rio Bravo: il ritorno di Kirby Yorke

Anello di congiunzione di una transizione dei toni più ottimistica è il Kirby Yorke di Wayne; eroe fordiano portatore di valori – simulacro dei più tipici dell’accezione baziniana del cinema western. Un semplice caso di omonimia con l’opera del ’48 che va però ad arricchire di senso il racconto nella sua interezza. La sua evoluzione narrativa da Fort Apache a Rio Bravo si declina da Capitano con il compito di ricucire gli elementi di valore spazzati via dal Thursday di Fonda; a Colonnello con cui insegnare e permeare scenicamente questi stessi valori. Al cambiamento della ratio va di pari passo l’evoluzione del suo agente scenico: testimone del tempo e alter-ego del suo stesso regista.

John Wayne in una scena di Rio Bravo

Un’evoluzione, che se tra Fort Apache e Rio Bravo sembra quasi uno strappo tematico diventa piuttosto una sfumatura figlia del peso specifico assunto nella Trilogia della Cavalleria da I cavalieri del Nord Ovest. L’opera del ’49 infatti, è per davvero il cuore del progetto narrativo di John Ford in quei toni più delicati e sentimentali permeati dal crepuscolare Nathan Brittles che trovano rimandi concreti nel “nuovo” Kirby Yorke.

Rio Bravo: l’influenza de I cavalieri del Nord Ovest

Espediente tematico e di toni che trova terreno fertile nello sviluppo delle dinamiche relazionali con la Kathleen della O’Hara e il Jefferson di Jarman Jr; oltre che per innescare l’arco di trasformazione di Yorke – nel ricostruire l’unità familiare e la salvaguardia dei valori di riferimento. Così facendo, Ford valorizza la componente di senso di Rio Bravo e dei suoi stessi agenti scenici. Partendo da una certa fermezza e rigidità d’animo che va a diluirsi e addolcirsi tra serenate e “far bei sogni” da una parte; e un vigilare silenzioso sulla carriera militare del figlio dall’altra.

John Wayne e Maureen O'Hara in una scena di Rio Bravo

Ed ecco quindi il cuore del racconto di Rio Bravo: dinamiche relazionali che agiscono non soltanto in via univoca verso la dimensione caratteriale del Colonnello Yorke di Wayne, ma anche nell’unità familiare di riferimento. Nell’accettazione di Jefferson all’autorità paterna che è anche auto-affermazione come individuo e soldato; e in Kathleen che da elemento di “disturbo” del contesto scenico di Forte Stark diventa invece parte integrante e forza propulsiva.

Sullo sfondo, l’elemento caratteristico del cinema fordiano. Quella dicotomia cowboy-indiani che trova in Rio Bravo una sua espressione massiccia, intensa; sequenze action fatte di carrellate valorizzate da una regia, come detto, maestosa e ad ampio raggio. Nella climax del racconto, Ford cuce saldamente le componenti romantico-sentimentali e “di genere” in un padre che riabbraccia finalmente suo figlio dopo quindici anni e in un’unità familiare finalmente rinsaldata. Imperniandole nei contorni caratteriali del Kirby Yorke di Wayne con cui portare a compimenti gli intenti narrativi di Rio Bravo.

Il più hawksiano dei western di John Ford

Come molti sapranno, Rio Bravo non è il titolo originale dell’opera di chiusura della Trilogia della Cavalleria; piuttosto un italianismo dovuto alla distribuzione cinematografica dell’epoca, che non si discosta molto dal titolo originale: Rio Grande. Da “Bravo” a “Grande” cambia ben poco, essendo infatti due dei nomi con cui viene chiamato l’omonimo fiume che funge da spartiacque tra Stati Uniti e Messico. Nell’economia di una critica filmica però, il titolo Rio Bravo va ad associarsi all’omonimo film di Howard Hawks: in Italia noto come Un dollaro d’onore (1959).

In tal senso, nella sua marcata accezione musicale e nel dare maggiormente spazio alla componente romantico-sentimentale lasciando sullo sfondo la dicotomia cowboy-indiani l’opera di Ford è molto più vicina al capolavoro di Hawks che non alle restanti forme filmiche; ora nell’opus fordiano; ora in riferimento a Fort Apache e I cavalieri del Nord Ovest. Rendendolo così, non tanto un unicum perché di sentimentalismo e atmosfere similari il cinema di Ford ne è pieno, piuttosto una piacevole rilettura del genere in una cornice dichiaratamente classica; lontana dal tipizzato topos del viaggio, a favore di una maggiore “dinamica da Forte”. Espressione della duttilità artistica del padre del cinema western, e delle tante vite del più grande genere d’intrattenimento del cinema moderno americano.