Jonathan Glazer torna a riflettere sull’orrore umano nel film La zona d’interesse.

Candidato a cinque premi Oscar, il nuovo lungometraggio di Jonathan Glazer arriva sale italiane il 22 febbraio 2024, nove mesi dopo il suo debutto alla 76esima edizione del Festival di Cannes dove ha vinto il Grand Prix Speciale della Giuria.

A distanza di dieci anni da Under the Skin, Glazer si misura di nuovo con l’orrore. Se prima era l’incontro con il cosmico alieno a smascherare la cruda violenza terrena, ora è ritornando alla Storia che si ragiona sul male intrinseco dell’umanità.

Di cosa parla La zona d’interesse?

Ispirato all’omonimo romanzo di Martin Amis, il film ruota attorno alla quotidianità della famiglia Höß, composta da Rudolf (Christian Friedel), comandante di Auschwitz, dalla moglie Hedwig (Sandra Hüller) e dai cinque figli. Il lungometraggio racconta i giorni nella pallida villetta idilliaca costruita a un passo dal campo di concentramento.

La zona d'interesse, Jonathan Glazer
© Courtesy of A24 – Via I Wonder Pictures

Una regia al servizio della Storia

Il tema dell’Olocausto è stato largamente esplorato nella storia del cinema da molteplici punti di vista diversi, portando delle riflessioni ontologiche sulla rappresentazione dell’orrore.
Ciò che distingue il film di Glazer nel contesto è senza dubbio la messa in scena: La zona d’interesse si muove proprio attorno ai contrasti, ai dislivelli tra la quotidianità del perfetto nucleo ariano degli Höß e il campo di Auschwitz così prossimo. Tutto ciò è reso perfettamente da una regia quasi asettica, dove la macchina da presa si muove selettivamente, esasperando la fissità in armonia con una scenografia da esposizione. I campi sono spesso lunghi e lunghissimi, i soggetti sono inquadrati con distacco a figura intera con primi piani rari, dedicati piuttosto a oggetti o dettagli naturali.

Ne La zona d’interesse il Male non è esibito, piuttosto è proprio nel non detto, e soprattutto del non visto, che si sviluppa il suo messaggio terribile. Quello di Glazer è infatti un film sul fuori campo metaforico e letterale, è ciò che succede all’esterno del campo di concentramento e dal campo visivo della videocamera il punto nevralgico del lungometraggio. Di Auschwitz vediamo i fumi, la cenere e i cavi di filo spinato, spesso sentiamo dei confusi rumori. La poetica viene infatti supportata da un tessuto uditivo complesso e stratificato, grazie alla colonna sonora di Mica Levi e al mix sonoro di Tarn Willers e Johnnie Burn, che in questo caso diventano indispensabili nel veicolare l’essenza del film. Non c’è una pretesa estetica nella regia formale e distaccata di Glazer, che dice molto senza mostrare, donando al film un’incredibile potenza.

Sandra Hueller ne La zona d'interesse
Foto: I Wonder Pictures

Una lezione sulla complicità

Il protagonista de La zona d’interesse è ispirato alla figura reale di Rudolf Höß, comandante di Auschwitz per quattro anni, giustiziato nel 1947 in seguito al processo di Norimberga. Höß, come tanti altri nazisti prima e dopo di lui, fino alla fine dei suoi giorni ha continuato a giustificare le sue azioni in nome dell’ubbidienza verso i suoi superiori, discolpandosi dalle accuse in quanto mero esecutore.

È proprio la lezione della filosofa Hannah Arendt – citata spesso puntualmente in relazione al film – che funge da chiave di lettura del lungometraggio. L’automatismo nell’eseguire ordini terribili rende il comandante quasi impiegato pubblico, tra burocrazia e ripetitività. L’orrore sta proprio in questa meccanicità della deumanizzazione, nel maneggiare e utilizzare quotidianamente oggetti sottratti agli ebrei internati e nel prendere quotidianamente decisioni per migliorare il profitto della macchina della morte.

Anche nello strato più contenutistico ritorna la questione del fuori campo, stavolta nel suo senso più etico: la famiglia è realmente disinteressata o fa finta di non vedere? Il resto dell’Europa allo stesso modo si può dire abbia voltato lo sguardo altrove? “Il complice è altrettanto carnefice”, sembra dichiarare Glazer.
Questa cecità poi, andando oltre, può essere interpretata anche come una sfida allo spettatore e alla sua complicità di scegliere quanto immergersi nelle immagini.

La zona d’interesse è un film da vedere?

Il lungometraggio di Jonathan Glazer è un’opera complessa, decisamente respingente per un certo tipo di spettatore. È infatti necessario approcciarsi a La zona d’interesse con un pizzico di consapevolezza e sensibilità, poiché l’autore richiede in larga parte che lo spettatore colga le tracce e gli indizi che dissemina. Chi sceglie di accettare il patto con Glazer viene trascinato in uno spettacolo impietoso e totalizzante che sfrutta al massimo il mezzo cinematografico. La zona d’interesse è, in questo senso, un film straordinario, destinato a lasciare il segno nella storia del cinema.