Piero Messina porta al cinema Another End, una storia di amore e lutto in chiave fantascientifica, con protagonista Gael García Bernal.

Di cosa parla Another End?

In un tempo non ben specificato esiste una tecnologia, Another End, che permette di fare il download della coscienza di una persona morta e di trasferire il tutto nella mente e corpo di qualcun altro con l’obiettivo di dare la possibilità a chi rimane di dire addio ai propri cari. Sal (Gael García Bernal) ha da poco perso la moglie Zoe in un incidente e sua sorella Ebe (Bérénice Bejo), che lavora per la società Aeterna che sviluppa la tecnologia di trasferimento, gli consiglia di provare con Another End per poterla vedere un’ultima volta. Dopo la perplessità iniziale Sal segue il consiglio, ma si trova di fronte una donna completamente diversa dalla moglie (Renate Hansen Reinsveen), un corpo estraneo che però custodisce, in tutto per tutto, la coscienza e i ricordi di Zoe.

Una nuova fine?

Il film si apre sulla dissolvenza delle parole The-End che si tramutano nel titolo Another End, mettendo già lo spettatore di fronte al tema principale del racconto: il delicato passaggio dalla vita alla morte, passando per quella che sembra prospettarsi come una fantascientifica rassicurazione della fine di ogni uomo.

Piero Messina, già assistente alla regia di Paolo Sorrentino ne La grande bellezza, ha ereditato la capacità di lavorare sulla visione e l’impianto filmico con una buonissima resa, ma forse resta ancora acerbo a livello di scrittura. Il film è sorretto completamente dalle atmosfere oscure ed intriganti della messa in scena, che raccontano molto più dello stato d’animo dei protagonisti di quanto non facciano le parole.

La malinconica storia d’amore costruita da Messina, infatti, strizza l’occhio a film come Eternal Sunshine Of The Spotless Mind o Her, ma fatica a sorprendere. Va dato atto al regista di aver assemblato un cast di talento, calato in questo futuro presente, e aver ricreato un’atmosfera convincente.

Gael Garcia Bernal ©Indigo Film

Quel filo sottile che lega due mondi

Another End attinge al cinema di genere combinando vari pezzi di un puzzle: il dialogo sulla morte, il lutto, il potere “curativo” dei ricordi e le bolle sociali, sempre più piccole e esclusive. Il rischio, però, in casi come questo, è quello di incorrere in una scelta narrativa più lucida che emotiva senza lasciare troppo spazio alle suggestioni.

Il film si interroga su tante questioni riguardanti il tema dei ricordi personali, se siano o meno attendibili, o sulla tematica dell’amore vissuto incondizionatamente al di là della fisicità, ma soprattutto apre una vasta gamma di problematiche etiche e filosofiche a cui non sa trovare risposta.

Another End sembra non preoccuparsi fino in fondo del discorso morale che sviluppa e, anzi, Messina pare poco interessato all’effetto psicologico che porta all’elaborazione di un lutto attraverso la persona stessa che è venuta a mancare.

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Gael Garcia Bernal, Renate Reinsve. Photo by Luisa Carcavale © Indigo Film

L’egoismo dei vivi

La questione al centro della narrazione, e che soprattutto tiene banco post visione, è sicuramente quella sul dialogo etico di “giusta fine”; dare la possibilità, a persone morte in circostanze violente, di elaborare la loro condizione e trovare conforto in questo passaggio nei propri cari ancora in vita. Entra però in gioco una condizione di contraddizione tipica dell’essere umano: l’egoismo dei vivi.

Al di là del dibattito etico e mistico, il film ambisce, mettendo il campo temi come l’anima e la coscienza che sopravvivono al corpo fisico e lo sfruttamento del corpo prestato come contenitore di informazioni, a raccontare l’appagamento personale anche nei confronti della morte stessa.

Se si pensa al finale (senza spoiler) viene quasi da riflettere sul vero valore del progetto di Another End. Pacificare il trapasso dei morti o colmare la mancanza nei vivi?