Jason Reitman

Jason Reitman è uno di quelle rare persone che solo a guardarla suscita simpatia. Figlio di Ivan Reitman, regista di commedie divenute cult come I gemelli, Junior e Ghostbusters (il cui terzo capitolo sarà firmato proprio da Jason) a tratteggiare gli occhi vispi e il viso gentile di questo giovane autore, classe 1977, modellandolo come se fosse un suo nuovo, simpatico progetto, sembra essere stato proprio il padre. Eppure basta guardare con la dovuta attenzione i film usciti dalla fucina immaginifica di Jason per capire che dietro a quel viso simpatico si nasconde uno dei narratori della società contemporanea più interessanti al cinema. Sin dal suo primo film, Thank you for smoking, si insinua silente nella sua produzione una lettura priva di bigottismo e ostentata ipocrisia.
Un’autorialità che non teme di toccare con sgomento e sarcasmo un delicato argomento come la famiglia e i suoi precari equilibri. Da giovani ragazze rimaste incinte troppo presto (Juno, 2007) a donne che si comportano come bambine viziate e poco lucide mentalmente (Young Adult, 2011), a uomini ossessionati dal proprio lavoro a discapito dei rapporti interpersonali (Tra le nuvole, 2009), fino a senatori candidati alla Casa Bianca che finiscono al centro di scandali per tradimenti coniugali (The Front Runner, 2018) Reitman tesse, film dopo film, un fil rouge con cui collegare la propria opera e trascinare i propri protagonisti verso il baratro dell’implosione familiare. Megalomani, viziati, capricciosi, affetti da una sindrome di Peter Pan difficile da limare. Sono questi gli uomini e le donne che abitano il microcosmo cinematografico creato da Jason Reitman. Ma se da una parte i protagonisti maschili ostentano una sicurezza che finirà ben presto per rivelarsi una maschera di cera pronta a sciogliersi al sole, (rivelando così la loro incapacità di gestire i sentimenti e affrontare le conseguenze delle proprie azioni), quelle femminili sono figure toste, che si portano sulle spalle il peso di una casa, di un futuro incerto, o di un marito fedifrago. Sono donne ben rappresentate dalla sceneggiatrice Diablo Cody (i due collaboreranno per tre film: Juno, Young Adult, Tully) e talmente determinate (a volte anche ossessionate) dai propri obiettivi tanto da rischiare il tutto per tutto pur di ottenere quello che vogliono (sebbene non ci riescano sempre, come dimostra il personaggio di Marcis Gray, interpretato da una fantastica Charlize Theron in Young Adult).

Jason Reitman

I suoi personaggi non sono solo testimoni di una nazione dalle mille sfaccettature, ma si fanno portavoce di caratteri e situazioni dalla portata universale. Capitoli diversi di uno stesso trattato sull’umanità, le vite di questi personaggi risultano credibili e mai ridicole, facilitando così il processo di immedesimazione dello spettatore. Per avvicinare maggiormente il pubblico a questi cittadini imperfetti di un mondo fatto di celluloide, Jason Reitman pone la propria cinepresa al servizio della narrazione, seguendo, senza mai imporsi, il corso degli eventi. Il regista tratta le proprie opere come oggetti sacri, o ancor meglio, come tanti piccoli figli da accudire, far crescere e far apprezzare una volta immessi nel mondo delle sale cinematografiche. Ogni aspetto è studiato nei minimi dettagli; perfino il montaggio è impostato al fine di reiterare e sottolineare il ritmo degli eventi portati in scena.  Le vite frenetiche, ripetitive, che poco spazio lasciano alle improvvisazioni saranno dunque unite sullo schermo da un montaggio serrato (simile a quello di Edgar Wright) mentre le ansie, le lunghe attese e i momenti di crisi saranno sequele di inquadrature lunghe, dilatate, ma mai noiose o lente.

Jason Reitman

Hugh Jackman, Charlize Theron, George Clooney, Vera Farmiga, J. K. Simmons, Ellen Page, Adam Sandler, Aaron Eckhart, Kate Winslet, Josh Brolin: è una giostra di celebrità la sua filmografia, eppure a Reitman non interessa la loro aura di divismo. Sottratti spesso della loro bellezza, imbruttiti, o più semplicemente resi antipatici, Reitman affida a questi interpreti dal talento encomiabile non più ruoli da eroi coraggiosi, ma di anti-eroi. Sopraffatti spesso dagli eventi che li investono senza preavviso, e ostacolati nel raggiungimento del loro “oggetto del desiderio” – per dirlo alla Greimas – i personaggi ideati da Reitman fungono da surrogati di uomini e donne che quotidianamente incrociano il nostro cammino. Permeati di quotidianità, nella loro creazione il regista ha frugato tra questa congerie universale di vizi e virtù, scavando tra le macerie dell’egoismo e le tracce di qualcosa che sta mutando nella società contemporanea (se in meglio o in peggio ancora non ci è dato sapere). Solo rendendo meno perfetti, e per questo più umani i suoi protagonisti, Reitman ha dato vita a una galleria di specchi che riflettono pregi e difetti del nostro mondo sotto forma di commedie, mai didascaliche o retoriche. I suoi sono film che vanno al di là della semplicistica catalogazione entro i generi della commedia o del dramma. Da Thank you for smoking a The Front Runner le sue opere si marcano di una volontà inquisitoria nei confronti di tematiche scottanti, che non smettono di bruciare e segnare tanto l’esistenza dei personaggi sullo schermo, quanto quella degli spettatori in sala. L’abuso delle sigarette e il conseguente arricchimento delle lobby del tabacco nel suo film di esordio, Thank you for smoking; le gravidanze in età adolescenziale e il difficile tema delle adozioni in Juno; la crisi economica e i licenziamenti di massa in Tra le nuvole; la solitudine, la depressione e le fobie superate grazie all’affetto di un evaso in Un giorno come tanti; la tecnologia e i pericoli che ne conseguono a fronte di un suo abbagliato utilizzo in Men, Women and Children; le difficoltà di essere madre in Tully; il rapporto tra politica e giornalismo in The Front Runner.
Jason Reitman è un burattinaio dell’essere umano. Prende le nostre debolezze, le attacca a un filo sottile e ce le mostra sotto forma di personaggi psicologicamente complessi e ben tratteggiati. Sullo sfondo ecco scorrere strade, viali, città, luoghi più o meno identificabili che abbracciano i protagonisti fino a farli soffocare, o liberarli in un sorriso finale dal sapore dolce-amaro. La bellezza che caratterizza dunque la poetica autoriale di Reitman si annida in uno sguardo severo, ma mai duro; compassionevole ma mai stucchevole. Una favola che sa di vita reale e una vita reale che sa di favola. Un cammino tortuoso quello intrapreso dai suoi personaggi, dove un sorriso lascia facilmente spazio alle lacrime e viceversa. È una corsa sfrenata e lanciata a perdifiato, all’interno di quella palestra chiamata “vita”, l’opera di Reitman. Una corsa che, come ben dimostrano i diversi primi piani che costellano i film, non sempre trova al traguardo un lieto fine. Eppure, come sembra suggerirci Reitman, vale la pena correre: magari non abbracceremo tra le mani la tanto agognata coppa, ma potremmo scorgere un raggio di sole e un bagliore di speranza.