Il cinema di Villeneuve non è quello che ci meritiamo,
ma di cui abbiamo bisogno (compreso il suo Dune).

Partiamo subito chiarendo una cosa fondamentale: qui non si vuol parlare di Dune – Parte Prima in termini di bello, brutto, riuscito, incompiuto, che piace o non piace. Per quello ci sono le recensioni.

Il tema principale qui è un altro: che ruolo hanno questo Dune e il suo regista?
Ormai da più di un anno all’uscita di ogni blockbuster si sente la sempiterna litania del “questo è il film che può salvare il cinema” e via dicendo. Nolan, Godzilla, Marvel, Fast & Furious ecc. Ecco, togliamo anche questo dalla via: il Dune – Parte Prima di Denis Villeneuve non è di certo – come anche i suoi predecessori e i suoi successori – il film che salverà il cinema.

Il Dune di Villeneuve è, in modo molto più diretto, il film da vedere al cinema.
Potrà piacervi, potrà annoiarvi, potrà farvi arrabbiare perché è solo la prima parte di una storia di cui forse non vedremo il seguito, come volete: tutto questo va in secondo piano. Al di là dei gusti, al di là di tutto, è una di quelle esperienze che vanno fatte più in grande possibile.

Timothée Chalamet è il tormentato Paul Atreides

In Dune si rendono esplicite certe cose che già si erano capite tempo addietro riguardo al suo regista: Villeneuve è uno straordinario creatore di atmosfere. Attraverso la sua intera filmografia, pur raccontando storie totalmente diverse tra loro nei modi più disparati, la capacità di immergere lo spettatore nel mondo del film è rimasta una costante, pur in continua evoluzione e sempre più affinata.

Dalle surreali situazioni del suo film d’esordio Un 32 Août Sur Terre (“Un 32 Agosto Sulla Terra”, inedito in Italia) all’aria asciutta e dilatata che si respira in Blade Runner 2049, attraverso mutamenti di stile che vanno dall’eccentrico e virtuosistico nei primi film al minimale negli ultimi, il regista canadese ha sempre profuso tutte le sue forze nel world-building come strumento narrativo. Ecco perché Dune è il suo terreno di caccia ideale.
E qui arriviamo al succo del discorso, al motivo per cui bisogna vedere questo film e bisogna farlo sullo schermo più grande possibile.

Puoi vedere la Spezia nell’aria

Il più grande merito di questa nuova trasposizione del romanzo di Frank Herbert non è insito nella storia, nei personaggi o negli sviluppi di trama: quello lo vedremo nella seconda parte, se mai Warner ci grazierà della cosa nella sua discutibile scelta produttiva e distributiva (ma qui torneremo dopo).
No: Dune – Parte Prima è uno stupendo monolito posto a ricordarci cosa sia l’esperienza-cinema. E per posizionarlo serviva un gentile ed educato abitante del Québec. Uno che ha dedicato la sua intera esistenza alla ricerca perenne dell’atmosfera e della perfezione visiva più monumentale possibile.
È impressionante come il buon Denis (qui per la prima volta anche produttore, oltre che regista e sceneggiatore) riesca a far sembrare facili e naturali, nella loro realizzazione, cose di cui la quasi totalità di tutti gli altri registi possono soltanto sognare. Non è una questione di budget o di mezzi, attenzione: è una questione di visione a monte.

La maestosità della sua messinscena, sempre filtrata attraverso gli occhi e le sensazioni di piccole persone, è qualcosa di inarrivabile.
Assistere alle gargantuesche sequenze corali di Dune è come trovarsi al centro di Piazza San Pietro o dentro al Colosseo per la prima volta. È una giornata di sole, vi guardate intorno ed è tutto bellissimo. Dentro di voi però pensate che forse vi aspettavate qualcosa di più grande, di più maestoso, finché non vedete dei puntini che si muovono: sono persone. Sono piccole persone che si spostano tra le possenti colonne. Allora capite. E’ davvero tutto maestosamente enorme, ma anche così meravigliosamente proporzionato da ingannare i sensi. Ecco il trucco di Dune: la capacità di Villeneuve di immergere lo spettatore in qualcosa che sembra semplice e immediato, ma in realtà è estremamente complesso e monumentale.
E come lo fa visivamente, così lo fa anche narrativamente.
Il deserto raramente è stato così bello, pericoloso, affascinante e letale insieme: attraverso gli occhi di Villeneuve diventa un vero e proprio personaggio. Shai-Hulud, i celebri vermoni delle sabbie di Arrakis, ne sono un’estensione tentacolare, alieni e maestosi nella loro possenza.

È solo l’inizio

La scelta di dividere la storia in due parti è illuminata dal punto di vista artistico. Il regista ha così modo di presentare ogni cosa a suo tempo. Di immergere a ritmo alterno lo spettatore in questo o quel pianeta, questa o quella dinamica. Soprattutto può far respirare l’aria ricca di Spezia grezza di Arrakis. Gli umani sono minuscoli esserini che si aggirano in ambienti pantagruelici, ma di colpo diventano il centro dell’universo.

Ci sono due sequenze in cui questo appare evidente, in due momenti molto distanti del film. In entrambe al centro c’è Paul Atreides (Timothée Chalamet), prima su Caladan, pianeta umido e coperto di oceani, con il padre Leto (un intenso Oscar Isaac) e poi sul desertico Arrakis, con la madre Lady Jessica (Rebecca Ferguson). Entrambe le sequenze sono intime e profonde, ma perfettamente incastonate tra scene gigantesche tra paesaggi infiniti, astronavi enormi e creature immense.

Questo perché Villeneuve resta un grande regista d’attori. Qui brilla particolarmente per come riesce ad amalgamare un cast così ricco di nomi di spicco, caratterizzando tutti i personaggi e spingendo gli interpreti a fornire performance estremamente carismatiche, Chalamet e Isaac su tutti. Tormentato e sospeso tra vulnerabilità e predestinazione il primo, contenuto e solenne il secondo.

dune
Shai-Hulud, i padroni del deserto di Arrakis
Aspettando il gran finale

È un assaggio di quello che verrà, Warner permettendo. Villeneuve ha più volte detto che avrebbe voluto girare i due film contemporaneamente, ma la casa di produzione ha preferito fare diversamente. Ora che l’eventuale successo di questa Parte Prima è minato sia dalla pandemia sia dalla scelta ben poco artistica di distribuire un film così solennemente cinematografico anche in streaming (almeno negli USA), si corre il rischio di non vederne il reale epilogo.

Ma non fatevi scoraggiare: a prescindere da tutto ciò vale completamente l’esperienza della sala. Fatevi un favore e guardatelo sullo schermo più grande possibile. Di film che ci ricordino quanto possa essere grande il Cinema ne abbiamo bisogno, ora più che mai.