The Startup è il nuovo film di Alessandro D’Alatri e racconta la storia di Matteo Achilli, il giovane fondatore della piattaforma Egomnia.
Il lungometraggio, dal 6 aprile nelle sale italiane, ha fatto molto discutere. Il personaggio pubblico di Achilli è stato messo sotto la lente di ingrandimento dei media, mostrando tutte le fragilità e le possibili contraddizioni. Noi di Cineavatar sosteniamo i film che fanno riflettere, che non lasciano lo spettatore dopo la visione, ma che continuano a vivere al di fuori della sala nelle opinioni del pubblico.
Abbiamo avuto il piacere di parlare con Francesco Arlanch, lo sceneggiatore del film che, gentilmente, ci ha concesso una lunga intervista.
Ciao Francesco, ti chiediamo di presentarti ai nostri lettori.
Ciao, mi chiamo Francesco Arlanch e faccio lo sceneggiatore dal 2004. Ho fatto una bella gavetta come story editor televisivo. Lavoro soprattutto come sceneggiatore televisivo ma ogni tanto mi piace fare qualcosa per il cinema. The Startup è il mio secondo film dopo Something Good, per la regia di Luca Barbareschi.
Parliamo di The Startup: Come è nata l’idea di ispirare il film alla storia di Matteo Achilli?
Tutto è iniziato da un articolo di giornale che mi ha incuriosito. Ho sottoposto l’idea a Saverio D’Ercole, il quale ha dato la spinta decisiva al progetto. Per prepararmi a scrivere il film ho passato molto tempo con Matteo e la sua ragazza. Tieni presente che, all’epoca, eravamo attorno a dicembre 2013. Una volta prodotto il soggetto, Rai Cinema ha approvato il lavoro fatto e siamo quindi potuti immergerci nella scrittura. Abbiamo lavorato per un anno alle diverse stesure, una volta approvata la sceneggiatura abbiamo fatto diversi casting, tra cui quello per il regista che ci ha fatto incontrare D’Alatri. Assieme a lui abbiamo revisionato ancora la sceneggiatura. Siamo arrivati al Novembre 2015 quando è stato scoccato il primo ciak. Una bella preparazione!
In quanto tempo avete girato il film?
In solo 6 settimane. Abbiamo fatto una sessione di 3 settimane a novembre, per le sequenze ambientate in inverno e 3 a Maggio per l’estate. Un ritmo forsennato. Devo dare atto al regista di avere gestito al meglio i mezzi che aveva a disposizione. Quando si è delle piccole produzioni bisogna fare il possibile con ciò che si ha.
Incredibile, veramente… e per le location come avete fatto? Vedendo il film sembra che ci sia stato un grande lavoro di fedeltà.
In effetti i luoghi sono proprio quelli della vita di Matteo. Ovviamente la Bocconi è la Bocconi, ma nello specifico il residence è il vero residence in cui viveva all’università Matteo. La stanza che vedete è veramente la sua stanza. Stesso discorso per il quartiere romano. Le location sono esattamente i luoghi della vita del nostro protagonista.
Ok, quindi è tutto vero? Quanto avete “romanzato” e quanto è accaduto veramente?
Andiamo per ordine. Prima di tutto bisogna dare atto a Matteo Achilli di essere stato il primo a spingere perché il film mostrasse sia le luci che le ombre della sua avventura. La storia è quindi per la maggior parte vera. Le sbandate per il successo ci sono state eccome, i litigi con la fidanzata e con Giuseppe sono autentici. Ovviamente li abbiamo dovuti sintetizzare nel linguaggio cinematografico, estraendone la sostanza e mettendola in scena.
The Startup affronta tanti temi e pone tante provocazioni allo spettatore. Dal punto di vista dello sceneggiatore, a cosa vorresti che si facesse più attenzione? Cosa usare come chiave di lettura?
Devo ammettere che, nella fase iniziale, ho fatto molta fatica a capire che storia raccontare. La luce vera, che ha sbloccato il film, è stato il tema della fatica. Credo che il concetto di merito richiami direttamente la fatica. Non volevo però fare un film che dicesse che tutto ciò che conta è fare successo. Al contrario, volevamo imbastire una discussione sulla complessità del concetto di fatica. La chiave di fondo è racchiusa nella battuta “che senso ha la fatica? quello che la fatica fa di te!”. Questa è la frase che, nelle nostre intenzioni, racchiude tutto il film. Con questa chiave di lettura si può notare come The Startup non sia altro che un film su un ragazzo che sta diventando uomo. Crescere è faticoso, ma ne vale la pena.
Quanto c’è di The Social Network in The Startup?
Pochissimo. È inevitabile che si raccontino storie simili e che ci siano dei rimandi a livello di struttura con il film di Fincher che è un capolavoro. Quando si racconta una storia di successo nel mondo della tecnologia è inevitabile che ci si debba misurare. Ma la nostra storia è diversa. The Social Network parlava di un’amicizia tradita per il possesso di Facebook, aveva come protagonisti icone mondiali, persone che hanno cambiato il mondo. Ovviamente noi non avevamo queste frecce al nostro arco. La nostra è una storia più piccola e meno ambiziosa.
Ci sono state scene eliminate?
Sì, abbiamo almeno 20 minuti di scene eliminate e personaggi tagliati. Abbiamo cercato di creare un equilibrio al film. Sono soddisfatto della scelta che Alessandro D’Alatri ha fatto al montaggio che è quella di valorizzare il dinamismo.
The Startup ha portato con sé numerose polemiche. È stato accusato di essere uno spot di Egomnia e dell’Università Bocconi…
Devo dire che, nonostante ce le aspettassimo, siamo stati sorpresi dalle polemiche. Sin dall’inizio infatti abbiamo deciso di fare un film che potesse stare in piedi anche se Egomnia non fosse mai esistito. Il film parla del cuore di un ragazzo che cerca di dimostrare il suo valore, che cade, impara, e diventa più grande. Lungi da noi fare uno spot di Egomnia, anzi, se si guarda il film noi ne mostriamo solo i limiti. Pensa ad esempio a Giuseppe, il vero uomo Egomnia, quando tira le somme sul finale dicendo sostanzialmente che le critiche hanno ragione. Egomnia è da ripensare, da ricostruire, non è affatto arrivata. La vera Startup di cui volevamo parlare sono i giovani. Persone che stanno diventando adulte. Che costruiscono l’impresa della propria identità, se così la vogliamo chiamare. Per quanto riguarda la Bocconi il desiderio era di distaccarci dalla solita storia dell’Italia in cui tutto è facilone e approssimativo. Siamo stati il più fedeli possibili al racconto di Matteo. Il professore che dice “vi insegno per farvi guadagnare stipendi più smodati del mio” è un discorso vero, e ci serviva a rendere l’idea della competizione e della creazione dei soldati del profitto. Ma, allo stesso tempo, con la scena dell’interrogazione volevamo mostrare limiti, mostrare la severità e dare l’idea della selezione, del lato duro della meritocrazia.
Come vedi i giovani d’oggi?
Premetto che non sono nessuno per giudicare. Vedo però i giovani molto meglio di come vengono dipinti dal cinema e dalla televisione. Spesso si dà una versione unilaterale dei ragazzi, raccontando solamente il disagio, gli “sdraiati”, gli schizzinosi, mostrandoli in fuga. Credo che siano etichette limitate. Con The Startup volevamo uscire da questi cliché.
Economicamente come sta andando il film?
Il film ci ha sorpreso perché ci sono tante prenotazioni per le scuole. Il film sta uscendo nelle sale ma ha una vita propria al di fuori del corso normale.
Ci puoi raccontare qualche progetto futuro?
In ambito cinematografico ho un progetto che sto coltivando con Giulio Manfredonia, con cui ho già collaborato. Per quanto riguarda la televisione sono coinvolto nella scrittura della seconda stagione de I Medici. Sono l’unico italiano del team di sceneggiatori, è un’esperienza veramente esaltante.
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