Abbiamo intervistato lo scrittore, traduttore, sceneggiatore e attore toscano Giorgio Borroni. Ecco cosa ci ha raccontato! 

Buongiorno Giorgio! Cominciamo a parlare della tua carriera, non priva di grandi soddisfazioni, nel campo delle traduzioni. Tra gli altri, hai tradotto “Frankenstein” di Mary Shelley per Feltrinelli e “Dracula” di Bram Stoker per Barbera. Ci puoi parlare, in generale, di questa tua attività?

Salve a tutti e grazie infinite per questa opportunità. Potrei intitolare quel capitolo della mia vita come “Traduttore per caso”, in pratica è la storia di un tizio che ha imparato l’inglese con gli Iron Maiden e rimorchiando straniere sulla spiaggia, e che causa disoccupazione investe un po’ in un master editoriale sperando di migliorarsi. Deriso dalla gente del paesello che lo vede partire ogni weekend e spendere stupidamente i suoi soldi nella propria istruzione, ecco che si fa però notare da un insegnante di quel master (un editor) che gli propone la traduzione di un libro e quindi non se lo fa ripetere due volte. Ho iniziato così, trovando quindi questo lavoro, poi la mia vita ha preso pieghe diverse. Non ho di certo posto fine alle derisioni del paesello nelle e ho appeso il dizionario al chiodo perché tanto è chiaro che se mandi un CV e non ti presenta nessuno rimani una nullità, però le mie traduzioni vengono sempre ristampate, se le girano diverse case editrici… ovviamente senza entrate per il sottoscritto: forse tanto schifo non facevo, ma come diceva Er Monnezza? ‘Sticazzi!

Diplomato in Fumetto alla Scuola Internazionale di Comics di Firenze, hai tradotto importanti graphic novel e manga. Quali sono le differenze, a livello professionale, rispetto alla traduzione di un libro di narrativa?

Devi imparare a essere più sintetico, perché nei fumetti hai uno spazio limitato e allo stesso tempo rendere giochi di parole e registri linguistici. Diciamo che è come un rompicapo e più ti avvicini a quello che voleva trasmettere l’autore, più hai centrato il bersaglio: a tagliare o appiattire son buoni tutti ed è quello che fa la maggior parte. A livello professionale direi che non c’è nessuna differenza: la paga o fa schifo o ti arriva mostruosamente in ritardo. Pochi in questo ambiente si sono dimostrati precisi quanto lo sono nel pretendere il rispetto della scadenza nella consegna.

Alcuni tuoi racconti sono finiti nelle antologie horror “La serra trema volume 1 e 2”. Di cosa parlano i tuoi racconti?

Nel 2014 frequentai un corso di scrittura creativa dopo una decina d’anni che il pc lo usavo solo per trollare nei forum dark o per cercare di rimorchiare online delle goticone (sono monotematico e monAtematico). Non che nascondersi dietro a diecimila nickname al fine di prendere per il culo chi ti sta antipatico o fingere di essere il Signore delle Tenebre per rimorchiare le “signorine delle tenebre” sia poco creativo, ma mi pareva a un certo punto di stare perdendo tempo: avevo bisogno di qualcosa di più serio da fare. Al corso comunque mi distinguevo per qualche idea buona, ma anche per una certa insicurezza-barra-sregolatezza. L’insegnante mi girò per mail un bando di concorso, si richiedeva un racconto di mille parole a tematica splatter e utilizzai uno degli elaborati e lasciò intendere che dovevo partecipare. Mi piazzai decimo su un centinaio di concorrenti il primo anno e l’anno successivo ci ritentai e arrivai quindicesimo su centoventi circa, presentandomi tra l’altro alla premiazione con una specie di “Quato” in lattice attaccato al petto e la maschera del compianto Immortan Joe.

Giorgio Borroni

Non solo, hai insegnato materie letterarie nel Carcere di Sollicciano. Un’esperienza, immagino, molto particolare…

Sì, direi anche formativa per il sottoscritto. Ho avuto ottimi colleghi e sono sempre in contatto con alcuni dei miei ex allievi, molti dei quali fortunatamente sono usciti e stanno provando a ripartire. Ho parlato di vicende carcerarie e di certi meccanismi nel mio ultimo romanzo, “Il vuoto dentro” edito da Pubme nella collana “Ater”. Sono stato però rispettoso: non ho preso spunto da vicende riconoscibili tra i fatti di cronaca, né descritto luoghi veri della prigione, però ho dato un tocco realistico, perché certe cose le ho viste con i miei occhi mentre lavoravo lì.

Dal 2015 hai anche prodotto degli audiolibri, poi interpretati dall’attore e doppiatore Edoardo Camponeschi. Sei un artista che definire poliedrico è poco!

Hai presente quando ti ho parlato di come ho accettato per caso di tradurre un libro con un inglese da rimorchio? Hai presente il corso di scrittura creativa fatto perché rimorchiare gotiche sui forum era diventato deprimente? No, non c’entra il rimorchio come filo conduttore, ma l’incoscienza. Avevo scritto alcune cose al corso e mi dispiaceva buttarle o lasciarle relegate in un HD, ma allo stesso tempo non me ne fregava un benemerito di proporle a qualcuno, perché avendo lavorato nell’editoria “seria” sapevo come veniva trattata la roba di genere in Italia… e allora che fai, le sbatti su Kindle? Era ed è un brodo primordiale da cui è difficile emergere, quindi ho pensato di fare delle mie opere degli audiolibri, dato che sono da anni un fan sfegatato del mezzo. Ascolto audiolibri in auto o facendo le più disparate attività, mi piaceva pensare di distinguermi con un medium poco conosciuto allora, prima del boom di Audible e simili. Ho contattato Edoardo e ho prodotto il primo, poi ho contattato Il Narratore Audiolibri, ma un solo racconto era troppo poco per essere distribuito, così ne ho riesumato un altro dall’HD e scritto un terzo di sana pianta, in un albergaccio dove alloggiavo all’epoca perché facevo supplenze di poche ore in trasferta. Ricordo la telefonata che feci durante una pausa dal lavoro, in una scuola di una zona disagiata, fra piccoli teppisti urlanti e io che mi dicevo: “Se non risponde nessuno mollo tutto”. Invece qualcuno alzò il telefono, così proposi il materiale aggiuntivo senza aspettative. Mi ricontattarono un po’ di giorni dopo, dicendo che accettavano i miei prodotti. Da una parte sono passati anni prima di essere considerato, ma dall’altra non mi sono assoggettato a rituali da corte di Versailles per trovare un editore, cosa che purtroppo vedo troppo spesso. E scusa se adesso sono polemico, però io, lo affermo con orgoglio, mi sono autoprodotto, ho lavorato duramente per dare a chi ascolta un prodotto decente, ma mi tocca sentire ancora gente che ha pubblicato solo perché ha leccato il culo che mi sta a criticare perché ho investito nella veste delle mie opere. Scusa, sono polemico, semmai pianto due battute sconce con giochi di parole blasfemi o sessuali e do brio all’intervista! Ah, ci sono bambini? Ok, dico una breve curiosità di Storia, così faccio una specie di programma educational: è noto che a Versailles ai tempi di Luigi XIV non si lavavano, le dame avevano pidocchi sotto il vestito e le parrucche, cacavano nei giardini beccandosi il tifo e si praticavano clisteri di fronte a tutti, non essendoci porte.

Hai voglia di parlarci dei tuoi due romanzi, “Satyros” e “Zombie mutation” ?

Con piacere. “Zombie Mutation” è una storia che ho tenuto in mente per una decina d’anni, poi dopo il famoso corso di scrittura creativa ho deciso che doveva prendere il volo. Ho immaginato un  mondo post apocalittico che pare essersi fermato agli anni ’80 in cui una setta religiosa ha preso il controllo e crede che la piaga degli zombie sia una punizione divina. C’è molta azione e ho dato al tutto un taglio molto americano e cinematografico: lo so, va di moda dire che mettere in piedi ambientazioni anglosassoni è da sfigati perché “Viva l’ItaGlia, viva il treccolore! Vergonnia esterofili !!!1111”, almeno è questo che si dice nei sozzi circolini delle Versailles letterarie… però che me ne frega, sono un reietto perché sono schizzinoso: un ano e un leccalecca sono due cose un po’ diverse per me; quindi tanto vale scrivere come e cosa ti viene, no? Già faccio altro per mangiare, almeno nell’arte lasciatemi fare quel che accidenti mi pare! Ma magari sbaglio… per dirtela tutta di cosa mi frega delle convenzioni, a bella posta ho pubblicato questo romanzo solo in audiolibro, per motivi ideologici (voglio diffondere il medium audiolibro il più possibile). Una piccola curiosità su quest’opera: un estimatore mi ha chiesto il cartaceo, io non lo avevo e gli ho spedito un mio volume del Frankenstein che ho tradotto, manco io ho “Zombie Mutation” stampato, tanto con il casino che ho in camera lo perderei o finirebbe come zeppa.

“Satyros” invece mi era stato commissionato dalla Agenzia di servizi editoriali Escrivere.com, in pratica una pubblicazione che avrei ceduto in cambio di cover ed editing e visibilità. Mi ha portato bene, perché ha avuto un successo insperato, tanto che è stato opzionato per essere convertito in audiobook, con l’interpretazione magistrale di Massimo D’Onofrio. La storia è quella di una possessione, ma mi fregio di esser stato un po’ più originale dei cloni dell’Esorcista: ho creato un romanzo di possessione per atei, visto che la religione non c’entra. Ovviamente poi ho scritto anche altro, ma mi piace ricordare che il successo lo devo a questo romanzo breve, tanto che l’ho citato indirettamente anche nella mia ultima opera: “Il vuoto dentro”.

Tra le tue tante attività, sei stato anche membro della giuria per i lungometraggi al Selva Nera International Fantastic Film Festival. Che genere di esperienza è stata?

Direi che è stata un’esperienza meravigliosa. La prima volta che mi è stato proposto ero un po’ restio, pensavo di non meritarlo: scrivo, traduco, disegno e modello in 3D e ovviamente sono un grande appassionato di cinema, ma pensavo di non essere all’altezza per mancanza di titoli. Forse sono stato anche un po’ coglione a sentirmi di non meritarlo: la società ammette il critico nerd brufoloso che in vita sua ha visto solo un film uzbeco in lingua originale e non sottotitolato o l’analfabeta che magari si atteggia a Kubrick, per non parlare di quello che l’altro ieri ha preso in blocco tutta la collezione dei film di Franco e Ciccio e pensa di aver scoperto delle novità… quindi perché non deve ammettere uno come me? Comunque ho accolto con la massima serietà e come un onore la mia nomina e ho giudicato i film anche dal punto di vista dei dialoghi, della sceneggiatura più che dal lato tecnico, confidando nel fatto di non essere l’unico giurato. È stato davvero molto stimolante anche partecipare dal vivo: ho visto gente davvero appassionata, rispettosa, e anche preparatissima. Spero che il “Selva Nera” si faccia ancora, anche se dovessi assistervi solo come spettatore, naturalmente, perché è una perla da valorizzare. Ovviamente dopo la cravatta texana a feto e l’occhio bianco indossati al Selva Nera 1 e 2 sfoggerò qualche altro gadget da gentleman rifinito.

Ma veniamo alla tua recente carriera di attore. La tua prima interpretazione è arrivata, correggimi se sbaglio, con “Zombie Massacre” di Boni e Ristori…

Ah, ma c’è una cosa che nella mia vita non è iniziata per caso? Beh ho trovato un annuncio su internet e mi sono presentato per fare la comparsa: Diamantini, l’effettista speciale che ha lavorato anche con Dario Argento, mi ha scelto per un trucco completo. Dopo avergli chiesto di fare del suo peggio, beh, mi ha tenuto sotto tre ore. Alla fine mi ha fatto davvero brutto, la cose più strane a cui mi ha sottoposto sono state il collirio rosso per l’effetto “Madonnina addolorata” e la più prosaica cioccolata liquida da vomitare di fronte alla telecamera. Alla fine mi ha fatto anche i complimenti per la performance, perché non gli ho fatto perdere tempo con una interpretazione poco credibile per un trucco da primo piano. Direi una giornata memorabile, anche se dopo ho dovuto affrontare un’ora di macchina e avevo paura che mi fermasse la polizia per un controllo… capelli devastati dalla lacca, occhi sanguinosi e pezzi di lattice rimasti in faccia, sai che bella figura?

In “Questo mondo è per te” di Francesco Falaschi hai fatto solo la comparsa?

Quello è stato un inizio di qualcosa che credevo non avrebbe avuto seguito: Ho partecipato perché conoscevo l’aiutoregista e al paesello dove vivevo non succedeva un cavolo. L’ho fatto per una botta di vita, insomma, consapevole che il genere del film non era quello che apprezzo di più. Una scampagnata piacevole, ma che mi ha anche mostrato come viene girato un film!

In “Black Hole”, se non sbaglio, comincia la tua collaborazione col bravo regista toscano Leonardo Barone…

Già, il mitico Leonardo mi ha dato fiducia dopo che ci eravamo conosciuti in occasione di una cena tra cinefili e mi ha proposto una collaborazione. Il film è stato girato in un garage a Piombino, è stato interessantissimo vedere come da uno schermo verde Leonardo ha tirato fuori una space opera…. Se mi chiamasse per il seguito in cui il capitano dei Marines e Sam prendono a calci in culo un po’ di alieni non ci penserei due volte.

Collaborazione che poi prosegue con “Romeo, un regista a effetto speciale”, dove interpreti un rapinatore molto sopra le righe!

Una parte divertentissima e anche quella girata in un garage. Ti rendi conto che sono stato capitano dei marines e rapinatore nella stessa location? Miracolo degli effetti speciali, di cui Leonardo è un maestro, anche se sta diventando molto bravo a dosarli e secondo me è migliorato anche come attore.

In “È solo un gioco”, sempre di Barone, che ruolo hai?

Lì ho interpretato il ruolo dell’arrogante notaio Scacchi: come avrai notato io non ho studiato recitazione, ho fatto un po’ di teatro al liceo con “Tanto rumore per nulla di Shakespeare”, ma non posso aspirare a fare il Keanu Reeves della situazione. Quindi fare il caratterista è la cosa che mi riesce meglio: parti caricate al massimo, anche sopra le righe, come in questo caso. Pure qui poi ho finito per interpretare lo zombie. Ah, giusto per non tirarmela troppo: la scena in cui mi getto addosso alla mia vittima sul divano è realistica perché sono inciampato davvero in una chiazza di sangue finto sul pavimento! Siccome avevo a disposizione solo un ciak perché il divano non poteva essere sporcato più di una volta direi che è andata di lusso che sia stata “buona la prima”. Il complimento più bello che mi abbiano fatto è stato quando mi hanno detto: “Giorgio, tu sei nato morto!”

Nella bella commedia indie “Go, Dante! Go! Go! Go!” di Alessio Nencioni interpreti un personaggio davvero folle! Come andò in quell’occasione?

Avevo conosciuto Alessio al festival horror “La Serra Trema 2”, e in quell’occasione, come ho accennato, mi presentai con un Quato di lattice: Nencioni, che era lì per presentare “Possessione demoniaca”, mi chiese se poteva farsi un selfie con me. Poi mi venne all’orecchio che faceva dei provini per il suo nuovo film e mi presentai anche io, totalmente impreparato, così all’avventura. Alessio e la sua troupe mi dissero che dovevo improvvisare qualcosa con l’attore Gabriel Gori. Beh, non ricordo esattamente che ho detto, ma alla fine tutti ridevano e venne data una parte, anche se all’inizio non sapevo quale. Alessio poi ha modellato un po’ il personaggio di Gabriele Fanciullacci su di me, estremizzandolo molto e io ci ho messo del mio, ovviamente, facendo un accento da fighetto e giocando con la mimica facciale: i vestiti e i gadget sono tutti miei. L’esperienza è stata a dir poco folle: mi ricorderò sempre la scena girata in un granaio a Livorno con la puzza di grano marcio e due skaters con le loro evoluzioni spericolate, l’ambulanza che mi toccò chiamare quando uno dei due cadde e altre scene surreali come quella della droga, con Alessio che esagerava con l’effetto fumo che aveva appestato l’ambiente. Potrei scriverci un libro, diciamo che è stata un’estate al massimo. Tra l’altro ancora il film mi sta regalando emozioni a distanza di un paio d’anni, perché ha vinto un festival giapponese e quindi il mio fascino da gotico zotico verrà elargito anche ai fan del Sol Levante.

Sei anche nel cast dell’action-horror, omaggio al compianto Bruno Mattei, “Dawn of Vincent” di Andrea Maccarri e Riccardo Ceppari…

Sì, un film molto diverso rispetto a quelli a cui ho preso parte finora, si tratta un progetto che si è rivelato sempre più interessante man mano che si dipanava. All’inizio, da bravo maniaco del controllo, ero un po’ incazzato perché non mi avevano dato un copione preciso, ma poi ho capito che la filosofia del film è basata sull’improvvisazione, sullo sviluppo del personaggio man mano che si sviluppa la scena: ogni character è frutto sia dello stato d’animo del momento che dell’inventiva con cui si stabilisce lo svolgimento della scena. Cinema sanguigno e genuino, ma girato col cuore: Ceppari ci sta mettendo l’anima e anche Maccarri non scherza, una volta si è portato anche dei proiettili a salve per una scena di sparatorie: abbiamo rischiato che chiamassero la polizia per le detonazioni, un vero delirio. Comunque è stata una grande soddisfazione improvvisare delle battute e anche qualche scena cult di cui non posso parlare… posso comunque dire di aver omaggiato il grande Frank Garofalo in “Virus”, e che mi sono meticolosamente preparato per il personaggio lavorando su una mimica da folle, tipo l’Herbert West di Jeffrey Combs. Devo girare ancora alcune scene e spero che questo incubo del Covid finisca presto, perché credo nel progetto e vorrei vederlo concluso degnamente.

Quali sono i tuoi film horror preferiti?

In assoluto “L’esorcista” e la serie di “Nightmare”. Sono due facce della stessa medaglia: il lato più cupo e quello dallo humour nero. Seguono ovviamente “Non aprite quella porta”, “Poltergeist”, “Rosemary’s Baby”, “Calvaire”, “Sheitan” e qualcosina di asiatico. A dire il vero gli anni ’90 almeno per me non sono stati esaltanti, ricordo con rammarico i primi tentativi di CGI e le trame sempre più appiattite, schiave del jumpscare. Ultimamente ho trovato molto belli “Hereditary” e “Midsommar”, mentre sul versante slasher, nel piattume generale, ho apprezzato “Inbred” e Night of Something Strange”, pur con tutti i loro buchi di sceneggiatura.

In particolare, quali sono i sottogeneri che ami di più nel cinema horror?

Il “Body Horror” e le possessioni mi piacciono molto, anche se sono materia in cui è facile scadere nel banale, quindi avere un film che richiede un comparto di effetti speciali non indifferente e allo stesso tempo una trama credibile è raro. Gli slasher mi piacevano un tempo, ora sono diventati dei cloni tutti uguali, sembra non ci sia voglia di osare anche a livello di trama, ma solo sulle atrocità (che per questo diventano tanto acrobatiche quanto gratuite).

Cosa ne pensi dell’attuale situazione del cinema indie horror italiano?

Pessima. Nel senso che la tecnica non manca, ma le sceneggiature sembrano buttate là, giusto per il “mettiamoci a fare un film sapendo che sarà una minchiata, tanto all’età dell’oro degli anni ’80 non possiamo tornare”. Ovviamente sto un po’ generalizzando, non mancano fortunatamente prodotti che mi hanno colpito: oltretutto il panorama indie anche all’estero non è che sia questa gran cosa. Quello che mi fa incazzare è che se anche non hai i soldi o attoroni hollywoodiani puoi anche fare un prodotto decente se scrivi una storia come si deve, cosa che pare l’ultimo pensiero di chi fa un film oggi, ecco tutto. Dario Argento una volta si è lamentato di un budget così risicato da permettergli di girare solo in un appartamento… ma non scordiamoci che con un paio di attori e una sola location, se la storia è davvero cazzuta, possiamo tirare fuori un capolavoro.

Oltre all’horror, quali altri generi cinematografici segui ed apprezzi?

Apprezzo molto i cosiddetti “film prozac” di serie B. Dei drammatici che spesso sfiorano il “naif” con trame a un passo dal risultare patetiche. Hai presente “Bullet” e “Homeboy” con Mickey Rourke? Oppure “At Close Range” con Christopher Walken e “Gli irriducibili” con Richard Gere? Quelli là, e anche in questo caso è difficile trovare delle perle rare, che forse lo sono solo per me delle perle, appunto, perché magari non ho gusto. Una volta in un cestone ho trovato un film che mi ha lasciato molto, ovvero “Sweet Thing”, di Mark David. Insomma, in fondo io la bellezza la cerco (e la trovo) nei DVD della Enrico Pinocci, nei film a basso costo ma fatti col cuore. Era forse Rimbaud che diceva di apprezzare i dipinti di bassa lega? E che cazzo, se Rimbaud apprezzava ‘sta roba e il premio Nobel Bob Dylan ha speso parole encomiastiche per “Homeboy”, la critica dei salotti e dei canali youtube può andare a….

Quali sono i romanzi, horror e non, che ami di più, e che porteresti nella classica isola deserta? Sperando però che quell’ipotetica isola non sia invasa da un’orda di zombies…

“Fighter” di Craig Davidson, “Soffocare” di Palahniuk, “La volontà del male” di Dan Chaon, Blackmoor di Edward Hogan, “Pet Sematary” di Stephen King e l’antologia “Splatterpunk”. Comunque a dirla tutta io mi porterei una batteria solare e il mio Kobo Waterproof con tutti i romanzi che non ho ancora letto, perché ho la tendenza a ricordare trame e dialoghi e rileggere quindi è un po’ sminuente per me, se non devo scrivere un saggio su un’opera.

Progetti cinematografici e letterari in cantiere nel prossimo futuro?

Spero, come ho detto prima, che questa storia del virus passi in fretta, così potrò riprendere a recitare in “Dawn of Vincent”. Ho avuto altre proposte per altri corti indipendenti, che però sono attualmente ferme a causa della situazione. Sul versante letterario ho partecipato a un’antologia che spero trovi presto la pubblicazione perché i proventi andranno in beneficenza e sto lavorando a due fumetti che ho sceneggiato, un horror con Brasco Liga e un weird con Manuel Galeotti alle matite. Per ora navigo a vista non mettendo carne al fuoco, perché non mi sembra il momento.

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Ammesso che abbia fan, ciao fan! Viva CineAvatar e i frequentatori di questo spettacolare sito. Viva il cinema indipendente e soprattutto grazie per la pazienza se non avete skippato quando parlavo delle zozzerie di Versailles.