I 5 musical più belli di sempre

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5 musical migliori

5 musical migliori

Il Natale si sta avvicinando. Il tintinnio dei campanelli, l’accensione delle luci, le decorazioni per le vie, gli alberi in piazza: è una giostra colorata quella che ci accompagna verso il 25 dicembre, ma per gli amanti del cinema Natale vuol dire serate sul divano davanti alla TV e maratone di film di tutti i generi. Tra cartoni animati e classici senza tempo, capita spesso che i canti natalizi lascino ben presto spazio ai balli scatenati e ai dialoghi musicati. Nessun periodo dell’anno si adatta così bene ai musical come quello natalizio. Le sale da pranzo, le strade di città diventano teatri dove chiunque può ritrovarsi a cantare, ballare. Ma quali sono i migliori musical da guardare e riguardare all’infinito?
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Il musical per antonomasia, Cantando sotto la pioggia
Prima di rispondere a un dubbio amletico di così ampia portata, è giusto fare alcune precisazioni. La prima riguarda la definizione in senso stretto di musical. Con “musical” si intende un genere cinematografico nel quale il livello sonoro fatto di brani cantati (e a volte ballati) va ad alternarsi a quello recitativo. Le canzoni sostituiscono i dialoghi, mentre alle parole si preferiscono i passi di danza. Muoversi tra i musical è come nuotare in un oceano vastissimo e privo di isole deserte su cui attraccare. Sono tanti i titoli da selezionare, forse troppi, e sceglierne solo cinque si è così rivelata un’impresa titanica. Nonostante ciò quelli che seguono sono i risultati di una selezione centellinata, compiuta sulla base di quei film che hanno lasciato il proprio segno nella storia, o la cui realizzazione è stata così innovativa da rivoluzionare e donare un po’ di freschezza un genere ibrido e per questo in costante competizione con i mondi da cui proviene: quello cinematografico e musicale.

5. Mamma Mia! (2008, regia di Phyllida Lloyd)

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La storia di Donna e della figlia Sophia, degli equivoci che hanno segnato le loro vite e la presenza di tre possibili padri aveva già conquistato il pubblico teatrale di tutto il mondo. Complice la musica degli ABBA Mamma Mia! divenne un successo planetario, coinvolgendo i propri spettatori in una festa continua, iniziata a Broadway e poi continuata nel West End di Londra. Le basi per un successo anche al cinema c’erano tutte, eppure la paura di incappare in un qualche errore (primo tra tutti quello del tanto temuto miscasting) era dietro l’angolo. Così non è stato e grazie alla presenza di Meryl Streep, Colin Firth, Pierce Brosnan (unica nota stonata del film, nel senso che nel momento in cui l’attore si ritrova a cantare si rasenta il ridicolo) una giovanissima Amanda Seyfried e una spumeggiante Julie Walters, Mamma Mia! è entrata di diritto nella storia del cinema, rafforzando un legame già forte che lega il cinema al teatro e vice versa.

4. Les Misérables (2012, regia di Tom Hooper)

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I Miserabili di Tom Hopper o li ami, o li odi. Non c’è via di mezzo. Dopo aver donato la voce a un re d’Inghilterra balbuziente e insicuro (Il discorso del re), Tom Hooper dà vita ai miserabili di Victor Hugo e lo fa con una successione di brani cantati che non lasciano spazio al parlato. Nessun discorso, solo musica.  Quello che si viene a creare sullo schermo è dunque un teatro cinematografico, dove le pagine di Hugo si mescolano all’opera lirica di cui il film riproduce il ‘recitativo’, ossia il recitar cantando, che introduce o segue un’aria. La rievocazione storica si inchina dinnanzi ai bastioni narrativi del feuilleton dentro le cui fortezze l’emotività da melodramma si fa strumento ipertrofico dei personaggi. I brani musicali, per quella capacità unica di colpire direttamente l’interiorità dello spettatore, si fanno canali privilegiati delle emozioni dei personaggi, mentre l’aleatorietà delle parole risulta del tutto ininfluente. Ed è qui che Les Misérables divide, ma allo stesso tempo sorprende: filtrato dall’opera teatrale il film tralascia la componente narrativa per abbracciare totalmente quella canora. E così che la storia di perdizione, rinascita, persecuzione e infine rivoluzione si veste degli abiti di un’opera epica, sostenuta da brani eseguiti con intensità e furore dai propri protagonisti, due su tutti Hugh Jackman nei panni di Jean Valjean e Anne Hathaway in quelli di Fantine, e da modalità di ripresa che a totali di miseria e rivolta sociale, affianca primi piani di volti segnati, o innamorati.

3. Cantando sotto la pioggia (1952, regia di Stanley Donen e Gene Kelly) & West Side Story (1961, regia di Jerome Robbins e Robert Wise)

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Qualcuno potrebbe dire “ecco, le solite scelte scontate”, ma in una classifica sui musical più belli e importanti di sempre non potevamo non inserire questi due titoli.
Cantando sotto la pioggia, è, probabilmente il musical per antonomasia, un grido autentico di amore e passione per la settima arte, da manuale di storia del cinema: un tripudio di sfavillanti colori e balli armoniosi, di scenografie geometriche sensazionali e di un comparto estetico da far brillare gli occhi, compongono un quadro variopinto di straordinaria magia e perfezione. L’opera di Gene Kelly e Stanley Donen, unica nel suo genere, è l’esempio più formale di musical sempiterno, con le sue canzoni memorabili e le impareggiabili performance dei protagonisti Donald O’Connor, Debbie Reynolds, Jean Hagen e dello stesso Gene Kelly.
In principio fu Romeo e Giulietta; nell’età delle immagini in movimento, del sonoro, dei teatri e delle gang rivali nell’America di oggi c’è invece West Side Story. Era il 1961 quando, dopo quattro anni di successi e di repliche ininterrotte a Broadway, Jerome Robbins e Robert Wise, superando non poche difficoltà, portarono sul grande schermo questo musical che contava già allora numerosissimi fan. Il dubbio che avevano i due registi era quello di non essere in grado di riproporre con la stessa intensità e freschezza visiva l’atmosfera magica dei balletti e delle canzoni del musical teatrale. Così non fu e il film oggi viene annoverato non solo come uno dei più grandi musical di sempre, ma tra le migliori opere cinematografiche mai realizzate. Riuscirà Steven Spielberg con il suo remake a essere all’altezza dell’originale?

2. La La Land (2016, regia di Damien Chazelle) & Across the Universe (2007, regia di Julie Taymor)

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Così diversi, eppure così simili per il materiale pregnante che sta alla base della loro realizzazione. Ci sembrava pertanto giusto dedicare un secondo posto a pari-merito a due film come La La Land e Across the Universe. Il film di Damien Chazelle è molto più che un musical; è uno specchio sull’arte del sognare, e chi meglio del cinema può prestarsi a portavoce visivo dei nostri sogni? La La Land è un connubio di citazioni cinematografiche; una commistione di riferimenti ai grandi musical del passato e alle storie che hanno fatto grande la storia del cinema (Cenerentola a Parigi, Un americano a Parigi, Gioventù bruciata ecc.). Se è il cinema l’arte a cui Damien Chazelle ha tratto ispirazione, e su cui ha impostare la propria opera, in Across the Universe (un po’ come fu per Mamma Mia! con gli ABBA) sono i brani dei Beatles a dare il via alla storia e ai suoi continui risvolti. Persino i nomi dei protagonisti (Jude, Lucy, Prudence) sono presi in prestito dalle canzoni dei quattro di Liverpool. La stessa impostazione visiva del film segue le fasi artistiche conosciute dai Beatles, e a un inizio più goliardico e realistico, si arriva a quello trasognante e allucinato del periodo di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, Yellow Submarine e Magical Mistery Tour. Impressionante la fotografia di Bruno Delbonnel, capace di rispondere ai diversi umori dei personaggi (in particolare del protagonista Jude, un ottimo Jim Sturgess) e impeccabile la regia di Julie Taymor.

1. Moulin Rouge! (2001, regia di Baz Luhrmann)

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Baz Luhrmann nel 2001 andò ben oltre rispetto a quanto fatto da lì a pochi anni da Julie Taymor e Phyllida Lloyd. Le canzoni intonate da Ewan McGregor e Nicole Kidman nel suo Moulin Rouge! non provengono dal repertorio di un solo gruppo, o di un singolo artista, ma sono una raccolta miscellanea di successi intramontabili qui arrangiati con nuove sonorità. Ne è un esempio “Roxanne” dei Police trasformato in un tango sensuale capace di esprimere il sentimento di dolore e accecante gelosia che assale Christian al pensiero che la sua amata Satine possa passare una notte con il Duca. Oppure “Your Song” e “One day I’ll fly away” capaci di diventare singoli a se stanti, e surclassare (soprattutto per quanto riguarda il brano di Randy Crawford) il successo delle canzoni originali. Dopo Romeo + Juliet, con Moulin Rouge! Luhrmann  continua a sperimentare, prendendo in prestito opere dal sapore classico (questa volta il richiamo è alla Traviata di Giuseppe Verdi) e mescolare vari generi (musicale, figurativo, letterario e teatrale) dando vita a contaminazioni esplosiva. Immerso in una scenografia artefatta, con scenari dipinti e volutamente kitsch, la storia d’amore tra la cortigiana Satine, stella del Moulin Rouge, e il giovane scrittore Christian appassiona e riempie lo spettatore di sogni d’amore pronti a infrangersi perché, come ricorda Zigler: “Siamo gente di malaffare, Satine; non possiamo permetterci il cuore”.

Menzione speciale a opere che per motivi di spazio e classifica non sono rientrate nella nostra top 5, ma che per l’aura di classicità e bellezza che le circondano non possono non essere citate: stiamo parlando di Mary Poppins di Robert StevensonNew York New York di Martin Scorsese, Chicago di Rob Marshall e Sweeney Todd di Tim Burton. Se i primi due film sono talmente grandi da poter rientrare in una qualsiasi classifica, Sweeney Todd è un’opera diabolica, sanguinaria, eppure straordinariamente sottovalutata. Da recuperare assolutamente.
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