Martin McDonagh porta in concorso a Venezia 79 Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin), film con Brendan Gleeson e Colin Farrell

Un film perfetto si riconosce dalle reazioni che ha il pubblico mentre lo guarda. Nel caso di Gli spiriti dell’isola, nella proiezione alla 79. Mostra del Cinema di Venezia (in concorso), sembrava di assistere a un duetto. Martin McDonagh scrive dialoghi fulminanti. Non più di una riga per personaggio. Botta e risposta serratissimi. La cosa incredibile è che il montaggio sembra sapere anche quando il pubblico riderà e addirittura per quanto tempo.

Così durante il film capita che i personaggi facciano uno scambio bizzarro che suscita l’ilarità, per poi fermarsi, aspettare la fine della risata del pubblico, e ricominciare. Non è teatro, è cinema fatto da chi lo sa fare e molto bene. Che si sincronizza con il respiro della sala, che guarda al pubblico come interlocutore e lo coinvolge nel gioco narrativo come un personaggio osservante.

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Colin Farrell e Brendan Gleeson in un’immagine di The Banshees of Inisherin – Gli spiriti dell’isola recensione
Irlanda, 1923.

Siamo su un’isola poco distante dall’Irlanda nell’aprile del 1923. Il vento porta il conflitto della terraferma, che si sente dalla distanza e si vede nei fumi all’orizzonte. Colm e Pàdric (Brendan Gleeson e Colin Farrell) sono due amici di lunga data che non si parlano più. Pàdric non sa perché, il paese vocifera, ma Colm si è semplicemente stufato di perdere tempo a parlare. Vuole comporre della musica che resti. Cerca uno spazio per se per creare qualcosa di artistico e immortale, riflettendo che i giorni a disposizione nella vita dell’uomo non sono poi così tanti.

Gli spiriti dell’isola può essere vissuto come una commedia nerissima o come un’allegoria dei processi mentali e sociali che portano alla guerra. Ci sono lunghe distanze e tante finestre, che inquadrano i personaggi che restano incorniciati come dei fantasmi. Mentre il colore è acceso solo sui vestiti di chi lascia. Il resto è un bellissimo verde uniforme, e una grana del passato. C’è tanto da ridere, con una malinconica amarezza che lascia il passo sul finale a un angosciante nonsense grottesco.

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Colin Farrell e Barry Keoghan in un’immagine di The Banshees of Inisherin – Gli spiriti dell’isola recensione
Un film composto ma non troppo coinvolgente

Il film risulta però meno coinvolgente emotivamente dei Tre manifesti a Ebbing, Missouri proprio in funzione della sua perfezione formale. Cosa nota per chi conosce il regista. Gli spiriti dell’isola però quando dovrebbe colpire più forte mantiene la compostezza di chi è costruito al millimetro. Peccato, perché spesso le sbavature in questi casi permettono di trovare soluzioni innovative.

C’è un senso di già visto indentro Gli spiriti dell’isola (impossibile non pensare a In Bruges visto il cast) e un tono meno originale di quello che creda. Però se emotivamente il coinvolgimento non è per tutti, razionalmente non si può fare altro che lasciarsi trasportare da questa storia di solitudini esistenziali. Spazi in cui si convive con la noia e le routine che sono un palliativo fino a che non ci si costringe a riflettere. McDonagh racconta le prese di coscienza, i momenti catartici in cui si realizza di avere intrapreso una strada sbagliata.

Qualcuno si ostina a cambiare radicalmente direzione, anche se è troppo tardi. Altri trovano il conforto nella costante ripetizione. Tra una città e l’altra c’è come filo conduttore il disperato bisogno di notizie fresche. L’intrattenimento, quando si è isolati, è più importante della gentilezza. L’arte è un prodotto di consumo o di esaltazione del suo autore. Così nel finale irrisolto che, per certi versi, indebolisce l’operazione, c’è però un’idea agghiacciante per quanto plausibile. E se gran parte del dolore che infliggiamo, anche inconsapevolmente, venisse dal non sapere come chiedere aiuto e come riappropriarci dell’esistenza. L’angoscia della solitudine ha bisogno di crearsi nemici. 

Presentato in concorso a Venezia 79.

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