La recensione di Paterson dal Bianconiglio Lab

Immerso nel suo mondo, Paterson scrive, compone poesie perché lui “respira poesia”. È un film intimista questo di Jim Jarmusch, attento ai personaggi e alla loro storia. Fluisce lento, al ritmo di quella monotonia scandita dagli eventi quotidiani e dalle piccole cose, ma è proprio questo che rende il film interessante e paradossale: l’attenzione dell’autore volta a chiarire allo spettatore che la visione del film prevede un viaggio nella vita di persone normali, una vita non particolarmente emozionante o dalle tinte fosche, e nemmeno pervasa da drammi famigliari. Tutto è al contrario uno spaccato a tutto tondo e ripetitivo: si trascorre un’intera settimana con Paterson, una settimana alla scoperta della sua vita fatta degli stessi gesti, di abitudini, persone ma anche di imprevisti. Paterson è la vita vera prestata alla classica finzione cinematografica nella sua essenza più pura.

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Questa volontà è resa immediatamente esplicita da una regia tesa alla sottrazione e a un virtuosismo minimale. La macchina da presa si fa spettatore dei piccoli, grandi momenti della vita quotidiana, accompagnando con fare discreto il protagonista nel corso della sua ordinaria quotidianità, senza dimenticarsi di porre attenzione alla vita di chi circonda l’uomo, in particolare la moglie Laura. Se da questo lato risulta minimalista la scelta registica adottata dall’autore, essa non riguarda la pellicola nella sua interezza; Jarmusch è pur sempre Jarmusch, regista dalla forte identità stilistica e personale. Egli è molto attento alla costruzione delle particolari sequenze che vedono il personaggio interpretato da Adam Driver immerso nella sua attività prediletta, ossia quel desiderio di esternazione dalla vita reale per immergersi nella sua realtà parallela, intrisa di ispirazione poetica. Ed è qui che Jarmusch esplode davvero: le sue sono immagini pregne di una forte carica emozionale e di pathos, quadri viventi fatti di sentimenti puri, gli stessi che compongono il flusso poetico che avvolge il protagonista nel momento della composizione. Queste transizioni sono un flusso immaginifico e poetico, reso dall’accostamento di immagini e dettagli (come quelle della cascata) pronte ad accompagnare la voce interiore del protagonista e farsi traslazione visiva di pensieri, sentimenti, emozioni. Dove si ritrova la poesia dopotutto? Nei paesaggi naturali cari a Paterson, nelle piccole cose e nelle persone a lui vicine, una su tutte la moglie Laura, sua musa ispiratrice che ama dal più profondo del suo cuore. Del resto, il suo è un nome parlante: Laura, come un’altra musa, un’altra donna amata, un’altra Laura, come quella di Francesco Petrarca.

Paterson

Chiaro e lineare nello scandire i vari segmenti della storia, il montaggio tende ad equilibrarsi alle scelte di costruzione di inquadratura e messa in scena, proponendosi quasi come una sorta di diario giornaliero in cui scrivere con la potenza del raccordo gli sviluppi quotidiani del proprio protagonista. Ma quello di Paterson (qui la nostra prima recensione del film) è anche un montaggio mutevole, pronto a farsi più libero e fluido nei momenti di maggiore enfasi, o negli istanti di esplorazione del sentimento poetico che pervade tutto il mondo del protagonista. Sono scene, queste, costruite su delle precise costanti, capaci di avvolgere l’universo di Paterson – come le sovrimpressioni di immagini accompagnate dalla voce interiore del protagonista – di un senso di lirismo toccante e delicato.

Coerente con l’intento minimalista e quotidiano della pellicola, la quasi assenza di temi musicali che irrompono nella scena per accompagnare gesti, sguardi e azioni dei personaggi, dona all’universo di Jarmusch un ulteriore senso di realismo e verosimiglianza. In Paterson prevalgono i rumori, i suoni e le voci ambientali che permeano e donano un significato profondo ai silenzi di un protagonista molto taciturno. 

Può sembrare una vita grigia poiché banale quella di Paterson, fatta di una routine nemmeno troppo eccitante; eppure, ci penserà Laura, precisa nei suoi schemi e quadrata all’apparenza, a portare colore e brio alla vita di Paterson. Una vita a colori che nasce e si forgia dalla striatura bicromatica di vernici e tessuti solo bianchi e neri. Nella sua eccentricità e voglia di protagonismo, Laura indosserà solo vestiti di queste tinte, abbellirà la casa con le medesime tonalità, invadendo dunque lo spazio comune di entrambi con l’unione di tutti colori, e la loro negazione. Yin e Yang dell’essere coppia, la donna troverà nella congiunzione eterna di due tinte tanto opposte, quanto armoniose, la perfetta rappresentazione visiva del suo rapporto con l’amato compagno. Mai utilizzati separatamente, ma sempre insieme, Laura accosta il bianco e nero unendoli in maniera sempre molto fantasiosa, tra forme geometriche e disegni lineari su oggetti, vestiti, sul copertone della ruota di scorta, o a decorazione dei suoi “magnifici cup cake”. Come il banco che avvolge il nero, così Paterson e Laura sono il giorno e la notte. Timido, impacciato, taciturno lui; spirito libero, artista nel vero senso della parola, un po’ pazza e alienata dal mondo reale, lei. Come la bicromia che tutto invade e tutto domina, così il rapporto tra i due coniugi si fa portavoce di un saper stare insieme all’altro, dell’accettarsi reciprocamente e del sostenersi, tesi per sempre in un equilibrio perenne.

In un mondo tutto sospirato, accennato, giocato sull’essere in potenza, anche la recitazione quasi trattenuta degli attori si sposa bene con l’ambientazione: una cittadina qualunque che cerca di ritagliarsi un proprio spazio in questo vasto mondo sempre di corsa, nella costante ricerca di feticci a cui aggrapparsi. Ecco che la centralità, questa forza centripeta della Paterson cittadina, colma la volontà di nascondersi del protagonista, il suo anonimato di poeta. Sembra quasi paradossale, dunque, l’identificazione tra queste due importanti entità del film (protagonista e realtà cittadina) con il medesimo nominativo: Paterson. Entrambe sono poeti per se stessi: da una parte la città di Paterson offre spunti e ispirazione in ogni dove per il proprio illustre cittadino, a partire dall’autobus pieno di persone che il protagonista guida per lavoro; dall’altra il protagonista si fa parte integrante, contenitore esistenziale di vizi e virtù del mondo circostante, mente pensante e mano instancabile pronta a tradurre in inchiostro l’anima della propria città.

Paterson

Paterson è un film che tocca le corde più emotive dello spettatore: non lo induce a una forte emozione, ma a una sensazione di calma pacifica. Il film di Jarmusch è una mano che ci stringe forte e ci porta alla scoperta della poeticità nascosta in ogni cosa. È una pellicola che ben ricorda i componimenti poetici di autori della prima metà del ‘900 quali Pascoli, Montale o Ungaretti, un corollario di arte, fotografie, libri e personaggi che si riconoscono gli uni con gli altri perché aventi la medesima inclinazione e passione. E chissà che Jarmusch con questo film non abbia voluto implicitamente riavvicinare lo spettatore a un’arte molto spesso accantonata, facendo di ogni spettatore un nuovo poeta, un nuovo osservatore del mondo. Un nuovo uomo.

Recensione a cura di Alessandra Sottini