MILITARY WIVES, la recensione del nuovo film di Peter Cattaneo

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    Military WivesMILITARY WIVES, photo courtesy of Fondazione Cinema per Roma
“Non abbiamo il privilegio di essere contro la Guerra… l’abbiamo sposata.”
22 anni sono trascorsi da quel Full Monty – Squattrinati organizzati che lanciò la carriera del regista Peter Cattaneo: un grido di disperazione e riscatto, quello della classe operaia britannica, che faceva dell’umorismo la sua arma vincente. Un improbabile “manipolo di eroi” in cerca di redenzione, del loro posto nel mondo, nel tentativo di riprendere il controllo delle proprie vite attraverso il ballo. Come anche in Billy Elliot (2001) di Stephen Daldry, la musica si tramutava allora in àncora di salvezza e via di fuga da una grigia realtà.
Sempre la musica, questa volta sotto forma canora, si palesa come valido anestetico per alleviare il peso di un ingombrante fardello: quello dell’aver “sposato la guerra”. Continue prove di fede e coraggio, unite al peso dell’incertezza, è ciò che devono sopportare ogni giorno le mogli di un gruppo di soldati impegnati sul fronte in Afghanistan.
La decisione di istituire un piccolo coro al femminile tra le mura della loro base accorcerà quelle giornate infinite, affollate di cattivi pensieri, e finirà con l’attirare sulle “military wives” l’attenzione dei media e delle alte sfere dell’esercito, portando alla nascita di un vero e proprio movimento di solidarietà tra donne.
Cattaneo cambia punto di vista ma non la natura dei suoi protagonisti. Prima i mariti, ora le mogli. Ognuna di loro diversa dalle altre, eppure tutte unite nella condivisione di tormenti silenziosi; tormenti mal celati che trovano nel canto la loro voce naturale. Kristin Scott Thomas e Sharon Horgan, perfette nemiche-amiche, si fronteggiano ironicamente in un delizioso balletto di frecciatine e battute al fulmicotone, munite di una chimica straordinaria e di tempi comici brillanti.
Una rigidamente impostata e organizzata al dettaglio ma assoggettata al dolore per la perdita prematura del figlio; l’altra più sensibile e conforme alla semplicità e alla schiettezza delle donne del posto. Le due devono far fronte alle proprie divergenze per trovare finalmente la chiave che apra il cuore delle loro compagne.
Forte di una playlist di canzoni (tra cui il toccante brano di chiusura) che sorregge splendidamente i diversi stati d’animo delle sue protagoniste, quasi fossero state scritte per loro, la pellicola parte tiepidamente per guadagnarsi poi il dovuto affetto strada facendo, via via che entriamo in confidenza con le tenere personalità che fanno parte del coro.
Pur trovando difficoltà a bissare il successo del suo film d’esordio, Cattaneo riesce comunque a costruire un delicato climax emotivo che raggiunge il suo culmine proprio nel momento in cui la musica viene lasciata sfociare in totale libertà. Perché essa è linguaggio antico e universale, terapeutico e malleabile. E ogni parola che facciamo fatica a pronunciare è una parola che ancora non abbiamo provato a cantare.