L’angelo dei muri è il nuovo film di Lorenzo Bianchini, presentato in chiusura nella sezione Le stanze di Rol del Torino Film Festival 2021

C’era grandissima attesa attorno a L’angelo dei muri, il nuovo lungometraggio di Lorenzo Bianchini. L’ultima ultima fatica del regista friulano risale al 2014, “Oltre il guado”, horror metafisico che conquistò, senza se e senza ma, pubblico e critica. Questa volta Bianchini lavora con una produzione tutt’altro che indipendente (Tucker Film con Rai Cinema) e non è costretto a livello organizzativo a far tutto da solo, o quasi. Questa uscita dall’alveo del cinema indie non è l’unica: il re dell’underground italiano non gira un horror, bensì un fantasy drama a tinte thriller. Siamo quindi lontani, a livello tematico, dalle sue opere precedenti.

La storia racconta di un anziano che vive all’ultimo piano di un palazzo fatiscente in centro a Trieste, e che da lì a poco subisce uno sfratto. Invece di sgomberare l’abitazione si crea, mattoni e cazzuola alla mano, una stanzetta interna all’appartamento, e si rifugia lì, in stato di indigenza totale, senza che nessuno se ne accorga. Presto la sua ex casa verrà occupata da una giovane madre e dalla figlioletta non vedente. La situazione per l’anziano si aggraverà e complicherà ulteriormente. Ma le sorprese, per lui, saranno davvero tante…

l'angelo dei muri

L’angelo dei muri è un ottimo film e lo è per mille motivi. Innanzitutto, conferma il talento di Bianchini, che confeziona un’opera di alto livello pur uscendo dalla comfort zone del genere horror che lo ha reso noto e apprezzato in questi anni. Ci sono però, al di là della bravura del regista, due perle artistiche che sorreggono l’opera in maniera sublime: la prima è l’interpretazione, sofferta e delicata, da vero “loser della vita”, del vecchio protagonista, l’attore francese Pierre Richard, conosciuto soprattutto per ruoli comici; la seconda è la bellissima fotografia di Peter Zeitlinger, livida e crepuscolare, che si adatta perfettamente alla storia e al corpo stanco dell’anziano.

Tornando ai meriti artistici di Bianchini, ne L’angelo dei muri si può notare un grande passo avanti a livello di regia, soprattutto nei movimenti di macchina, a volte morbidi a volte soffocanti, che accompagnano le “passeggiate” di Richard in quella casa che ormai non è più la sua. Una casa che diventa improvvisamente non più un luogo sicuro, ma una minaccia. Una casa alla quale il protagonista, però, non vuole assolutamente rinunciare. Bianchini riesce a tratteggiare in modo mirabile un malinconico dramma della solitudine, quello di un uomo sconfitto dagli eventi e dalla vita. Da ogni porzione di quella casa, da ogni dettaglio, anche dai muri, si percepisce la presenza di una tristezza che avvolge tutto, senza speranza. Le disillusioni, i traumi, le tragedie di un uomo verso la fine della propria vita affiorano tutte, senza sconti.

E anche nel finale, L’angelo dei muri e il suo regista ci spiazzano per l’ennesima volta, lasciandoci basiti, stravolti e sconvolti. Gli ultimi minuti risultano un po’ troppo didascalici ed esplicativi; forse sarebbe servito concludere la storia in un clima più sospeso e con meno spiegazioni, più aperto all’immaginazione. Tutto ciò, per fortuna, non arreca troppi danni ad un film che resta comunque bellissimo. Un lungometraggio triste ed evocativo, che spinge lo spettatore a riflettere sui temi della solitudine, della vecchiaia e della riemersione dei traumi. Da vedere al più presto al cinema.

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