John Wick è un mix di vari John: Wayne, Rambo, McClane, tutti rigorosamente con pistola e fucile.
Il film diretto dalla coppia di registi formata da David Leitch Chad Stahelski è un western metropolitano e crepuscolare a tinte orientali, nel quale uno spietato killer che aveva deposto le armi per amore ritorna sulla scena. La moglie, scomparsa prematuramente a causa di una terribile malattia, gli ha lasciato come unica consolazione un piccolo cane. Non ci sono i pellerossa o il despota ranchero come nel selvaggio west, ma ci sono i russi spietati e ‘cattivi’ che gli rubano la Mustang (nel West il cavallo) e gli ammazzano il cucciolo; e John Wick si scatena nella vendetta. A contarli bene, una sessantina i nemici morti.
“Ho prenotato un tavolo per dodici” è la prima vera frase metaforica, rievocando l’evangelico episodio dell’ultima cena, che Keanu Reeves dice nel film dopo averne fatti fuori appunto una dozzina chiamando poi un “ripuliture” per “smacchiare “ il sangue sparso per la casa.
C’è da dire che il protagonista non parla molto, ma spara e picchia come un indemoniato.
Dopo l’incompreso wuxia americano 47 Ronin, Reeves lascia le spade e diventa un samurai, un Ronin con pistole e fucili.
Anche questa pellicola, come la precedente, forse non lascerà il segno nella storia del cinema ma probabilmente verrà ricordata perché in qualche modo descrive il parallelismo con la sua vita reale, cambiata radicalmente dopo la perdita della moglie, e a darne testimonianza è proprio quello sguardo impassibile, totalmente indifferente per le cose che accadono, che non lascia spazio alle lacrime e scatena vendetta nelle sue azioni, in un mix letale di emoglobina versata a litri.
john wick recensione
È vero che pur essendo una sorta di ‘fumettone’, non c’è molta introspezione sulla figura del protagonista a parte il continuo rimarcare l’episodio spiacevole della perdita del cane, e anche la sceneggiatura risulta a tratti convenzionale e scontata, calata in un concentrato filmico di violenza esasperata. Tutto molto prevedibile. Ricordo della moglie direte, non solo, frutto di un imprinting animalista, dico io. Strana l’America, pronta a far discussioni sul cecchino di Clint Eastwood andato in Iraq a svolgere il suo lavoro di soldato, mentre s’intenerisce per un cane ucciso. E alla fine del film, vediamo Reeves/Wick al canile a prendere un altro cucciolo. Ma non è un beagle come quello iniziale, è invece di una razza da combattimento, più confacente all’immagine del suo padrone.
John Wick in fondo è un giustiziere che vuole vendetta e sangue, tipico di chi ha subito un torto e che risponde con “occhio per occhio, dente per dente”, nel pieno rispetto della legge del taglione. Ma l’attore canadese è veramente una statua di marmo senza espressione, da invidiargli solo il fisico e la Mustang del ’69, non certo l’interpretazione.
Un robot invincibile, nell’ambiente conosciuto come ‘la leggenda’, che punta solo al suo scopo: vendicarsi senza pietà, sparando ed abbattendo i suoi nemici, per poi finirli nuovamente con altri colpi quando passa davanti a loro.
Chicca finale: se John Rambo si cuciva la ferita sul braccio con ago e spago, il nostro John lo fa sull’addome con una cucitrice.
In conclusione, sorge spontanea una domanda: ma, in fondo in fondo, chi sono i cattivi; i malavitosi russi oppure John Wick?
Gianni Foresti

Rating_Cineavatar_3-5
john wick recensione