Assassinio sull’Orient Express segna il ritorno al cinema di Hercule Poirot nel nuovo adattamento diretto e interpretato da Kenneth Branagh

Assassinio sull’Orient Express è un remake nel vero senso della parola. Un rifacimento non solo nella trama, ma anche nelle immagini (che sono estremamente fedeli all’interpretazione di Sidney Lumet nel 1974) e, soprattutto, nell’anima.

Il lungometraggio sembra appartenere ad un’altra epoca per quanto si rifiuta di correre dietro alla frenesia contemporanea. Il regista Kenneth Branagh sviluppa con coerenza i personaggi, soprattutto il suo Hercule Poirot, stanco e brillante, che regge l’intero film sulle sue spalle. Non giova all’immedesimazione il cast ricco di star internazionali che, con la loro presenza ingombrante, attirano l’attenzione con i loro nomi più che per l’interpretazione.

Assassinio sull’Orient Express si apre con una sequenza ambientata ad Istanbul che serve a presentare al pubblico l’eroe e le sue abilità. L’incipit funge da cornice di qualità alla vicenda che si arena leggermente nella parte centrale (ma succedeva la stessa cosa anche alla versione classica) per poi ridestarsi con un finale carico di emozione e sintesi. Gli ultimi 20 minuti della pellicola sono pura contemporaneità: la risoluzione dell’enigma smette di fare da centro tematico, ma diventa funzionale all’interrogativo morale. Ci può essere un equilibrio nella giustizia? Possono esistere dei crimini in cui la colpevolezza non è immediatamente accostata a chi ha compiuto l’azione? Sono questi interrogativi a cui Branagh lascia condurre la storia per portarla nel nostro secolo disilluso e provo di certezze.

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Kenneth Branagh è Hercule Poirot in Assassinio sull’Orient Express
Un remake apprezzabile

Assassinio sull’Orient Express sembra incredibilmente originale, a confronto con la maggior parte dei blockbuster di oggi, grazie al suo appartenere a un’altra epoca. La fattura è ottima: dai corridoi del treno, che vengono ripresi valorizzando i loro limiti, gli spazi stretti e bui del set, alla costruzione delle sequenze.

La musica di Patrick Doyle è un chiaro indizio della serenità produttiva che ha accarezzato il film: la colonna sonora è tangibile e significativa. Le sequenze sono armonizzate tra immagini e suoni per farsi veicolo emotivo. Mentre si osserva il film non si può che percepire di stare vedendo il “cut” voluto e pensato dal regista, pianificato sin dagli storyboard. La compattezza aiuta a godersi il film ancora di più di quello che, forse, meriterebbe.

Assassinio sull'Orient Express
Michelle Pfeiffer in un’immagine di Assassinio sull’Orient Express
Al passo col cinema mainstream

L’ironia è onnipresente, ma diluita con l’arguzia di un Poirot diverso da tutti gli “ispettori supereroi” visti di recente. Assassinio sull’Orient Express scorre quindi con piacere, regalando un buon picco di emozioni sul finale.

Resta il rischio di dimenticarlo a pochi giorni dalla visione, forse un po’ più di coraggio avrebbe giovato. La trasposizione 2017 del romanzo di Agatha Christie è più grande di quello che avrebbe dovuto, è confezionata meglio di quanto ci si aspettava e, per tale motivo, la si può ammirare senza problemi.

Assassinio sull’Orient Express è, senza dubbio, uno dei prodotti più apprezzabili dell’anno per quanto riguarda il cinema mainstream.

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