Venezia 72: LOOKING FOR GRACE di Sue Brooks, la recensione

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“Non sono riuscita a dormire… questo letto è strano”
Unica donna in gara alla 72ma Mostra del Cinema di VeneziaSue Brooks (Japanese Story, Road to Nhill), classe 1953, vuole raccontarci una storia semplice, un fatto intimo e relegato all’interno di una narrazione minimale e di un’ambientazione asettica, ma, nel farlo, finisce per smarrire velocemete la strada, schiacciata dall’incapacità di portare a un sufficiente livello di approfondimento le molte (troppe) tematiche affrontate.
Looking for Grace è un’opera che vorrebbe vestire più di un abito concettuale ma che, alla visione, appare nuda e spoglia di ogni forma di sostanza, se non quelle piccole riflessioni che già arricchiscono costantemente il nostro vivere quotidiano. L’espediente della struttura narrativa a incrocio aggiunge certamente una piccola dose di fascino a un film che di per sé non si allontana mai quanto dovrebbe, idealmente e spazialmente parlando, ma viene comunque penalizzato da un montaggio per niente all’altezza della situazione che, anzi, contribuisce a donare l’effetto di dialoghi e contesti frammentati e incompleti.

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Si prende il via da un tentaivo di ribellione e allontanamento per poi scoprire quanto la presa di posizione della giovane Grace (Odessa Young) non sia altro che un castello di sabbia, privo di qualsivoglia fondamento; ecco, quindi, che emerge il desiderio di ritorno a una dimensione familiare che nulla mostra di così negativo, se non una leggerezza di valori e una frivolezza che si rispecchia ironicamente anche in amici e vicini di casa.
Più legato alla formula del prodotto televisivo che a quella del film da Festival, Looking for Grace mostra il suo lato migliore proprio attraverso quel velo di tenerezza e gradevole ironia che caratterizza le linee di pensiero dei suoi protagonisti, ma l’amara verità non tarda ad arrivare: la semplicità e la simpatia di questi personaggi serve a celare la mancanza di un vero e proprio centro tonale, un punto di partenza da cui articolare un discorso più ampio. Quello che abbiamo per le mani sono tanti piccoli focolai che falliscono nell’attecchire e donare interessanti ed esaustivi spunti di riflessione. L’aggiunta casuale di elementi e figure senza una chiara utilità diegetica (il vecchio investigatore in pensione e la sua indagine, tanto per citarne uno) contribuiscono solamente a rimarcare la priorità del confezionamento gradevole a discapito di un vero tentativo di dialogo. Cercare la “grazia” a volte non basta.
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