
C’è un certo parallelismo di fondo tra il personaggio di Geralt di Rivia e le premesse stesse di The Witcher, l’adattamento targato Netflix dei celebri romanzi dello scrittore polacco Andrzej Sapkowski, e si tratta del concetto di neutralità.
Come il Witcher protagonista delle vicende che tenta di rimanere, appunto, neutrale e in disparte dinanzi ai conflitti e ai mali del mondo (non sempre riuscendoci), anche la serie prova a fare lo stesso, chiarendo fin da subito di non voler essere paragonata ad altre opere a tema fantasy viste finora, nel bene e nel male.
Non cerca di essere nient’altro di quello che è, ed è proprio questa originalità, che spicca maggiormente nel modo in cui è articolato il racconto, a essere la fortuna di questa serie e contemporaneamente un ostacolo per chi si approccia per la prima volta a questo universo narrativo senza conoscere nulla di esso.
The Witcher ha una trama piuttosto procedurale e riprende fedelmente i primi due libri della saga, Il Guardiano degli Innocenti e La Spada del Destino, in cui vengono proposti una serie di racconti brevi e autoconclusivi riguardanti le gesta dello Strigo e dei vari comprimari che lo affiancano, ignorando del tutto i videogiochi, essendo essi stessi già un adattamento dell’opera cartacea.
Non siamo più abituati a una simile struttura all’interno di un fantasy moderno e in molti si sentiranno leggermente spaesati ma chi ha già familiarità con la storia di Geralt rimarrà piacevolmente colpito.
Niente politica in The Witcher, nessuna epica missione da compiere in nome di qualche astratto ideale di giustizia ed eroismo e nessun riferimento a Tolkien o a Martin in questo racconto di “Cappa e Spada”, dove è la continua ricerca dell’identità dei personaggi è il fulcro di tutto.
L’impressione di questa prima stagione è quella di avere di fronte un semplice antipasto di quello che arriverà in futuro.
La serie sembra quasi prendere dolcemente per mano lo spettatore, istruendolo sulle varie nozioni del mondo in cui si svolge l’intreccio principale, presentando elementi piuttosto classici del genere ma aggiungendo piccoli particolari che lo differenziano da tutti gli altri.
Geralt di Rivia, interpretato da un Henry Cavill massiccio ma molto a suo agio nella parte, è un Witcher, ovvero un mutante.
I Witcher sono sostanzialmente mercenari che, grazie ad alcune mutazioni subite da bambini in seguito a rituali svolti dai propri simili, girano il mondo stipulando contratti e uccidendo mostri in cambio di qualche moneta per vivere.
Geralt è un emarginato, un diverso, suscita disprezzo e paura negli sguardi degli altri. Ecco che emerge, quindi, uno dei temi fondamentali della serie che accomuna anche gli altri personaggi che affiancano il protagonista, come la giovane principessa Ciri (Freya Allan), in fuga alla ricerca del proprio destino, o l’affascinante Yennefer (Anya Chalotra), maga al servizio di re e regine: la paura del diverso e la volontà di questi emarginati di trovare un loro spazio nel mondo.
