Il temerario M. Night Shyamalan, talento indiscusso per alcuni, miracolato dal divino e vessato con insistenza da altri, è tornato sulla scena con la voglia di fare cinema e riscattare il suo ultimo operato che, da oltre un decennio, è scivolato nel triste baratro dell’oblio. La sua riabilitazione non è avvenuta per caso, ma grazie a un provvidenziale guizzo nell’intuizione e all’utilizzo del cosiddetto ‘sesto senso’. Ed è proprio da quella precisa folgorazione, che lo aveva ispirato ne Il Sesto Senso, appunto, che il regista di origini indiane ha faticato a ripartire, smarrendo negli anni la retta via e il suo brillante climax narrativo, noto ai più come Shyamalan Twist.
Ma come nelle migliori tradizioni, è dalle ceneri del passato che rinasce il fuoco smosso da una scintilla, e questa scintilla si chiama The Visit.
Dopo anni di purgatorio artistico e operazioni di resurrezione cinematografica per nulla riuscite, da Signs ad After Earth, Manoj Nelliyattu, vero nome di battesimo del filmmaker, sembra aver estirpato in parte le nubi tempestose dal suo scrigno creativo, sgomberando la mente e confermando che i grandi film (come il suo The Sixth Sense) non sono figli del fato o della fortuna, ma frutto di un’idea, di un disegno astratto, di una rappresentazione concepita da un’anima pensante.
L’intento dello Shyamalan di oggi è chiaro: costruire un lungometraggio che sfrutti le convenzioni stilistiche del genere thriller e attinga ad alcuni elementi tipici dell’horror al fine di inserirli in una dimensione inquieta dove la realtà diventa una prigione sconcertante che non lascia spazio ad alcun tipo di invasione soprannaturale. Lo schema del film è di quelli che funzionano sempre: una vicenda singolare, una casa ai margini della città, due bambini (in questo caso adolescenti) che fungono da vittime e una coppia di anziani psicopatici pronti a scardinare gli equilibri.
Tyler e Rebecca vengono mandati dalla madre in Pennsylvania per trascorrere una settimana di vacanza nella fattoria dei nonni. I ragazzi si accorgono sin da subito che l’anziana coppia si comporta in modo strano e il presentimento che nascondano qualcosa di sconvolgente si fa sempre più concreto. Un tranquillo soggiorno in compagnia degli avi materni si trasformerà ben presto, per i fratelli Jamison, in un pericolosa odissea e giorno dopo giorno vedranno ridurre le loro possibilità di tornare a casa.
Sulla scia di flebili accenni alla fabula di Hansel e Gretel, Shyamalan cerca di imprimere un’impronta diretta e immediata al racconto, veicolandola nella direzione ideale per provocare scompiglio e apprensione nello spettatore. Il cineasta, infatti, decide di avvalersi della tecnica del found footage e della ‘mise en scene’ istantanea e costruisce per l’occasione un mockumentary meta-cinematografico attento alla sostanza ma anche alla forma. Le inquadrature sono studiate con logica, attraverso inserimenti parossistici, in chiave ironica, di citazioni al cinema del passato che strizzano l’occhio ai cultori del genere; a partire dalla nonna, affetta dalla sindrome del tramonto, che ricalca una figura maligna, in età avanzata, a metà tra la piccola Samara di The Ring e l’indemoniata Regan MacNeil de L’Esorcista, fino ad arrivare agli esilaranti sproloqui verbali e alle jam session di rap freestyle del giovane Tyler che omette le parolacce a favore di personaggi conosciuti del jet set tempestivamente menzionati (su tutti 50 Cent). Nonostante un incipit chiaroscurale, a tratti sbrigativo e poco attento alle dinamiche/motivi che spingono i ragazzi dai nonni, nel complesso The Visit rappresenta un apprezzabile tentativo da parte di Shyamalan di realizzare una pellicola dalle oneste intenzioni, con un budget contenuto, che mira ad intrattenere il pubblico (divertendolo o spaventandolo) grazie ad una graduale escalation di tensione scandita nell’arco dei 90 minuti. Finalmente il celebre ‘Twist’ è riapparso, e con lui anche il suo ‘pindarico’ autore.
Andrea Rurali
Recensione pubblicata anche su MaSeDomani.com
the visit recensione