
Spider-Man: Un nuovo universo è uno dei blockbuster più freschi che si siano visti negli ultimi anni. E la cosa più sorprendente è che alla base c’è un’anima totalmente classica. Non c’erano molti altri modi per ricominciare a narrare le vicende dell’Uomo Ragno (qui ufficialmente al quarto reboot in meno di un ventennio) se non ripartire dalla base, rivedere le fondamenta e riscrivere la storia adattandola alle nuove generazioni. E questa scelta ha ripagato più che mai.
Se è vero che, come dice con forza il film, ognuno di noi può essere Spider-Man, quando si rialza da terra nonostante la forza dei pugni che ha preso, è anche vero che per fare un Peter Parker cinematografico, dopo le versioni riuscite di Tobey McGuire e Tom Holland, servono tanti altri arrampicamuri.
Quando il multiverso collassa su se stesso a causa delle macchinazioni di Kingpin, persino più toccanti di quanto fosse richiesto alla storia, ogni supereroe con i poteri di ragno dovrà affrontare il fatto di non essere l’unico. Cosi anche Miles Morales, il giovane Spider-Man di questa dimensione, si trova non solo ad accettare l’esistenza di diversi “Uomini Ragno” ma dovrà imparare a gestire i suoi nuovi poteri al più presto. È in gioco la sorte del mondo!

La mano dei produttori esecutivi Phil Lord e Chris Miller c’è, e si sente, in questo film che definire d’animazione sarebbe riduttivo. È puro sperimentalismo, visivo e narrativo, con la solidità di una classica storia di formazione. Per una volta il motto “da un grande potere derivano grandi responsabilità” viene espanso, scisso e declinato come nei fumetti.
Spider-Man non è una frase, ma un insieme di esperienze come il lutto, l’entusiasmo per i superpoteri, il difficile mantenimento dell’identità segreta. Il tutto in un contesto di formazione adolescenziale che alterna ogni angoscia con la gioia dell’avventura. I registi Bob Persichetti, Peter Ramsey e Rodney Rothman sanno bene che oltre ai costumi l’essenza dell’uomo ragno è quella di un essere umano, al di là dell’età o del sesso, che cresce combattendo i propri demoni. Ed è qui che lo spettatore trova il suo godimento. L’umorismo, presente in abbondanza, è equilibrato al punto giusto per non stemperare le vette drammatiche del racconto, che aprono a momenti di sincera umanità.
Essere eccessivamente stilizzato e innovativo, ma privo di cuore, era il rischio principale dell’operazione. Invece la fusione tra diversi stili estetici, che mischia la computer grafica all’animazione manuale, dal tratto dei fumetti (Sara Pichelli, Robbi Rodriguez, per dirne due) a quello dei cartoon tutto si mescola alla perfezione.
