Roma 2015: LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT di Gabriele Mainetti, la recensione

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Un vento di aria fresca ha soffiato sulla Festa del Cinema di Roma e porta il nome di Gabriele Mainetti. Il giovane attore romano esordisce alla regia e riesce in ciò che, nel panorama cinematografico italiano, sembrava una mera illusione: dare vita a una pellicola supereroistica assurda e concreta allo stesso tempo, divertente ma anche terribilmente amara, un mix nostrano di superpoteri, effetti speciali, esplosioni e villain da fumetto. Un sincero e sentito omaggio a un genere di massa che, fin’ora, sembrava aver messo radici ovunque, tranne che nel nostro paese.
Ponendo sopra un piedistallo il soggetto di uno degli anime fantascientifici anni ’70 di maggior successo e riferimento per le passate generazioni, Lo Chiamavano Jeeg Robot trova il suo ideale paladino della giustizia nel ladruncolo di borgata Enzo Ceccotti (mai il fisico dell’attore Claudio Santamaria ci era apparso così possente), fiero rappresentante del quartiere di Tor Bella Monaca che, in seguito al contatto con residui tossici di origine sconosciuta abbandonati sul letto del fiume Tevere, realizza di aver acquisito una forza sovrumana; tutto sta in come questo improvviso potere possa essere utilizzato al meglio.
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Dotata di una dolcezza trasparente e senza confini, la giovane e indifesa Alessia (Ilenia Pastorelli, perfetta per il ruolo) mette lo scontroso Enzo a nudo e inquadra fin da subito il suo ruolo salvifico, accostandolo alla figura di Isashi, celebre pilota di Jeeg Robot d’Acciaio senza macchia e senza paura. Il rapporto tra i due, tenero e credibile, è senza dubbio la cosa migliore del film: in qualche modo, entrambi sono sopravvissuti al duro accanimento della vita e si affiancano l’un l’altro in risposta a una più che umana paura della solitudine. Al nostro eroe si contrappone, invece, l’esplosiva interpretazione di Luca Marinelli (Non Essere Cattivo) nel ruolo dello Zingaro, grottesco villain di periferia, in perfetto equilibrio tra il boss malavitoso e il fenomeno televisivo da reality show. In Marinelli scopriamo un innato attore comico, in grado di dosare sapientemente le proprie tempistiche, nonché vera sinedocche umana dei pregi e difetti dell’opera prima di Mainetti: la cosciente follia dello Zingaro diverte e intrattiene con le armi della familiarità e del provincialismo (l’attore sembra pure ammicare allo spettatore più di una volta) ma non manca di sfociare occasionalmente nell’eccesso e nell’ostentazione, come nel caso della lunga sequenza finale.
In conclusione, Lo Chiamavano Jeeg Robot rappresenta un inedito quanto efficace prodotto d’intrattenimento, incredibilmente tutto italiano, dal ritmo e dall’ironia incalzanti e con un cast più che azzeccato. La lotta tra camorra napoletana e mafia romana che fa da sfondo a questa incredibile avventura, così come la condizione di partenza del protagonista Enzo, potrebbe suggerire il tentativo di aprire un discorso socialmente più ampio e d’attualità, ma quest’idea non arriva mai a concretizzarsi, rivendicando piuttosto la semplice esigenza di un’opera di pura evasione fantastica su territorio nazionale.
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