La saga di Star Wars riconquista libertà narrativa e guadagna… la guerra.

Esperimento antologico effettuato da Disney-Lucasfilm, Rogue One è il primo spin-off della saga incentrato sulla flotta ribelle che rubò i piani che permisero la distruzione della Morte Nera. Il progetto prende forma e ragion d’essere nel tempo, ripagando lo spettatore con un solido crescendo emotivo. Gareth Edwards sfrutta al meglio la possibilità di slegarsi dai vincoli del canone orizzontale (quello cronologico) e racconta una storia di guerra più matura e coraggiosa di quello che ci si poteva aspettare.

Lungi dall’essere un lungometraggio perfetto (ma, a vedere bene, i leggendari film di Star Wars vivono anche sui loro difetti) Rogue One è in realtà un grande film di guerra. Il conflitto bellico viene inquadrato dal basso, ancorato al terreno e ai personaggi. Il mondo sembra sovrastare i protagonisti, spesso ripresi come piccole figure in un paesaggio opprimente. Le soggettive (bellissime) dei piloti in volo, e i movimenti di macchina tra la folla dei pianeti, valorizzano una sceneggiatura solo apparentemente convenzionale, ma decisamente matura, in cerca di istintiva concretezza. Nella prima metà la pellicola procede appesantita, seguendo i canoni dell’uniformità emozionale e delle frasi fatte, ma una volta entrati nella fitto tracciato delle vicende l’azione si dipana e si inizia a venire travolti nel vortice dei migliori episodi di Guerre Stellari.

Rogue One raccoglie le atmosfere della trilogia classica ancora meglio di Star Wars: Il Risveglio della Forza. Se il film di J.J. Abrams esagerava nel suo volere essere un “ritorno a casa” degli spettatori, raccogliendo solo una parte di ciò che seminava, l’opera di Gareth Edwards riesce ad essere ‘macchiata’ e fantastica nella giusta misura. Ritornano le canaglie spaziali come Han Solo, le vertigini delle altezze, la forza che scorre debole, che è fallibile, lo spazio profondo e il gusto dell’esplorazione.

Rogue One a star wars story
Felicity Jones è Jyn Erso in Rogue One: A Star Wars Story

È incredibile come la forza dello spin-off risieda soprattutto nelle cosiddette “inquadrature master”. Prima di entrare nel vivo di una sequenza i registi offrono spesso qualche secondo di immagini in campo lungo, che servono ad ambientare l’azione e a definire la posizione dei protagonisti. Rogue One vince in ogni cambio di scena, quando l’occhio registico ci porta su pianeti (sia conosciuti che nuovi) e li riprende con coerenza e plausibilità. È l’ebrezza dello spazio, della scoperta e dei pericoli che possono celarsi dietro ogni angolo. Purtroppo non sempre i dialoghi e la costruzione dei personaggi di contorno risultano altrettanto affascinanti, soprattutto durante il primo atto. L’eroina Jyn Erso (Felicity Jones) conserva una buona statura eroica, ribelle ma umana. Il suo rapporto con Cassian Andor (Diego Luna) non stupisce, ma raccoglie una buona dose di emozioni negli ultimi minuti. Chirrut, il monaco cieco interpretato da Donnie Yen e l’androide K-2SO sono forse le anime più interessanti della ribellione.

Il principale “freno a mano” nella prima parte della pellicola è però il modo in cui i caratteri interagiscono tra di loro e con i personaggi di contorno. Sicuramente non aiuta un doppiaggio italiano decisamente sotto tono, poiché alcuni dialoghi necessitano forse di un’ulteriore mano di colore.
Non è però grave: Rogue One è finalmente un ritorno al western spaziale di frontiera che si fonde con il blockbuster bellico. Un enorme merito di Gareth Edwards è quello di avere cercato di attualizzare l’estetica del conflitto (durante una battaglia sembra di essere in medio oriente) e di avere moderato il più possibile (per un film del genere) l’audacia e l’esaltazione dalla guerra. Le immagini sono attente a cantare le gesta di ribelli in lotta per la libertà, ma non l’eroismo del sacrificio e del togliere la vita agli avversari. Rogue One è la malinconica cronaca di una guerra di fantasia che, nelle ultime battute, sceglie coraggiosamente di apparire vera. Chi saranno i vincitori? Chi i vinti? Per una volta, non è scontato.

Consigliato a: coloro che ancora chiamano Star Wars Guerre Stellari.

Gabriele Lingiardi

Rating_Cineavatar_4