
Sarebbe facile ridurre Non c’è più religione al canone delle commedie italiane dell’epoca contemporanea. Ci vorrebbe un attimo per tacciarla di una visione semplicistica della vita, di una continua strizzata d’occhio allo spettatore o di essere leggera come una piuma. Il lungometraggio di Luca Miniero (Benvenuti al Sud, benvenuti al Nord, Un Boss in Salotto) affronta temi già trattati in passato come l’integrazione religiosa, la diversità culturale e i cambiamenti dell’Italia moderna, dando sempre la risposta più comune e prevedibile. Risulterebbe banale, e altrettanto riduttivo, etichettarlo come un prodotto scontato per i motivi elencati. E invece Non c’è più religione ha più di una ragion d’essere e, nel suo piccolo, merita di vedere la luce delle sale cinematografiche.
Siamo in una piccola isola del mediterraneo, rinomata per il tradizionale presepe vivente, preparato ogni anno con cura e dovizia. Quando però l’ultimo bambino nato nel luogo diventa troppo grande per interpretare il piccolo Gesù, il fatto causa una forte crisi nella cittadina. Il sindaco, interpretato da Claudio Bisio, cerca quindi di porre rimedio chiedendo in prestito un neonato alla vicina comunità araba. Dal piccolo gesto inizia un importante incontro/scontro culturale che porterà i due gruppi a rivedere le proprie posizioni e a mettere in scena il primo presepe multireligioso.
È facile immaginare quale sia il risvolto morale pensato da Luca Miniero, ossia “tutte le religioni fanno parte di un unico ceppo culturale, quello della razza umana”. Dall’incontro tra due interpretazioni di vita differenti può nascere una crescita e un arricchimento reciproco da cui è difficile tornare indietro.
