1948, Cile: Pablo Neruda (Luis Gnecco), in veste non solo di poeta di fama internazionale, ma anche di Senatore, denuncia il governo del Presidente Gonzalez Videla di tradimento nei confronti del popolo. Messo sotto accusa, è costretto alla fuga, inseguito dal Prefetto della Polizia Oscar Peluchonneau (Gael Garcìa Bernal, in una delle sue migliori interpretazioni). Da quest’esperienza nascerà una delle sue opere fondamentali, Canto general.
Nell’approcciare i fatti politici di Neruda, Pablo Larrain evita la facile strada del biopic per costruire un’opera di ampio respiro capace di interrogarsi sul rapporto tra la particolarità della vicenda e l’universalità della poesia. Tema fondamentale fin dalla Poetica di Aristotele, è ben rappresentato dalla parabola del poeta cileno, al contempo Senatore impegnato a difendere il proprio ideale politico e immaginifico artista capace di creare non solo storie, ma la stessa Storia calamitata intorno alla sua persona. In quest’ottica, il regista scompiglia le carte facendo dell’inseguitore poliziesco Oscar Peluchonneau la voce narrante del film, che può così tanto commentare in modo onnisciente anche il più intimo dettaglio del racconto quanto incarnarsi nel punto di vista avverso e parzialissimo di un implacabile oppressore. Peluchonneau è infatti personaggio al contempo reale e fittizio: effettivamente esistito come Direttore Generale della Polizia Cilena nel 1952, non può però corrispondere totalmente alla figura che sentiamo – per lo più in voce fuori campo – esprimersi in modo più poetico e nerudiano del suo stesso sopraffattore. Ed in modo sorprendentemente meta-cinematografico, è il poliziotto stesso che arriverà a farsi domande sulla sua identità, se sia quella di concreto protagonista della Storia o di personaggio secondario inventato dalla penna dell’illustre poeta. Che con il suo gigantismo sembra in ogni caso dar vita ad entrambe.
