MOONLIGHT, la recensione del film di Barry Jenkins

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Moonlight, di Barry Jenkins
Vincitore del Golden Globe 2017 per il Miglior film drammatico, Moonlight ripercorre i tre importanti momenti dell’esistenza – l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta – di Chiron, un ragazzo di colore cresciuto nei sobborghi difficili di Miami. Il giovane cerca di trovare sé stesso e il suo posto del mondo.
La pellicola è divisa in tre capitoli, intitolati con i differenti nomi, e soprannomi, del protagonista. La storia si presenta come un racconto di formazione, un ritratto intimo e sociale della vita in una comunità criminale.
Moonlight prende origine da una pièce nata all’interno della scuola d’arte drammatica di Miami. Il testo, scritto da Tarell Alvin McCraney, è intitolato “In Moonlight Black Boys Look Blue”. ed è stato trasposto sul grande schermo dal regista Barry Jenkins che ne ha arricchito i capitoli.
Nel testo originale, McCraney narra la vita di Chiron in una forma non-lineare, passando dall’adolescenza all’infanzia, fino all’emergere dell’omosessualità del giovane protagonista. Jenkins ha ampliato soprattutto la parte finale, l’esistenza da adulto, attribuendole lo stesso peso narrativo delle altre due. Nel libro il momento di confronto con l’amore/amante era ridotto ad una telefonata. Qui viene trasformata in una lunga sequenza all’interno di un ristorante di Miami. Una sequenza colma di tensioni, silenzi e di carica emotiva. Questa è forse la parte più riuscita e toccante dell’intera pellicola.
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I dialoghi sono asciutti, essenziali e in alcuni frangenti persino assenti. Il regista cerca, attraverso le immagini e gli sguardi, di donare il senso di straniamento, rimarcando la questione identitaria che permea l’intera pellicola. Il protagonista sembra non riuscire mai a esprimere i sentimenti o la sua sessualità. Struggente e misurato, il film pone inoltre domande su quelli che sono gli stereotipi utilizzati dalla società per classificare le persone.
Evitando i passaggi ovvi e didascalici, Jenkins però fatica a convincere pienamente nella fluidità del racconto e nell’intenzione di “rifiutare” le etichette. Nel lungometraggio si annidano luoghi comuni, soprattutto nella rappresentazione di personaggi e azioni, che rendono vano il fine ultimo di “liberazione del pregiudizio”. Moonlight parla di virilità e stereotipi senza distruggerli, ma enfatizzandoli in modo ancor più evidente.
Gli interpreti, dai bambini agli adulti, sono brillanti e credibili ma poco sostenuti da un adattamento instabile. Trevante Rhodes (Black) incarna un personaggio molto sensibile e tormentato nascosto da un fisico marmoreo e atletico mentre al personaggio di Kevin (André Holland) è destinata la risoluzione finale del tema dell’essere se stessi attraverso un abbraccio. Un gesto purissimo intriso di sentimenti, significato ed emozioni.

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