Dopo quasi vent’anni Lana Wachowski ci riporta nella tana del bianconiglio con Matrix Resurrections. Pillola rossa o pillola blu? La domanda è sempre la stessa, ma la risposta è cambiata…
Sono passati quasi vent’anni da quel lontano 2003, quando il pubblico di tutto il mondo assisteva alla fine di una delle trilogie cinematografiche più elettrizzanti di tutti i tempi. Fenomeno cult, mind-game movie generazionale, innovazione completa del genere action: Matrix ha segnato in profondità chi l’ha vissuto in quegli anni. Nessuno, compresi gli ideatori, credeva nella possibilità di un ritorno di Neo Anderson e compagni.
Invece il momento è arrivato, bisogna seguire nuovamente il coniglio bianco.
Inside Matrix
Neo è stato resuscitato e connesso alla versione più recente della simulazione di Matrix. È un popolarissimo videogame designer, ha creato una trilogia che contiene gli eventi dei film originali di Matrix da cui stanno per trarre una serie cinematografica, e la sua vita scorre tutto sommato tranquilla. Ma il bug del sistema è sempre dietro l’angolo…
Il primo cortocircuito ha radice nella natura meta-discorsiva del progetto: Resurrections è allo stesso tempo un sequel, perché mostra vicende cronologicamente successive agli eventi di Revolutions, e un reboot (forse più in accezione informatica che fictional), poiché sfrutta l’espediente narrativo della rottura della continuity per (ri)creare universi e personaggi conosciuti in una chiave inedita.
Eppure, per paradosso, l’opera di Lana Wachowski sembra suggerirci l’essenziale impossibilità di entrambe le soluzioni. Uno degli aspetti che all’epoca rese Matrix fenomeno di culto fu la capacità di tradurre in cinema ansie e dinamiche della nascente società ipertecnologica. Come? Riflettendone la contemporaneità in universi matematici e visuali con un’efficacia che raramente si era vista sul grande schermo.
La complessità del mondo di oggi (e di conseguenza del Matrix di oggi), tuttavia, non permette più la concezione dualistica della realtà su cui si basava la precedente trilogia. Pillola rossa o pillola blu, uomini contro macchine, destino e libero arbitrio, la moltitudine e l’Eletto, Matrix o Zion non sono più sufficienti. E non è un caso che il videogioco che Neo sta elaborando all’interno di Matrix sia Binary: l’andamento è ora stratificato, multi-direzionale e sganciato dalla logica dell’aut-aut, una celebrazione dello spazio compreso-non compreso tra i binari (del genderismo).
Operazione nostalgia
La prima parte funziona molto bene, anche se, come nella maggior parte delle saghe riproposte anni dopo l’originale conclusione, lo spunto iniziale appare forzato e non particolarmente brillante. Ciononostante, i personaggi di contorno e gli spazi in cui agiscono sono introdotti con accuratezza. Anche l’effetto nostalgia per il ritorno di Neo (Keanu Reeves) e Trinity (Carrie-Anne Moss), ma non solo, gioca un ruolo primario nel coinvolgimento del pubblico.
Matrix Resurrections è girato superbamente, se paragonato alla maggior parte degli action movie futuristici contemporanei. Scrittura e ritmo si mantengono coerenti per tutta la durata del film. I dubbi più grossi rimangono sull’idea che sta alla base del progetto: la sensazione è che la meta-narrazione spietata (e spesso ironica), la chiamata in causa di alcuni personaggi già noti e la creazione di altri sulla falsa riga dei vecchi (in particolare l’Analista), lo spiegone durante i bullet time, siano più strizzate d’occhio agli appassionati della saga che istanze rappresentative essenziali.
In conclusione, l’ultimo Matrix è un’esperienza cinematografica imperdibile per gli appassionati della saga e più in generale del genere, ma a patto di gestire prudentemente l’entusiasmo delle aspettative.
VALUTAZIONE CINEAVATAR
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