L’URLO che durò mezzo secolo: la distopia tra ieri e oggi

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L'Urlo - Foto dal set con Barilli e Magri
Luca Magri nel remake de L’Urlo, diretto da Francesco Barilli
È la metà degli anni sessanta. Un gruppo di giovani appassionati – anzi, assatanati – di cinema si riunisce in quel di Parma.
Camillo Bazzoni, Vittorio Storaro e Francesco Barilli si conoscono sul set di Prima Della Rivoluzione di Bernardo Bertolucci e legano immediatamente. Respirando cinema a pieni polmoni realizzano una serie di opere tra cui spicca un classico e – per certi versi – precursore di genere: il cortometraggio L’Urlo.
Quando il distopico ancora non è un genere cinematografico definito, il trio regala una perla destinata a diventare un classico ispirato da quelle grandi opere letterarie che proprio in quegli anni avrebbero alimentato un cinema in vena di sperimentazioni.
In un futuro non meglio specificato, Paolo Caren (Francesco Barilli) è un cittadino qualsiasi che legge poesie, ascolta musica e si innamora. Il problema: nel mondo de L’Urlo le emozioni sono proibite, inibite anche tramite un farmaco apposito. Le opinioni sono solo quelle dispensate dal governo e il condizionamento mentale della popolazione è la norma.
Paolo Caren, ovviamente, ora si trova nei guai, braccato da un’inquietante forza di polizia.
Vittorio Storaro, sotto la regia di Camillo Bazzoni, si mette ampiamente in mostra con una fotografia in bianco e nero che delinea perfettamente il mondo asettico in cui si svolge la vicenda: bastano pochi fotogrammi e l’atmosfera è già perfettamente chiara. Il suo lavoro gli varrà un Nastro d’Argento e lo lancerà nel firmamento del cinema. È l’inizio della strada che lo porterà a vincere ben 3 Oscar come direttore della fotografia e ad essere un punto di riferimento mondiale.
Francesco Barilli sul set con il direttore della fotografia Pierpaolo Pessini e Luca Magri
Mezzo secolo dopo lo stesso Barilli, protagonista del corto del ’66, ne dirige il remake (QUI il trailer), sempre in forma di cortometraggio. È un’operazione senz’altro inusuale e interessante, visto il ruolo del regista/ex protagonista e il significato dell’opera originale.
I tempi sono cambiati e oggi il genere distopico è più diffuso di allora: questa è solo una delle sfide che sono state affrontate. Oggi siamo abituati a essere osservati e seguiti, almeno digitalmente, quasi ogni secondo della nostra vita.
Ecco allora che il remake sveste i panni della distopia pura e semplice e si fa più quotidiano. I colori, il montaggio rapido e le ambientazioni sono in un certo senso più familiari. Il senso di essere chiusi in una gabbia di controllo è meno esplicito e più sottile, più aderente al mondo in cui viviamo.
Luca Magri, attore, regista e produttore parmigiano, dà nuovo volto a Paolo Caren in una versione meno fantascientifica e più “realistica” de L’Urlo. E forse è proprio questo che inquieta di più…
“Sono due cose uguali, ma diverse per epoca: allora era fantascienza vera, adesso è quasi un documentario”, ha rivelato l’attore durante la nostra intervista (in arrivo nei prossimi giorni su CineAvatar).