La Bête è il nuovo film di Bertrand Bonello, presentato in concorso a Venezia 80. Un viaggio nelle emozioni in un futuro distopico, ma anche una riflessione sulle immagini. Recensione.
Un uomo e una donna si incontrano in una clinica per fare un’operazione. Siamo nel 2044 e la chirurgia è quella emotiva. L’intelligenza artificiale che ha sostituito l’uomo in gran parte delle mansioni, invita le persone a sottoporsi a dei “ritocchi estetici” sulla sfera emotiva. A modificare il proprio DNA, per rimuovere le esperienze del passato, sia quelle estremamente positive che quelle negative. Le emozioni radicali sono infatti un impedimento alla vita su una terra governata da razionalità (fredda) e funzioni da eseguire. Gabrielle e Louis si sfiorano, sentono di essersi già incontrati. Probabilmente l’hanno fatto in vite precedenti che hanno contribuito, esperienza dopo esperienza, a consolidare quello che sono. Da questo spunto di stampo buddista misto a una fantascienza distopica ben poco dettagliata, parte La Bête. “La bestia” di Bertrand Bonello è nel film una sensazione che tocca i protagonisti. L’impressione di una tragedia imminente, raccontata attraverso tre epoche: il passato, 1904, un presente vicino allo spettatore, il 2014, e il futuro.
La Bête merita di essere visto?
Siamo dalle parti di un cinema teorico che trova la sua ragion d’essere nella ricerca filosofica ben più che nelle emozioni (appunto) che riesce a comunicare. Nonostante questo Bonello riesce ad entrare sotto pelle a chi è disposto a seguire questa dissertazione. Bisogna rassegnarsi a non capire tutto e subito, ma ad abbandonarsi alle suggestioni.
Divisivo, La Bête ha raccolto sia un plauso entusiasta che qualche rifiuto quando è stato presentato (in concorso) all’ottantesima Mostra del Cinema di Venezia. Avrà vita più lunga nei contesti di studi dei media (si segnala in particolare la notevole sequenza di apertura in cui Lea Seydoux grida osservando qualcosa fuori inquadratura mentre è circondata da uno schermo verde), rispetto a quanto potrà fare in sala. Eppure La Bête contiene così tante idee, anche se forse a volte messe in un modo troppo disordinato, che lo rendono uno dei film più rilevanti della stagione.
Come interpretare La Bête?
Ci sono molte prospettive entro cui leggere il contenuto del film. Ne proponiamo una, la più suggestiva. Bonello riflette sul volto neutro. Uno stato tipicamente attoriale, in cui il performer annulla le emozioni espresse dal suo corpo per poi mostrare le emozioni del suo personaggio. Nel film ritorna il tema delle bambole, di cui vediamo l’evoluzione in tutte e tre le epoche. La regia ci affida una domanda: cosa resta di noi se rinunciamo alle emozioni travolgenti? Siamo solo involucri, bambole organiche.
L’idea di affidare i titoli di coda a un codice QR da inquadrare è un’altra provocazione d’autore, che offre la seconda chiave di lettura: la delega. Quanto siamo disposti a delegare alla tecnologia? Fin dove vogliamo farla arrivare? Può semplificare il lavoro, rendere più comoda la vira, ma permetteremo alle intelligenze artificiali di decidere anche delle nostre emozioni, dei nostri amori e, quindi, di quello che siamo?