Roseanne McNoulty è una donna anziana che, da cinquant’anni, vive in una clinica psichiatrica. L’edifico ha accolto la donna tra le sue mura quando, durante il conflitto mondiale nel gennaio del 1942, è stata accusata di avere ucciso il proprio figlio, a pochi minuti dalla nascita. Quando il Dottor Greene si reca nella clinica, per trasferire i pochi pazienti rimasti in un luogo più adatto: la sua visita sarà l’occasione per riaprire i vecchi casi e scoprire, finalmente, la verità su Rose.
Jim Sheridan, regista de Il mio piede sinistro e Nel nome del padre, adatta il romanzo di Sebastian Barry comprimendo il più possibile gli eventi e ricercando una voce propriamente cinematografica. Il Segreto traballa infatti tra il melodramma esile, dai sentimenti ben descrivibili a parole ma difficilmente comunicabili in immagini, e il racconto storico carico di passione. Di questi due aspetti è, per una buona misura, soprattutto il secondo a prevalere.
Il lungometraggio si articola su due piani temporali: il presente della donna e il suo passato. L’interazione tra questi due segmenti fatica però a distribuire equamente il carico emotivo. Se infatti le sequenze ambientate nel passato irlandese di Rose riescono a tenere vivo l’interesse, lo stesso non si può dire di quelle ambientate cinquant’anni dopo. Sheridan riprende il 1942 dal punto di vista delle persone. Il cineasta non è interessato al conflitto ma alle conseguenze di esso sulle persone. Il clima di sospetto che descrive, è segno di una frattura all’interno del tessuto sociale. La guerra ha deviato l’animo umano, rendendolo incapace di comprendere e trattenere l’amore. Il sentimento di grande passione guida tutti gli uomini del film. C’è chi vive di un amore puro, fatto di attese e di desideri e chi, invece, indirizza il proprio amore verso Rose con rabbia. L’amore distruttivo, che appartiene ad un personaggio complesso (lascio allo spettatore il piacere di scoprirlo) è turbamento dell’anima e sentimento del peccato, inteso come gelosia annichilente.
