happy end recensione
Il poster ufficiale di Happy End
È difficile parlare di Happy End senza partire dagli ultimi istanti. Perché proprio in quei fotogrammi finali, sgranati in quanto mediati dall’occhio di un cellulare, Michael Haneke trova tutto il suo spirito, vulnerabile e assai crudele, di indagatore dell’umanità.
La sua ultima opera, impossibile da raccontare con giustizia nella trama, è una classica storia di intrecci familiari narrato però con una perizia tale da elevarla sopra la media.
Siamo però ben lontani dalla poesia di Amour, pietra miliare degli ultimi anni di cinema. Nonostante il personaggio di Jean-Louis Trintignant sembri segnare un raccordo con il sofferente Georges, Haneke vira sui toni della commedia amara, rinunciando al realismo in funzione di una teatralità a volte troppo artefatta. Happy End si presenta inizialmente allo spettatore come un film rigoroso, costruito e sceneggiato, ma a lungo andare travolge per la verità dei sentimenti che comunica.
Il cineasta austriaco riesce a trovare i volti giusti per i suoi personaggi. Li ama, e si vede, non tanto negli attori, tutti bravissimi, ma più nella loro forma, nelle rughe e nelle imperfezioni. Le caratteristiche fisionomiche delle persone che popolano il mondo del film sono oggetto di pregiudizi, di attrazione, di sconforto. Le facce sono riprese, seguite, indagate e si fanno, al tempo stesso, strumenti di comunicazione.
Happy End recensione
I protagonisti di Happy End, il nuovo film di Michael Haneke
In Happy End, infatti, la presentazione dei personaggi è spesso mediata da una videocamera, un computer, e avviene per incastro. I personaggi sono piccoli universi di incomunicabilità che si svelano progressivamente come famiglia. Il regista sorride alla depressione della borghesia, ai riti vuoti e individualisti. Siamo in un mondo di adulti che non sanno amare, di giovani che non vogliono vivere e di anziani che non riescono a morire. In questi paradossi passa tutta la potenza di un cineasta che sta vicino alle sue creature immaginarie, respira e vive con loro. Ed ecco che, arrivando al finale, il film inizia a svelare il suo cuore più umano e a diventare un affettuoso monito sull’importanza della cura nelle relazioni. Haneke regala al cinema una conclusione sottile e ironica che accompagnerà chi deciderà di abbandonarsi al film.
Esiste un lieto fine? Una domanda che risuona potente appena le luci si riaccendono in sala. È impossibile prolungare con la fantasia il film, dopo la sua fine, e giungere ad una conclusione che non sia malinconica. Non c’è speranza nei contenitori vuoti che Haneke usa come personaggi, non c’è vita per chi si è dimenticato come amare una famiglia. Ma Happy End è un monito, non una sentenza: un consiglio all’umanità su come affrontare la quotidianità.