Dopo Tron: Legacy e Oblivion, Joseph Kosinski torna alla regia con Fire Squad – Incubo di fuoco (il cui titolo originale, Only The Brave, rende molto meglio il senso del film).
Come già dimostrato nelle pellicole precedenti, al regista americano non manca certo la bravura nell’individuare inquadrature spettacolari e nel dare peso al sempre impressionante tessuto visivo dei suoi film. Tuttavia, in entrambi i casi era mancata una certa solidità di fondo. Se in Tron: Legacy questa carenza si avvertiva solo in superficie, in Oblivion l’assenza di una conclusione non forzata di tutte le sottotrame del racconto emergeva con più forza. Questo nonostante esso rimanga uno sbalorditivo affresco post-apocalittico e offra un connubio perfetto tra la parte visiva del fidato Claudio Miranda e l’eccezionale colonna sonora del gruppo francese M83.
Fire Squad – Incubo di fuoco, tratto da una storia vera, era l’occasione per porre un rimedio a questa pecca congenita.
FIGHT FIRE WITH FIRE
La storia è quella di Eric Marsh (Josh Brolin) e del suo desiderio di portare la compagnia di Prescott, in Arizona, allo stato di “hotshot” (il più alto grado per una squadra di vigili del fuoco).
Entriamo così nelle dinamiche del gruppo di 20 ragazzi man mano che affrontano situazioni sempre più pericolose.
Ampio minutaggio viene dato alla redenzione del giovane Brendan McDonough (Miles Teller), sfaccendato nullafacente che si trova a dover dare un senso alla sua vita.
Qui sta il bello. La solidissima sceneggiatura firmata da Ken Nolan (Black Hawk Down) e Eric Warren Singer (American Hustle) permette di dare spazio a ognuno dei protagonisti senza mai perdere il filo principale. Così, in una struttura quasi episodica, vediamo l’evoluzione delle vite private dei vari aspiranti hotshot e al cambiare dei loro desideri e bisogni. Ci si affeziona, ci si immedesima. Coloro che affrontano pericoli mortali per salvare vite altrui sono persone normali, inclusi problemi e qualche sogno nel cassetto.
Ovviamente non mancano i momenti puramente spettacolari e qui è dove, senza sorpresa, il regista brilla maggiormente. Il legame ormai consolidato con il direttore della fotografia Claudio Miranda offre uno prodotto mozzafiato.
Kosinski rinuncia all’approccio di altri film del genere (come il classico Fuoco Assassino di Ron Howard) e non pone mai l’incendio come antagonista degli eroi. Rifiuta saggiamente di dare al fuoco una “personalità” e, pur mostrandolo in modo feroce ed efficace sempre al centro della vicenda, lo tratta come un puro fenomeno della natura, qualcosa di quasi inarrestabile ma senza trasformarlo in un personaggio. Riesce anzi a donargli un aspetto brutale pur senza trascurarne la letale bellezza.
Come per il ricordo che Marsh non riesce a cancellare, un orso che esce a tutta velocità dalla foresta completamente avvolto dalle fiamme, il fuoco è qui una cosa meravigliosa, ma terribile. È spettacolare, ma non è uno spettacolo.
Impresa non facile proprio perché il cinema da sempre adora spettacolarizzare e personificare i fenomeni naturali.
HOTSHOTS