Fellini 100: la recensione della versione restaurata de Lo Sceicco Bianco

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Federico Fellini, oltre a essere un grande regista è anche un grande bugiardo. Forse l’uomo più bugiardo del mondo, però oh…Federico c’ha na capoccia così! (Alberto Sordi)
Si dice sempre che il nostro Paese non ha memoria, che si dimentichi troppo facilmente dei suoi figli prediletti. Eppure, nel giorno del centenario della nascita di Federico Fellini, l’Italia e il mondo intero sono pronti a rendergli il omaggio con numerose celebrazioni.
Dalla mostra Fellini 100 a Castel Sismondo (Rimini), che proseguirà fino al 15 marzo, alle versioni restaurate dalla Cineteca di Bologna di Lo Sceicco BiancoI VitelloniLa dolce vita, 8½ Amarcord, alla programmazione di esordio del canale CINE34 di Mediaset, il mito di Federico Fellini è destinato a risplendere nei secoli dei secoli.

100 di questi Federico: Lo Sceicco Bianco e l’esordio tiepido dietro la macchina da presa

Lo Sceicco Bianco è considerato il vero film d’esordio di Fellini regista, arrivato due anni dopo la prova a 4 mani con Alberto Lattuada con Luci del Varietà ed un lungo periodo di lavoro come sceneggiatore, in cui ha contributo a scrivere opere come Roma Città Aperta e Paisà di Roberto Rossellini.
Dopo essere tornato al timone del soggetto, che prima era passato dalle mani di Lattuada e Michelangelo Antonioni, Fellini inizia a collaborare con Ennio Flaiano e Tullio Pinelli portando sul grande schermo una commedia ironica, divertente e surreale.
In un giorno di fine estate del 1951 la ventiduenne Wanda (Brunella Bovo) si reca a Roma con il neo sposo Ivan (un irresistibile Leopoldo Trieste) in viaggio di nozze. La ragazza coglie l’occasione per portare segretamente un ritratto dello sceicco bianco, il personaggio dei suoi amati fotoromanzi interpretato da Fernando Rivoli (Alberto Sordi) di cui si è invaghita e con cui ha intrapreso un rapporto epistolare. Wanda sparisce tutto il giorno seguendo la troupe e Fernando, scoprendo però che quest’ultimo non è il romantico personaggio dei suoi sogni ma un vero meschino. Parallelamente il marito (tipico dell’Italia di quegli anni) si tuffa alla ricerca incessante della moglie scomparsa in quella che per tutti e due è una metropoli, una realtà distante dalla loro.
Fellini esordisce con un film di costume che osserva e smonta in modo ironico la borghesia dell’epoca – quella patriarcale di Pio XII – e i falsi idoli dei fotoromanzi (gli anni ’50 segnano il boom di vendite, insegnando a leggere a molte giovani ragazze) di un’Italia rurale e acerba, in gran parte analfabeta e sognante dopo i difficili anni della Seconda Guerra Mondiale.
Wanda è una ragazza ingenua che non è andata mai oltre il suo Paese e come molte di quella generazione sogna la vita che non potrà mai avere, perdendosi nelle gesta eroiche e romantiche dello sceicco bianco. Ha sposato un uomo che apparentemente non ama e che dimostra un’autorevolezza estrema, un uomo che non la rispetta e che programma ogni singola parte del viaggio, pianificando addirittura un’udienza papale (Wanda dall’alto della sua innocenza chiede a Ivan se si paga, insinuando il dubbio in lui).
La vera vita è quella del sogno, ma a volte il sogno è un baratro fatale.
Ivan è un piccolo ometto che non riesce ad accettare la scomparsa della moglie e passa tutto il giorno con la famiglia dello zio mentendo su dove si trovi Wanda.

Fellini è ancora lontano dalla sua maturità cinematografica, eppure in questa opera prima vediamo già quello che sarà il suo stile, la sua cifra narrativa che si delineerà più profondamente un anno dopo con I Vitelloni. Federico è un regista senza filtri che racconta la verità della disillusione, quella dove i riflettori si spengono sempre, e che più ti avvicini a quel mondo e più ne vedi le debolezze.
Lo Sceicco Bianco è questo: un film sulla disincanto, una viaggio di due persone che si scontrano con le loro fragilità provinciali e ne rimangono feriti, anche se alla fine ne accettano amaramente le conseguenze.
Il climax clownesco e malinconico – di cui Giulietta Masina nei panni della prostituta Cabria e il suo amico sputafuoco ne sono l’incarnazione – si fonde con la realtà dei cialtroni di cui è indiscusso rappresentante il vigliacco Rivoli e il “prezzemolino” Mambroni.
Il “bugiardo” Federico, che all’epoca era un giovane di 30 anni e di strada ne aveva ancora da fare, ha scelto di debuttare alla regia in solitaria con una pellilola sincera e beffarda, un first look sul mondo dello spettacolo, sfavillante agli occhi dei miseri mortali, con delle zone d’ombra ben delineate. Il suo occhio malandrino non risparmia nessuno dalle proprie miserie, le inquadrature testimoniano un dolore scomodo nel perseguire la famiglia dello zio nel giro per Roma, dalla fanfara, all’Altare della Patria e la tanto attesa udienza dal Papa.