EX MACHINA, la recensione

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Una volta catturata l’attenzione del grande pubblico per aver dato forma e sostanza a solide pellicole di genere come 28 Giorni Dopo e Sunshine (entrambe del regista Danny Boyle), lo sceneggiatore e romanziere Alex Garland, classe 1960, passa per la prima volta dietro la macchina da presa e conduce lo spettatore all’interno di un vero e proprio labirinto psicologico e dialettico che, rivestito di quella elegante e lungimirante fantascienza britannica che molto richiama la serie tv di successo Black Mirror, alimenta in lui un costante stato di fascino e insicurezza in egual misura.
Tre sono i soli partecipanti a questo dichiarato “Test di Turing” teatrale e cinico ma, inconsapevolmente, chi osserva si trasforma in un’ulteriore cavia indiretta che viene posta sullo stesso piano e nella medesima prospettiva del protagonista Caleb, interpretato dal sempre ottimo figlio d’arte Domhnall Gleeson (Questione di Tempo, Anna Karenina). Invitato dal capo della sua compagnia a trascorrere una settimana di ricerca nel proprio rifugio sotterraneo, il giovane informatico sarà costretto a destreggiarsi, più con le parole che con le azioni, in un continuo gioco di specchi, di cui non si riesce a intravedere la luminosa soluzione. Il nucleo dell’enigma è rappresentato dalla bella e dolce Alicia Vikander (Operazione U.N.C.L.E., Il Settimo Figlio) nel complesso ruolo di quella Intelligenza Artificiale verso la quale il filone fantascientifico ci ha da sempre messo in guardia. Eppure, in Ex Machina entra in campo il fattore sentimentale, facendosi strada nel nostro cuore e nella nostra mente e privandoci di un solido punto di riferimento da veri amanti del genere in questione.
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La semplicità e la soavità delle argomentazioni dell’A.I. Ava, nella loro innata perfezione, fungono da ideale parallelo con il ragionamento scientifico più che umano, seppur elevato, del genio Nathan, CEO di una società che fa il verso a uno dei pilastri informatici dei nostri tempi: Google. Attraverso l’opacità delle sue intenzioni e all’enfatizzazione del suo ruolo nella storia del mondo, unite alla dipendenza dall’alcol e ad alcuni intenzionali omaggi alla moderna cultura e mentalità ‘nerd’, Garland affida alle abili mani di Oscar Isaac (A Most Violent Year, A Proposito di Davis) un personaggio in grado di rubare letteralmente la scena, quasi si stesse già preparando interiormente ad accogliere gli applausi delle generazioni a venire.
Ex Machina è un’opera prima che affronta in modo inedito i temi dell’istinto e della sopravvivenza, uomo contro macchina e uomo contro uomo, prendendo piede da una situazione intima e soffocante e, solo in seguito, indirizzando il dibattito verso un nostro incerto domani. Garland rinchiude i tre partecipanti al test in una sorta di microcosmo scientifico, celato dallo stesso suolo che siamo pronti a rivendicare e che finisce con l’assumere le sembianze di un oscuro ring, campo di prova per l’ipotetico scontro che avrà luogo poi alla luce del sole. L’essere umano, nel suo processo di avvicinamento allo status divino di creatore di vita, realizza quanto, in realtà, la propria razza non possa fare a meno di temere e odiare l’estrema somiglianza a ciò che la contraddistingue, sia esso un fattore emotivo, intellettuale o fisico; e, come già suggerito dal cineasta canadese Denis Villeneuve nel suo complesso ed ermetico Enemy (2013), due identiche entità (o specie, in questo caso) che scoprono di condividere la stessa realtà non possono far altro, per forza di cose, che tentare in ogni modo di annullarsi l’un l’altra.
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